La Danza Macabra: iconografia sulla brevità della vita e sul destino dei mortali
La Peste Nera è stata una delle fonti di ispirazione principali della Danza Macabra, diffusa dal XV secolo a oggi...
La Peste Nera, l’epidemia che alla fine del Medioevo mieté milioni di vittime per tutta l’Europa, è stata una delle fonti di "ispirazione" principali per una ampia gamma di iconografie della Morte e temi artistici sulla caducità della vita e il destino dei mortali.
Canti, affreschi, ballate, rappresentazioni, poemi e opere moraleggianti si susseguirono per decenni e si radicarono nei secoli successivi, diffondendosi di paese in paese e tramandandosi così attraverso l’Età Rinascimentale e quella Moderna.
Uno dei più celebri di questi temi è la Danza Macabra, conosciuta come Dance of Death in inglese, Danse Macabre in francese e Totentanz in tedesco, solo per citare i nomi che più spesso ricorrono ancora oggi in film, musica, fumetti e romanzi di genere horror e fantastico.
Le prime raffigurazioni pittoriche della Danza Macabra risalgono ai primi decenni del Quattrocento e i più antichi esempi oggi conservati sono quello del Cimitero degli Innocenti di Parigi e nell’abbazia di La Chaise-Dieu in Alvernia.
Prima ancora però, le Danze Macabre erano veri e propri balli rituali di carattere religioso o, meglio ancora, sacre rappresentazioni misteriche medievali, che avevano lo stesso scopo degli affreschi e dei dipinti successivi: ricordare ai fedeli la caducità della vita e la vanità delle cose terrene dinnanzi alla Morte.
La stessa parola "macabro" nasce proprio in questo contesto.

Sappiamo che per tutto il basso medioevo avvenivano in contesti ecclesiastici le Chorea Machabaeorum, le "Danze dei Maccabei" che per cambiamenti linguistici divennero poi "Danse Machabré".
La Danza dei Maccabei ricordava in origine il sacrificio dei sette fratelli Maccabei, un episodio martirologico che racconta la tortura progressiva di sette fratelli, mutilati e sbeffeggiati davanti alla propria madre. I sette fratelli, imperturbabili nella loro fede ebraica, rifiutarono di mangiare carne di porco anche se costretti e vennero uno a uno portati di fronte al re Antioco IV, fatti a pezzi e uccisi, ciascuno però proferendo le proprie parole finali di risolutezza e fede.
A partire da questo episodio, si organizzavano delle "danze" in cui i partecipanti si tenevano per mano e, uno a uno, professavano la propria fede e lasciavano il girotondo, ricordando così la condotta eroica dei fratelli ebraici.
Man mano, questa specie di rappresentazione ballata si arricchì di più frasi ad effetto e una figura che rappresentasse la Morte stessa si unì a quella dei partecipanti, scambiando con essi battute esemplari sull’ineluttabilità della morte stessa.

A partire da queste scene sacrali, vennero poi realizzate delle vere e proprie ballate, con numerose figure (canonicamente ventiquattro) che rappresentavano tutte le condizioni sociali dell’uomo medievale e scambiavano con la Morte un botta e risposta amaro e rassegnato.
I personaggi, vestiti stavolta da monaco, papa, imperatore, soldato, nullatenente, borghese e così via, venivano presi per mano da "morti avvolti da sudari" o dalla stessa Morte personificata e fatti danzare insieme in una processione. Poco a poco, i membri della danza vengono fatti "staccare" dalla fila e condotti via dalle figure dei morti, a simboleggiare la dipartita costante e progressiva di tutti gli uomini.
A seguito della prima diffusione di queste danze, sempre secondo gli etnologi che hanno studiato il fenomeno, sarebbero state composte delle filastrocche in volgare che celebravano la fine ineluttabile di tutti i viventi, le stesse che poi furono aggiunte come una sorta di didascalia alle raffigurazioni pittoriche della "Danza".
Un primo riferimento conosciuto a queste "filastrocche di morte" sono Les Vers de la Mort (I Versi della Morte, ma "vers" significa anche "vermi" e il doppio senso è più che voluto) del monaco cistercense Hélinand de Froidmont. In questa poesia scritta alla fine del XII secolo, si anticipano i temi tipici delle Danze, sebbene il tono non sia del tutto "macabro" nell’accezione moderna del termine.

Le più antiche raffigurazioni pittoriche della Danza Macabra che possiamo ancora oggi ammirare risalgono alla fine del Medioevo. A parte le due già citate, molto celebri sono anche quelle di Basilea (1440), Lubecca (1463, purtroppo distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale) e Beram (1471).
In tutti i casi, la "Danza" è una processione o un girotondo di uomini vivi di differente età, sesso e classe sociale, intervallati da scheletri o carcasse danzanti.
Quando le raffigurazioni sono ben strutturate e dettagliate, la fila comincia con i potenti (re, papi, vescovi, principi) per poi procedere via via con ricchi e borghesi, fino ad artigiani, poveri, contadini, ragazzi e bambini. Altre volte, si tratta invece di una processione di coppie, con i morti beffardi che invitano alla danza i vivi impauriti, una danza che in questo caso è essa stessa la rappresentazione di agonia e morte.

Altre varianti possibili sono quelle dei morti tutti simili tra loro delle raffigurazioni più elementari, contrapposti a morti dotati di ornamenti e segni di riconoscimento delle elaborazioni più complete, in cui a ogni vivo corrisponde per contraltare una figura analoga già morta ma dotata degli stessi attributi del vivo (corone per i re, strumenti di lavoro per gli artigiani e così via).
In certi altri casi, possono apparire poi altri elementi esterni alla Danza stessa, per esempio la Morte Trionfante che sorveglia dall’alto o da lontano la scena oppure dei musicanti scheletrici che accompagnano la Danza con i loro strumenti.
Anche ai nostri giorni, la Danza della Morte ha colpito artisti e scrittori con la sua forza iconografica e simbolica.
Tra le numerose opere contemporanee ispirate ad essa, si possono citare l’album Dance of Death degli Iron Maiden, il saggio Danse Macabre di Stephen King e Totentanz, celebre episodio del nostrano Dylan Dog.

|