Paolo Di Orazio racconta Ectoplasm di Clive Barker

Lo scrittore Paolo Di Orazio ci guida in un viaggio da incubo attraverso una delle opere più note del famoso Clive Barker

Paolo Di Orazio racconta Ectoplasm di Clive Barker È con grande gioia - e grazie alla mediazione dell'editore Alessandro Manzetti - che sulle pagine de l'Abisso di LaTelaNera.com ospitiamo per la prima volta lo scrittore Paolo Di Orazio, una delle "penne da paura" nostrane più stimate in ambito horror.

Paolo guiderà i nostri lettori alla (ri)scoperta di uno dei grandi classici della narrativa del brivido moderna, la raccolta Ectoplasm scritta da Clive Barker.

Lasciamo subito a lui la parola...


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Ectoplasm è stato il terzo libro che mi ha iniziato al mondo di Clive Barker, alla sua sfrenata tecnica di liberare l'horror da gabbie mai aperte prima e pertanto mai lontanamente immaginate, nonché contribuito a influenzare il mio modo di calibrare il linguaggio e l'improvvisazione a servizio della storia (naturalmente dopo i miei preferiti Verga, Pirandello, Giulio Cesare – sia in latino che in italiano).

Per passione, e per coerenza coi tempi che viviamo, ho sentito l'onesta necessità di rileggere questa antologia e ridiscendere nell'impatto vissuto durante la scoperta di queste impressionanti pagine di orrore denso.

Bene, quell'impatto io non l'ho ritrovato. Ma c'è un perché.
In questi 25 anni, il cinema ha dato corpo, anzi ha preso corpo proprio da questi racconti, dalla profondità e dalle fughe (nel senso sinfonico del termine) esecutive del narrato verso l'idea del nuovo horror. The Cube, Saw - L'Enigmista, The Black Hole, e tutte le derive docu-fiction (da The Blair Witch Project a Paranormal Activity, passando per [Rec]) a base di telecamera a spalla e lo-fi, sposati al voyeurismo, nascono dal racconto Paura per commutarsi direttamente nel torture-porn oggi.

Paura è il racconto che apre i Libri di Sangue II, anche nell'edizione originale.
Lo scrittore Clive BarkerIl talento del Clive Barker dell'epoca era tutto dettato dalla sua scrittura immaginifica di cui potevamo godere la meraviglia leonardesca, riga dopo riga, di creatura in creatura, nel suo stile aulico e assieme urbano di una metropoli letteraria affollata da edifici morti ma barocchi di cemento abbandonato, sessualità, sensualità e kafkiane metamorfosi sia dei personaggi, sia della realtà in inferno e viceversa. Ma non potevamo prevedere gli effetti devastanti su tutto un modo di fare orrore (cinematograficamente parlando), dal pandemico potere virale.

Nella prefazione autografa dell'edizione inglese (Books of Blood – Volumes One To Three, Berkley, 1998), Clive Barker spiega che «il racconto breve è una sorta di capsula del tempo. Esso registra – in forma irriconoscibile fino a che un considerevole lasso di tempo sia trascorso – dettagli precisi della vita di un autore nel momento della sua stesura. Diversamente accade, invece, per il romanzo; perlomeno il tipo di romanzo che scrivo io, che normalmente mi impegna per un anno o più. La prima bozza di un testo breve può essere tirata giù in un paio di giorni; pura e intensa. Il romanzo lungo, contrariamente, è una sorta di compendium: lo si realizza abbracciando ambiguità e contraddizioni».

La spiegazione plausibile della forza massiccia di alcuni racconti e la debolezza di altri, sfocati da un eccesso di scrittura e passaggi che rallentano lo svolgersi dell'episodio. Un'impronta (in)credibilmente istintiva, quindi. I Libri di Sangue sono usciti nel 1984, e nella suddetta intro l'autore aggiunge seccamente dopo quattordici anni che: «... riguardando queste storie oggi, quasi fossero fotografie scattate durante una festa, ritrovo tutta una serie di tracce e indizi di chi ero. Ero? Già, ero. Rileggo questi lavori e penso proprio che la persona che li ha scritti non vive più dentro di me. Lo scorso anno, scrivendo la prefazione di Weaveworld per l'edizione del decimo anniversario, ho insitito parecchio sullo stesso concetto: chi ha scritto quel libro non è più da queste parti. È morto in me, sepolto in me».

Un'incredibile testimonianza di come i racconti dei Libri di Sangue siano scaturiti da un'arcana vena di passaggio esistenziale, un soffio casuale fissato su carta, ma emissario di un germe esplosivo.

La copertina della raccolta EctoplasmCi sarebbe però da chiedersi quanto le vicende personali abbiano spaventato il sacerdote sommo del sangue fantastico allontanandolo dai registri che lo hanno reso un astro. Barker nella vita non ha avuto paura di esplorare la vita, il sesso, la droga: e la sua letteratura è, appunto, un diario di viaggio meta-biografico nella paura.

Ma io sono del parere che di un autore non si debba sapere tutto della sua vita privata, anzi io personalmente ne aborro il nozionismo totale (quando ho scoperto cosa accadeva in casa Leopardi, ho inevitabilmente configurato la grandezza letteraria di Giacomo nel segreto umano, intaccando il mito della sua poetica – per saperne di più e assorbire l'anima del poeta, la visita guidata nella la splendida magione recanatese dei Conti è un'esperienza di arricchimento personale inestimabile).

Rileggendo appunto il racconto Paura, che apre l'antologia italiana Ectoplasm (Sonzogno, 1989, traduzione Rossana Terrone al posto dell'apripista Tullio Dobner – eccelso scrittore, nonché mio amico), ecco dispiegarsi uno scenario asettico e pitagorico del granfratellismo a venire e la telecamera perversa di cui oggi siamo conniventi – consapevoli o meno. Perversa nell'idea letteraria del racconto e perversa due volte nel suo farsi cliché che tutti oggi conosciamo.

Ma se disossiamo il capostipite di una tendenza e lo isoliamo dai legami presenti, il passaggio in cui il protagonista di Paura (ci) mostra il mazzo di fotografie che documenta l'evoluzione bestiale della sua vittima, è un incubo da oscar per inventiva e forza impressionista. Forse in questo punto, io trovo il punto massimo del libro. Nei risvolti di copertina si è spesso giocato sulla notizia-claim che Barker si divertisse nell'assistere alle autopsie: vero o no, poco importa, quelle foto descritte nel racconto hanno la stessa forza impressiva di qualunque atlante illustrato di tanatologia che io abbia consultato in questi anni.

A differenza di Infernalia (e il romanzo Gioco dannato), questi racconti sono più secchi e distaccati, controllati, proprio come i meccanismi freddi di una telecamera. Nella raccolta di esordio si condivide un orrore primitivo, primordiale e apocalittico, mentre in Ectoplasm (Books of Blood II) il filo conduttore è un orizzonte calmo dopo le furie e l'escatologia dei racconti precedenti.

In La pelle dei padri, per l'appunto, le creature meta-infernal-divine ci riportano alla gigantologia cthulhiana di Lovecraft, ma anche alle megalitiche invenzioni del fumetto dell'orrore americano anni '60 e '70 post-Pop (i robottoni giapponesi e le maxi creature del grande schermo non rientrano nei richiami promanati da Barker).

Un dettaglio molto crudo, che mi ricorda la scabrosa faccenda del tatuaggio a diamante su The Gift di Sam Raimi ("Eugene cacciò la faccia di Aaron contro la patta puzzolente dei suoi jeans"), segna un altro molo dove attraccano le fantasie affilate di Barker.

C'è molta violenza, o disinibizione, se preferite, in questo Ectoplasm, soprattutto sessuale, e sono staffilate brevissime ma di inaudito effetto. Certe descrizioni, brevi, suggerite, sono più aggressive delle sequenze gore che costellano il libro. La pelle dei padri è comunque il delirio epico del libro: epocale la chiusura del racconto, con una eccezionale visione surrealista tra Bunuel e Salvador Dalì, segnando in una pagina l'apice geniale, come avviene su Infernalia e precisamente Le colline, in città, coi due colossali titani guerrieri degni di Fellini, Dante Alighieri e Brueghel.

Questi apici, entrambi, preparano il lettore ignaro alle megalogie dei suoi successivi fantasy. Barker alimenta le aspettative, sostenuto da piattaforme di horror sperimentale e anarchico, per poi decollare via, come Peter Jackson ha fatto passando da Bad Taste - Fuori di testa a Il Signore degli Anelli.

Però, attenzione, Barker non è scevro da influenze, nonostante le sue trappole ci regalino sorprese al di fuori delle idee prettamente horror.

Lo scrittore Paolo Di OrazioNel racconto Jaqueline Ess: le sue ultime volontà, si respira ovunque, dalla prima all'ultima riga, una rilettura esponenziata del Videodrome di David Cronenberg, in una stupenda elegia della nuova carne tanto cara al regista canadese, caposcuola eversivo e radicale che ha aperto proprio nel corpo umano le nuove frontiere dell'horror (prima che Wes Craven le aprisse sul nichilismo freudiano).

Mentre in Gioco dannato abbiamo visto la corporeità di Mamoulian strisciare sulle pareti in centinaia di porzioni rese irriconoscibili dalla furia del protagonista che lo ha fatto a pezzi, su Jaqueline Ess abbiamo un ritorno in technicolor della mutazione corporea, nel supremo carnevale visionario del miglior horror su verbo scritto. Per poi rivederlo al cinema con Society di Brian Yuzna.

Sto andando random, per arrivare a spendere una parola per La sfida dell'inferno, interessante esercizio su come sdoganare senza impegno una manciata di iconografie classiche: con una calata/ascesa da inferi siderali, un demonio con elefantiasi anziché fattezze taurine o caprine, e un quadro degli eventi in pieno giorno e in massa, rispetto alle solite rivelazioni notturne e intimiste. Un racconto di servizio, appunto, per regalare al lettore momenti più emozionali e plumbei.

Come appunto i Nuovi omicidi in Rue Morgue, potente del triplice livello finzione-realtà-finzione, celebrando Poe come cunicolo narrativo per esplorare un'idea del tutto originale. Al cinema, La vera storia di Jack lo Squartatore (From Hell) e The Raven: Gli Ultimi Giorni Di Edgar Allan Poe, sembrano ricalcare zone del testamento lasciato da questo pregevole racconto. Nel suo breve omaggio a Poe, la sessualità della letteratura di Barker è messa a nudo a colpi di rasoio, colpi non inferti come ci si aspetterebbe, non solo per incidere la carne, ma per radere quella che rappresenta l'animalità dell'orrore, nella tragicomica spinta verso l'assurdo e l'irrazionale, confine di eterne promesse come si recitava negli strilli sulle copertine dei fumetti horror anni Settanta: irrazionale! incubo! paura!.

La creatura nuda è ancora più animalesca senza la sua pelliccia, diventando un romantico mostro di Frankenstein da fumetto softcore: una delle invenzioni più innovative di Barker, antropomorfa, sessuale e introduttiva al mondo scarnificante di Hellraiser, in una prima idea di corpo che si sveste di uno strato di identità e specie, incarnazione e disin-reincarnazione. La creatura, tutto sommato, risplende nei lumi del suo sguardo, della placida e desertica rassegna dell'antologia stessa e chiude in sé una galleria di orrori quieti e poco cancerogeni rispetto ai Racconti di Sangue precedenti.

Uno spiazzo apparentemente sterile e abbandonato al prodigio, di cui l'uomo è solo una striscia di demarcazione tra infernale e divino, un semplice passaporto vivente e morente nell'assurdo teatro della sua semplice e inutile umanità. Non è affatto poco, per un autore che ha nelle vene una delle paure più striscianti del secolo.


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Il "barone dell’orrore" Paolo Di Orazio (Roma, 1966) è disegnatore e sceneggiatore di fumetti, grafico, musicista, scrittore "di paura". Esordisce come autore fumettista nel 1987 (su «Fichissimo») scrivendo e disegnando storie horror. Nel 1989, per la ACME coordina le testate a fumetti Splatter, Mostri, Splatter Poster, Nosferatu, e Zio Tibia, la clinica dell'orrore.

La copertina della raccolta L'IncubatricePrimi Delitti (Acme, 1989), una raccolta di racconti, viene distribuito nelle edicole italiane in forma scritta come supplemento a Splatter, portandolo al successo di pubblico e di critica, oltre che all'accusa di "istigazione a delinquere" mossagli da un'interrogazione parlamentare nel 1990.

Nel 2003, per i disegni di Roberto Ricci, pubblica negli States su Heavy Metal il fumetto seriale Ruskin, il divoratore di cadaveri. Nel 2009 debutta in terra francese con la graphic novel L'enfant des moucherons (Il bambino dei moschini) sulla rivista The Garfield Show (Aurea, settembre 2012)

Dal 1991 è il batterista della band Latte & I Suoi Derivati, da lui fandata insieme a Claudio Gregori.

A fine maggio 2013, per la casa editrice Mezzotints Ebook pubblicherà nella collana Buio il volume L'Incubatrice: si tratta della riedizione in formato digitale della sua storica raccolta Madre Mostro con l'aggiunta di un racconto inedito. La copertina del libro è firmata da Daniele Serra.

Pagina Facebook Ufficiale:
http://www.facebook.com/paolodiorazio


Paolo Di Orazio racconta Ectoplasm di Clive Barker
Articolo scritto da da: Paolo Di Orazio
Pubblicato il 02/05/2013

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