La Tela Nera Horror Movie Awards 2017

Film > Notizie > Ripercorriamo insieme a Elvezio Sciallis la scena cinematografica horror del 2017 evidenziando i migliori titoli

LaTelaNera.com Horror Movie Awards 2017

Siamo arrivati alla fine di questo 2017, tanto disastroso a livello mondiale quanto ottimo per quel che concerne il cinema e i film horror.
Fine anno significa bilanci, consuntivi, classifiche. Ma al sottoscritto le classifiche non piacciono, non piacciono le competizioni, le gare, la meritocrazia, i vincitori e i vinti, i primi e gli ultimi.

Sentivo però, in sintonia con il boss de La Tela Nera, l’esigenza di un pezzo di chiusura sui migliori film horror 2017 e abbiamo trovato un compromesso: al posto di una classifica una sorta di premi telanerini riservati al cinema horror.

Stabilito questo nucleo centrale, ho pensato di aggiungere al post altre due sezioni: una riguardante alcune mie considerazioni generali sullo stato attuale di questo nongenere cinematografico, più una coda riservata da un lato a come mi penso dentro all’horror e a come opero, nel senso di metodo e pratica, con l’aggiunta di un elenco (purtroppo incompleto, ma comunque ricco di nomi), dei titoli visionati durante questo anno.

Come mio solito, il presente post è cresciuto a dismisura, quindi gli short attention spanners sono avvertiti: la conta finale è di 7941 parole, 48.058 battute spazi inclusi, ma ho messo i premi come prima cosa: chi è interessato soltanto a quelli li troverà facilmente, gli altri temo che dovranno prepararsi a una lettura piuttosto lunga.

Inizio da quella che di solito è la conclusione per pezzi come questi, ovvero i ringraziamenti.

Il primo ringraziamento è rivolto ad Alessio Valsecchi: quando ho chiuso il mio blog, Malpertuis, e ho abbandonato ogni social network, anni fa, continuava a rimanere in me l’esigenza di scrivere di cinema horror. Scrivere per me significa due cose (considerazioni economiche escluse): dare ordine ai miei pensieri e cacciarli dal cervello. Se non scrivo, ciò che penso e vorrei dire di un film, le idee e opinioni, continuano a rimbalzarmi in modo confuso e caotico fra i neuroni e occupano troppa ram nel cervello, impedendomi altre cose. Una volta che chiudo il post, quel film scompare, la faccenda è chiusa, posso occuparmi di altro, è una liberazione.
Essendo inoltre drammaticamente sprovvisto di memoria, avere un database scritto mi è utile a livello personale.

Alessio mi ha concesso lo spazio per queste mie considerazioni, spazio che fra l’altro ha un numero di lettori ben più alto rispetto a quelli che erano presenti su Malpertuis: ho di conseguenza cercato di modificare per quanto possibile approccio e stile, virando verso una maggiore neutralità e diminuendo tutti i riferimenti al personale e privato che caratterizzavano il mio blog.

Non ho scritto quanto avrei voluto: nel 2017 ho prodotto quattordici post su singoli film, più due articoli finali (questo e quello riguardante il cinema horror 2018). Mi piacerebbe, nel prossimo anno, aumentare un po’ la media, salire a due post al mese (sempre che ci sia il materiale adatto), ma non posso promettere nulla perché uno dei miei principali tratti caratteriali (cerco di non chiamarlo difetto in quanto non penso che lo sia) è la pigrizia. Ma prometto di impegnarmi, per quel che vale.

Poi voglio ringraziare voi lettori e, in particolare, coloro che mi seguivano su Malpertuis e che mi hanno raggiunto qui. Ho avvisato in tutto solo due persone di questo mio trasferimento, ma ho ricevuto molte mail private da tanti lettori fedeli al vecchio blog che continuano a seguirmi anche in questa sede e ammetto che la cosa mi fa piacere e mi stupisce.

Al solito: il tempo è la risorsa più limitata e finita a nostra disposizione, voi ne dedicate un po’ per leggere il sottoscritto, è un qualcosa di cui non finirò mai di stupirmi e compiacermi. Il mio compito è uno e uno soltanto, oltre al piacere della scrittura: cercare, per ogni post, di convincere almeno una persona a dare una chance, a guardare il film di cui parlo. So, per comunicazioni dirette, che spesso ci riesco. Non posso sperare nulla di meglio: grazie.

Passiamo ora ai “premi”.


Tela Nera Horror Movie Awards 2017: le categorie

Una premessa generale: è sempre più difficile identificare con precisione l’anno di appartenenza di un film. Apparizioni nei festival, run limitate nelle sale, diffusioni streaming e on demand complicano il quadro e son sicuro che alcuni fra voi avranno a ridire, alcuni titoli possono appartenere alla coda del 2016 e non trovo un metodo fisso da impiegare. Il mio 2017 ha quindi dei confini imprecisi, sfonda sicuramente nell’anno precedente: pazienza.

Due esempi fra i tanti, uno più estremo e l’altro più morbido: The Poughkeepsie Tapes, lo splendido e agghiacciante film di John Erick Dowdle, è del 2007 e in quell’anno è stato proiettato in alcuni festival ed è comparso come screener su muli e torrenti vari. Poi è spuntato brevemente su Direct TV nel 2014, per venire ritirato dopo pochi giorni in quanto si vociferava di una sua possibile distribuzione in sala (!!!) da parte di MGM. Infine è apparso in versione dignitosa nel 2017 su Blu-ray a cura dell’amata Scream Factory: bel casino, vero?

Prendete anche The Girl with all the Gifts (anche visto in italiano col titolo La ragazza che sapeva troppo), che appare a cavallo fra 2016 e 2017 a seconda dei Paesi nei quali viene distribuito: c’è chi ha già chiuso, per esigenze editoriali, i pezzi sull’anno appena trascorso e quindi non lo include, chi invece trova spazio per infilarcelo. E così via, si potrebbe continuare a lungo: ogni possibile soluzione finirebbe per scontentare qualcuno, quindi è inutile preoccuparsi.

Cominciamo da certe categorie ritenute ingiustamente “minori” per poi proseguire fino alla miglior regia e film. Quando, per determinate categorie, sono coinvolte più persone, citerò solo il nome del film. I titoli sono sempre quelli inglesi e… ogni scelta singola è anche una moltitudine di rinunce sofferte: assegnare riconoscimenti è raramente bello e sereno.

Un fotogramma dal film The Girl with all the Gifts
The Girl with all the Gifts, a cavallo tra 2016 e 2017...


Miglior sonoro: Mother!

Non sono così sprovveduto da infilarmi in una discussione sul perché non mi sia piaciuto il film di Darren Aronofsky: il clima riguardante le diatribe su questo titolo, a prescindere dagli schieramenti, mi è parso ridicolo e disgustoso e non mi interessa far parte di questi scambi di insulti (su tale modo di dialogare di cinema tornerò più avanti, esauriti i premi).

Nonostante abbia detestato parecchi elementi (non quelli tecnici, però) dell’opera, Mother! Si porta a casa ben due categorie qui presenti, tutte prove che mi hanno entusiasmato ma che non sono bastate a convincermi, a fronte di pesanti carenze, approssimazioni, ignoranze e ingenuità su altri fronti.

Fra le due il sound design è quel che mi ha più colpito e che più scolpisce e definisce l’intero film, un bombardamento sonoro a volte sottile a volte intenso, da varie fonti, nervoso, insinuante, isterico, un lavoro stupefacente.

Un fotogramma dal film Mother!
Jennifer Lawrence e Javier Bardem, protagonisti della pellicola Mother!


Migliore colonna sonora: Daniel Hart ex aequo con Brian McOmber

L’unica categoria nella quale non sono riuscito a decidermi per un solo nome.
Entrambi gli autori forniscono un apporto fondamentale alle opere senza protagonismi esagerati, dissonanze o invasioni; Daniel Hart (A Ghost Story) è un mio ascolto ricorrente ancora adesso e costruisce atmosfere dense e sinistre; Brian McOmber (It Comes at Night) probabilmente “capisce” meglio il film, si adatta di più alle scene e le sorregge con maggior polimorfismo, vigore e movimento, ma sono entrambi fenomenali.

A dire il vero sarebbe quasi una corsa a tre, perché anche la soundtrack di The Killing of a Sacred Deer è stupenda, ma a tratti troppo stridente, invadente e protagonista.

Le colonne sonore, fra i comunque tanti (troppi) elementi, sono uno degli aspetti che esplicita maggiormente il profondo iato qualitativo fra le produzioni piccole e/o indie e quelle major in campo horror.

Pensate (spiace tirarlo sempre in ballo, perché alla fine non ho poi nulla contro questo titolo, ma è un esempio formidabile) alla colonna sonora di IT, così prevedibile, didascalica, vecchia e stantia, inascoltabile, rapportata al lavoro di questi due autori; magari mettetele in cuffia di seguito, senza guardare i lungometraggi, è una differenza enorme, inspiegabile.

Un fotogramma dal film It Comes at Night
It Comes at Night: il mondo è finito, la paura e il terrore ancora no.


Migliori effetti speciali: The Void

La pellicola più illusione/delusione/comunque-roba-buona del 2017 è, mal che vada, uno strepitoso showreel delle capacità di Jeremy Gillespie, Stefano Beninati e compagnia danzante (matte painter compresi) per quanto riguarda gli effetti speciali, in particolare quelli pratici. Una mostra di mostri che non ha avuto eguali nell’anno, in un crescendo orgiastico di tentacoli, chele, zanne, bave, fluidi e altro ancora, fino a squarci cosmici che speriamo trovino migliore applicazione narrativa in future opere.

L’estetica del film è molto personale e pervade altri campi, fino agli ottimi poster e locandine: fossi un patito di merchandise, saprei su quale opera puntare nel 2017 e quale maglietta chiedere in regalo a qualche lettore di buone intenzioni.

Un fotogramma dal film The Void: Il Vuoto



Miglior attrice non protagonista: Annette O'Toole

A sorpresa e comunque in un film minore, Annette O’Toole in We Go On sfodera una prova che sovrasta quelle di tutto il resto del cast e aiuta con grande mestiere un protagonista traballante, finendo con il rubare lo show e diventare l’elemento memorabile della buona pellicola di Jesse Holland e Andy Mitton, che attendiamo ora alla terza prova per capire meglio le loro potenzialità.

Sono stato indeciso fino alla fine con Nicole Kidman in The Killing of a Sacred Deer, è anche per via di queste indecisioni che non amo dar premi e far classifiche.

Un fotogramma dal film We Go On
Annette O’Toole in una scena di We Go On.


Miglior attore non protagonista: Ed Harris

Difficile aggiungere qualcosa al nome e diventa tutto ridondante. Ed Harris, anche quando gira al minimo (e in Mother! non è certo ai suoi massimi livelli, come d’altronde tutto il resto del cast, che appare impacciato e mal diretto) rimane un mostro di bravura e sa adattarsi e mutare in ogni occasione, pur partendo da una fisiognomia che sembra molto limitante.

Un cenno anche a Barry Keoghan, che è sì facilitato da un ruolo straordinario in The Killing of a Sacred Deer, ma lo interpreta in modo strepitoso: ha solo venticinque anni, e dopo l’ottimo seppur retorico Dunkirk è destinato a grandi cose.

Un fotogramma dal film Mother!
Ed Harris in una scena di Mother! insieme a Michelle Pfeiffer.


Miglior attrice protagonista: Isabelle Huppert

Quello che per me è il suo film più notevole, Elle, arriva molto tardi nella carriera di Paul Verhoeven e questo sottile, morboso e discusso rape-revenge deve buona parte del successo alla straordinaria protagonista.

Isabelle Huppert è inappuntabile da sempre e rischia quasi di diventare noiosa nella sua bravura aliena, ma non riconoscerne la statura, fosse anche per la decima volta consecutiva, non sarebbe giusto. Una spanna sopra tutte.

Un fotogramma dal film Elle
Isabelle Huppert alle prese con un gatto nero nel film Elle.


Miglior attore protagonista: Daniel Kaluuya

Sguardo proteiforme, sorriso a volte incerto, altre volte indifeso, zero machismo e contenuta seppur notevole presenza fisica, Daniel Kaluuya è uno dei principali punti di forza dell’ottimo Scappa: Get Out e lo è ancora di più perché con la sua prova rafforza l’impatto e il messaggio generale del film.

La sovversione, ironica e satirica, dei ruoli e funzioni; la sua tramutazione in “final boy”; la sua mascolinità per nulla alpha ma, a maggior ragione, ben più sensuale; il suo sfuggire dagli archetipi black per poi rituffarcisi quando serve, il suo ondeggiare all’unisono con le varie nature del cangiante lavoro di Jordan Peele me lo fanno preferire, dopo una decisione un po’ sofferta, sia al Joel Edgerton di It Comes at Night che all’eternamente sottovalutato Colin Farrell in The Killing of a Sacred Deer che, ormai abituato alle usuali richieste di recitazione da parte di Lanthimos, spara dialoghi e considerazioni con una meravigliosa, congelata e assurda roboticità.

Un fotogramma dal film Scappa: Get Out
Daniel Kaluuya, da qualche anno protagonista in TV e al cinema.


Miglior mockumentary/Found footage: The Poughkeepsie Tapes

Sui motivi per i quali includo questa pellicola nel 2017 ho già discusso. The Poughkeepsie Tapes non è solo uno dei film più sconvolgenti e impressionanti dell’ultima decade, ma è anche uno dei titoli più importanti di tutta la storia dei mockumentary/foundfootage.
Se avesse ricevuto la giusta esposizione mediatica nel 2007, stesso anno di uscita di Paranormal Activity, la storia di questo sottogenere sarebbe ora radicalmente diversa.

Così non è accaduto e questo titolo è ingiustamente relegato nella (odiosa? Compiaciuta? Inutile?) zona dei cult movies, ma meriterebbe molto di più. Ogni volta che lo rivedo non riesco a decidermi se siano più terrorizzanti le scene pivotali di tortura nel dungeon o quelle pseudonormali quali l’avvicinamento/discussione con le “prede”, per non parlare del finale, potente e agghiacciante.

Un must per ogni appassionato di horror, da mandare a memoria. John Erick Dowdle si è in seguito purtroppo dissolto e disperso in titoli minori, anche se As Above, So Below conserva qualche elemento e spunto di interesse. Tifo incondizionatamente per un suo ritorno in piena forma.

Un fotogramma dal film The Poughkeepsie Tapes
Una maschera che non ci scorderemo tanto presto.


Miglior documentario: Beware the Slenderman

Solitamente i documentari sull’horror sono molto autoreferenziali, celebrativi e tendono a non uscire da confini ristretti: possiamo avere il film incentrato sulla storia di alcuni personaggi/attori/registi famosi, altri sui serial killer, altri ancora che esaminano saghe o criptozoologia, ma in genere è un’area poco soddisfacente dal punto di vista qualitativo.

Il 2017 ci ha proposto un esperimento ben più originale della media, un titolo che, più di qualsiasi altro di cui ho parlato, mi è dispiaciuto che non sia stato notato da molti blogger che avrebbero potuto agire da cassa di risonanza.

Irene Taylor Brodsky in Beware the Slenderman agisce su tantissimi fronti diversi avendo la fortuna di poter pescare in un avvenimento ricco di spunti. Anche solo la mera cronaca del fatto realmente accaduto sarebbe stata interessante, ma su questo si stratificano considerazioni sul fenomeno dei creepypasta (ancora poco affrontato al di fuori della cerchia degli interessati), sulla questione dei memi (con interviste ad autorità nel campo, Richard Dawkins in primis) e sul terribile stato del sistema giudiziario e carcerario statunitense. Toccante, sorprendente, assai interessante, coinvolgente (lo ha visto e apprezzato mia moglie, per dire, che è difficile che preferisca qualsiasi tipo di film o documentario a un libro), continuerò a raccomandarlo all’infinito.

E anche il 2018 si prospetta come buona annata per i docuhorror, in particolare dovrebbero affiorare cose interessanti sulle nuove tipologie di attrazioni-case infestate che negli USA stanno toccando livelli di violenza e realismo preoccupanti.

Un fotogramma dal film Beware the Slenderman
Slenderman, quando una creepy pasta diventa pericolosa e indigesta.


Miglior film d'animazione: When Black Birds Fly

Credo che per molti il titolo principe in questa categoria potrebbe essere Seoul Station di Yeon Sang-ho, e capisco i motivi della loro scelta. Ma nel corso dei decenni (sono del 1970, il mio primo horror l’ho visto intorno ai 7-8 anni e da allora è stato amore profondo per il rosso) ho accumulato una serie di principi di valutazione per dare struttura, metodo e motivazione alle mie opinioni sul mio interesse principale in vita. L’originalità, in particolare in questi ultimi anni, è salita in cima a tutto, è l’elemento cardine con il quale valuto un’opera.

Anche la stranezza e la devianza dalla norma contano parecchio.

Jimmy ScreamerClauz è un amabile mutante, allucinato, deviante e stupefacente artigiano-tuttofare. Guardare le sue opere equivale a entrare in un trip di LSD andato male e significa gettare un’occhiata su mondi che raramente possono essere scorti. Certo, “non è per tutti” (che è una frase tanto odiosa e giudicante quanto vera) e, altrettanto certamente, non può competere, da solo, contro l’animazione media dei vari studio, ma non vedo perché dovrebbe: giocano in campionati diversi, anzi, in sport diversi e il suo è per me infinitamente più interessante di quello di Topolino, Nemo e principesse assortite, ha delle regole che cercano di andare contro quelle imposte dalla realtà, tanto mi basta.

Se avete voglia di variare dieta, provate anche il suo precedente Where the Dead go to Die: non è per tutti anche quello, ma voi avete così tanta voglia di essere come “tutti”?

Un fotogramma dal film When Black Birds Fly



Migliori costumi e scenografia: Super Dark Times

Quando si cerca di rappresentare una decade passata (nell’horror in particolare, mi sembra, ma forse è solo perché è il genere che osservo con maggiore frequenza) spesso si tende a urlare, a didascalizzare, ad ammiccare, a saturare.

Si spalma ovunque “ehi questo film è ambientato negli anni XX!” e trovo che, come la metaironia, questo atteggiamento sia insieme indizio di debolezzza/insicurezza e prova di scarsa considerazione per il pubblico di riferimento. Tu che guardi il mio film collocato tot anni fa puoi essere uno di due tipi di persone: o sei un fan (e su questa parola, che sta ormai diventando una piaga incancrenita, tornerò più avanti) o sei un deficiente analfabeta. In entrambi i casi, imboccarti andrà bene: se sei un fan sarai entusiasta di andare a cercare tutti gli indizi, i riferimenti, ecc. ecc,; se sei un analfabeta sarai contento di avere qualcuno che ti spiega tutto con facilità, semplicità, sottolineature ed evidenziatore giallo fluo.

L’onnipresente cronobrandizzazione (con conseguente innesco nostalgico) è uno dei più forti ed evidenti motivi del successo di un autore come Stephen King.

Super Dark Times non si comporta così: ha cura della sua collocazione cronogeografica, ma ha rispetto per lo spettatore e non urla né sbraita, gli interessa molto più raccontare una storia che solleticare la nostalgia. E quindi scenografie e costumi sono curati e accurati ma mai protagonisti, non sono “presenti” e sbandieranti in ogni singola scena, agiscono con forza ma in modo quasi inavvertibile, è ammirevole.

Un fotogramma dal film Super Dark Times
Adorabili, terribili, nostalgici anni '90!


Miglior montaggio: David Lowery

I miei film “ideali” sono quelli nei quali la stessa persona si occupa di scrittura, regia, fotografia e montaggio. Mi pare un quadrilatero così potente e organico, sono quattro elementi cardine della narrazione e messa in scena, che non vedo come si possa fare altrimenti.

Poi per fortuna i miei “ideali” rimangono spesso tali: il cinema è collaborazione artistica di tante persone e la somma delle loro parti apporta differenze, contributi, influenze e, in definitiva, ricchezza. È ben raro che io sia scontento che il mondo non giri come piacerebbe a me, di solito è pensiero che mi rassicura.

Se date uno sguardo alla scheda IMDb di David Lowery vi accorgerete di due elementi: ha svolto gli incarichi più disparati in carriera (compresi i 4 cardini di cui vi parlavo) e la voce “editor” è quella che allinea il maggior numero di titoli.

Un buon montaggio è essenziale per la riuscita di un progetto come A Ghost Story: non tanto/solo per dettare il ritmo ma anche per riuscire, a fronte della scarsità di budget, a dare l’impressione forte e decisa del trascorrere del tempo, e ci sono alcuni passaggi di scena stupendi, che centrano in pieno questo delicato compito, centrale in questa opera.

Un fotogramma dal film A Ghost Story
Casey Affleck e Rooney Mara in una scena di A Ghost Story.


Miglior compagnia: A24

Ho contato sia distribuzioni che produzioni e la compagnia newyorkese di Katz, Hodges e Fenkel brilla intensamente e riflette con cura sui titoli scelti. In più è molto giovane come realtà e sembra avere un futuro altrettanto radioso quanto i cinque anni passati.

Vediamo un po’… Nel 2017, rimanendo nel nongenere preferito da queste parti, A24 mette in qualche modo la firma su: The Killing of a Sacred Deer, It Comes at Night, The Blackoat’s Daughter e A Ghost Story.

Sempre rimanendo nel 2017 spuntano fuori altre pellicole di gran valore (Good Time su tutte: i fratelli Safdie confermano tutto il buono di Heaven Knows What, a partire dalla continua collaborazione con uno dei migliori dop presenti sul mercato, Sean Price Williams), mentre se si guarda agli anni passati l’elenco di opere tanto originali quanto interessanti diventa fin troppo lungo e imbarazzante, The Witch in testa.

Il futuro? Vedremo, ma sulla carta sia Slice che A Prayer Before Dawn paiono promettenti, per non parlare del nuovo lungometraggio di David Robert Mitchell, Under the Silver Lake.
Anche per assonanza numero-alfabetica, A24 sembra crescere come la 4AD del cinema, niente male!


Miglior sceneggiatura non originale: Mike Carey

Questa scelta è stata semplice, ma devo ammettere che lo è stata più per la carenza dei competitor che per reali meriti di Mike Carey.

Se penso agli adattamenti-sconcerie di vari altri film dell’anno, che non ho voglia di nominare, la pur arruffata gestione di Carey (del suo stesso materiale di partenza, fra le altre cose) per The Girl with all the Gifts regge comunque meglio il confronto.


Miglior sceneggiatura originale: Efthymis Filippou e Yorgos Lanthimos

Anche questa scelta è stata facile: i due hanno una visione precisa dell’umanità, che è roba che aiuta sempre nello scrivere; ripetono uno schema che hanno già collaudato più volte; mettono sotto il riflettore principale i dialoghi e sciolgono un po’ di gelo, altrimenti quasi insopportabile, al fuoco (purtroppo raramente usato al cinema) dell’assurdo.

In The Killing of a Sacred Deer scelgono di diventare un po’ più accessibili rispetto alla loro media e ben venga, anche perché non intacca la qualità. Più gente li conosce e li guarda più son contento: tenersi gelosamente nascosti i propri film-gioielli mi ricorda un po’ troppo quella creatura che risponde al nome di Gollum.
Sharing is caring.


Miglior fotografia: Toby Oliver

Questa è stata in assoluto la scelta più difficile. La concorrenza in questo campo nel 2017 horror è stata tosta: penso a Matthew Libatique in Mother! o a Drew Daniels in It Comes at Night, per esempio, e ancora a tanti altri. Per dirla tutta, entrambi meriterebbero il riconoscimento più di Oliver, lo ammetto. Ma... Libatique non ne ha bisogno, è in fascia alta da così tanto tempo, lo conoscono tutti; e It Comes at Night si becca altri premi importanti, Drew Daniels è ancora relativamente giovane, si distinguerà in futuro.

In più Scappa: Get Out compare poco in questi riconoscimenti: lo amo e l'ho già visto 4 volte, ma sono apparsi, inaspettatamente, altri film che lo declassano un po', a inizio anno pensavo che sarebbe stato “il titolo horror 2017” ma non è accaduto, volevo quindi tributargli qualcosa oltre al miglior attore.

Non mi sono mai pensato come imparziale, razionale o ferreo ed è uno dei tanti motivi (insieme a poco studio, poca cultura, poca applicazione, scarsa volontà, scarsa intelligenza, mancanza di visione e di visioni) per i quali non mi considero “bravo” in quel che faccio e boh, meglio così, c'è maggiore libertà e quando le passioni diventano lavoro, ho già sperimentato, non mi piacciono più e talvolta l’onestà tende a sparire.

Quindi le mie scelte sono spesso umorali e altrettanto spesso irrazionali: non è un vanto, è una constatazione e la tengo sempre presente. E ovviamente conta parecchio vedere qualcosa del proprio io, o del proprio ego se vogliamo metterla peggio, riflessa nelle opere: è anche per questo che amo Haneke o Bergman e non riesco fisicamente a vedere i film di (pur bravi, è cosa che negli ultimi tempi è purtroppo obbligatorio sottolineare) Spielberg od Howard e tantissimi altri, ennesimo motivo per il quale non posso considerarmi un critico.

Perché Toby Oliver, quindi? Perché penso che, a parte fare un buon lavoro nel suo reparto, abbia aiutato anche la regia di Jordan Peele, così come penso che abbia aiutato un sacco Greg McLean in Wolf Creek 2, e sia stato praticamente l’unico professionista decente nel pessimo The Darkness. Ho le prove? No.

E anche perché spunta parecchio nel nongenere horror: lo abbiamo visto all’opera anche nel divertente e piacevole Auguri per la tua morte (Happy Death Day), lo vedremo nel prossimo Insidious: The Last Key (e anche in quel caso, credo proprio che sarà l’elemento di maggior interesse) e altri due o tre titoli fra home invasion (Breaking In) e oscuri traumi del passato (Wildling). Quindi rispetto per questo tipo che, pur lavorandoci, non ama stare sotto i riflettori.


Miglior regia: Trey Edward Shults

Oltre al grande merito di non avere una visione dolciastra e ottimista sull’umanità “che se si impegna se la sfanga” (cosa che trovo sempre banale, ma disastrosa e dannosa in particolare quando si filmano apocalissi e pandemie); oltre a inquietare e porre davanti a dubbi, dilemmi e scelte pesanti, It Comes at Night è soprattutto stile. Stile ovunque, negli incubi come nelle azioni, nelle scene fisse come in quelle in movimento. Uno stile fluido e anguilliforme che credo sia merito anche di Drew Daniels, ma che Trey Edward Shults rafforza, anche per via di una gran direzione e controllo degli attori, elemento spesso raro nell’horror.

Parecchie le scene ansiogene girate magistralmente, e pian piano si finisce con il non riuscire a identificare con sicurezza i confini fra sogno e realtà, fra salute (?) e malattia, e io amo le situazioni nelle quali i confini non sono precisi, identificabili.

Trey Edward Shults ha solo due lungometraggi in carriera, entrambi di gran livello: sono estremamente curioso nei confronti della sua prossima mossa e, come avviene con i fratelli Safdie, non mi importa nulla della tematica o del genere, saprà far bene comunque.


Miglior film: A Ghost Story

Quando guardo o leggo un’opera ci sono alcuni elementi fondanti che mi guidano costantemente e contribuiscono a farmela piacere o meno. Nei film il comparto tecnico ha comprensibilmente il suo peso, ma non è poi così determinante, specie per gli aspetti che contribuiscono alla “spettacolarità”, della quale mi importa ben poco.

Mi interessa lo stile personale: lo spiccare (per quanto sia possibile, nell’arte che più di tutte è legata a conformismo e aderenza ai presunti gusti delle masse, così come al dato economico) in mezzo ai mestieranti.

Prediligo l’originalità delle idee e dello sviluppo e come questa originalità sa confrontarsi con il canone precedente. Presto grande attenzione nei confronti delle metafore e del loro livello qualitativo. Non bado all’intrattenimento né alla facilità: non ho mai bisogno del primo, detesto la seconda.

Mi piacciono profondità, lentezza e difficoltà, mi piace impegnarmi, è soddisfacente; mi interessano anche sottotesti e riflessioni, sia sulla contemporaneità che, ancora di più, quelli di carattere universale e meno legati a una precisa fase storica.

The Killing of a Sacred Deer ha parecchi meriti, ma è comunque un qualcosa che ho già visto, in varie forme, parecchie volte nella mia vita, mentre un qualcosa di così coraggioso e originale come A Ghost Story mi è capitato di fronte ben più raramente.

In più, particolare che a molti potrà sembrare minore ma che per me non lo è, A Ghost Story dice che si possono realizzare ottimi, ottimi film con 100.000 dollari, pur avendo due nomi molto noti nel cast: toglie tante scusanti e lamentele a vari aspiranti registi, italiani in primis. Credo che anche questo sia un segnale importante. Il resto dei motivi per i quali ho amato questo film li potete leggere nel post che gli ho dedicato, sempre qui su La Tela Nera.


L’horror sta bene, grazie

Che questo nongenere stia attraversando un buon periodo di forma oramai non è più un mistero per nessuno. Quando persino testate generaliste come Il Post pubblicano articoli quali È un gran momento per i film horror, così come quando il Guardian si occupa ripetutamente della questione con articoli di vario tono e genere, mi pare che questo successo sia conclamato anche al di fuori di chi ha sempre seguito questo tipo di pellicole.

Lasciamo perdere i contenuti e l’approccio di questi articoli che vi ho linkato: aspettarsi conoscenza e profondità di analisi da persone non specializzate mi pare irrealistico, ma sono spie utili per cercare di capire se sia vero o meno che l’horror sta bene.

Ci sono anche altre spie, di vario tipo. Il volume generale delle discussioni online mi pare aumentato. Esso ha raggiunto probabilmente il top con la diatriba estiva sulla questione del post horror (QUI l’articolo scatenante, QUI una delle tante reazioni) che mi ha lasciato perplesso non tanto per l’articolo del Guardian, che non mi interessa e non mi riguarda (non sono suo target ideale) ma le cui motivazioni comprendo, trattandosi appunto di stampa non specializzata; quanto per le reazioni scandalizzate da parte di molti esperti.

Mi domando cosa mai, coloro che hanno reagito così, si aspettassero da pezzi di quel tipo. Chiunque bazzichi qualsiasi tipo di scena dovrebbe essere abituato da tempo all’esigenza generale di trovare sempre nuove etichette: dare importanza a definizioni come “post horror” è quanto meno ingenuo e sa tanto di adolescente in cerca di identità. Scandalizzarsene è ancora più grave: teniamo sempre a mente quel che Pasolini e, più che altro, Moravia si dicevano sullo scandalo: vi sentite davvero in qualche modo minacciati dalle parole di Steve Rose? Avete in qualche modo paura che altre persone utilizzino il termine? Avete forse notato una sua rapida diffusione nella seconda età del 2017? E se anche diventasse il termine più diffuso del 2018, a voi o all’horror succederebbe qualcosa?

Oltre all’aumento del numero e livello di discussioni sul tema, c’è ovviamente anche un dato che, per quanto non mi interessi e non sia mai mio metro di giudizio, trovo anche che sia l’unico elemento “oggettivo”, incontestabile: gli incassi.

L’horror se la passa bene anche nel portafoglio.
Andiamo a guardare i primi 100 titoli nella classifica dei domestic grosses di Box Office Mojo: ci sono parecchi horror che si sono comportati molto bene.
Lasciamo perdere la qualità dei titoli presenti, che è nozione soggettiva, ma dal punto di vista dei dollaroni è stata una gran bella stagione: molti horror nei primi 100, parecchi dei quali con incassi ottimi o più che buoni.

Conta?
Non ci ho mai pensato. L’idea più immediata che può passare per il cervello è che maggiori incassi significheranno ancora più titoli in produzione, ma se quei titoli saranno roba alla It, Annabelle: Creation o vari Underworld e Resident Evil, io in qualità di spettatore ci perderò, ma pazienza, è comunque un indicatore oggettivo di grande importanza.

Si parla in generale di un evidente calo qualitativo per quel che riguarda le proposte hollywoodiane, di ogni tipo: non ne ho esperienza diretta perché non guardo parecchi tipi di film, ma ne leggo spesso negli articoli di varie testate.
Ciò NON sta accadendo all’horror: vero, spuntano con una certa frequenza prodotti derivativi, sequel e remake che non hanno nulla da dire, ma allo stesso tempo sono anche tanti i prodotti originali che forniscono nuovi spunti, idee, approcci e linfa vitale.

Proprio in un periodo di scomparsa di parecchi dei vecchi maestri (e, dispiacere per la fine di una vita a parte, posso aggiungere: finalmente, che liberazione!) notiamo che con grande, grande frequenza molti dei migliori horror contemporanei sono stati creati non da mestieranti e/o registi abituati da tempo a frequentare il genere, ma da esordienti e cineasti “estranei” allo stesso.

Questo, a parer mio, è uno dei dati più interessanti perché significa un apporto di visioni differenti, che si scostano dal canone e che talvolta nemmeno lo conoscono a fondo. La generale stanchezza nel vedere l’ennesimo episodio di qualche logoro personaggio o saga, pur presente, ricorre molto di meno nell’horror rispetto ad altri campi. La larghissima parte dei titoli migliori (ovvio: per me, ma mi sembra di essere in buona e abbondante compagnia in questa percezione) degli ultimi anni è composta di opere nuove, originali, che non sono strutturate per compiacere qualche tipo di spettatore che vive il cinema come, ripetizione continua, generatore di miti e religioni laiche (a tal proposito, per un buon approfondimento, potrebbe interessarvi la lettura de Il mito profanato, di Fulvio Carmagnola).

È una tendenza ottima anche perché, come dire, sottrae campo e potere ai true believer, ai fan, a tutti coloro che pensano di sapere e, di conseguenza, ritengono di essere i più titolati a stabilire quel che va bene e quel che no, quel che è horror e quel che non lo è. E anche questo è un fenomeno in controtendenza rispetto a buona parte del resto del cinema occidentale/statunitense contemporaneo. Occorre sottrarre l’elemento fideistico dall’equazione, e l’horror perlomeno ci prova.

Alberto Savinio, nella Nuova Enciclopedia, scriveva: “La cultura ha principalmente lo scopo di far conoscere molte cose. Più cose si conoscono, meno importanza si dà a ciascuna cosa: meno fede, meno fede assoluta. Conoscere molte cose significa giudicarle più liberamente e dunque meglio. Meno cose si conoscono, più si crede che soltanto quelle esistono, soltanto quelle contano, soltanto quelle hanno importanza. Si arriva così al fanatismo, ossia a conoscere una sola cosa e dunque a credere, ad avere fede soltanto in quella.”

Non abbiamo bisogno di fan e zeloti e l’horror contemporaneo è quello che più sta generando anticorpi efficaci contro questa tendenza. E non dimentichiamo l’aspetto edonistico della cultura: conoscere, oltre a generare potere, genera gran piacere, che è in definitiva un mio faro guida nella vita così come nell’horror.

La grande libertà tematica e realizzativa che caratterizza parte di questo immaginario deriva anche, come ho già scritto in altre occasioni, dalla sua particolare dimensione economica. Non pretendo che tutti i registi siano come David Lowery, che se la cava con 100.000 dollari, ma moltissimi horror di livello dignitoso costano molto poco e, accanto ai registi esordienti, offrono spesso spazio ad attori e attrici poco conosciuti.

Costare poco significa non essere costretti a guadagnare tanto, non essere costretti ad attirare molte persone, significa non doversi conformare e uniformare, non dover puntare sul potere d’acquisto di persone nostalgiche che ora hanno i soldi, né doversi limitare per evitare ogni censura e attirare quindi le famiglie. Ciò amplifica a dismisura i temi e le soluzioni, in più si può sempre fare come Lowery, che gira un film Disney e poco dopo, per una frazione del costo, il film che vuole lui.

Poche settimane fa abbiamo assistito all’ennesima acquisizione Disney che ora, volendo fare conti approssimativi e sicuramente errati, ma non credo di tanto, è come se possedesse i diritti su un tre quarti dell’immaginario, fantastico o meno, occidentale e per alcuni versi mondiale.

L’horror si sottrae anche a questa logica, anche a questo dominio e non è costretto a farsi dettare ogni minimo particolare da una ristretta cerchia di produttori che ricorre ovunque, con la stessa mentalità, visione, metodi e scopi. Produttori che hanno il demerito, per quanto mi riguarda, di aver creato una generazione di spettatori che, ancor prima che narrativamente, è ignorante (e bulimica) dal punto di vista visivo.

Accanto all’ultima acquisizione, la Disney ha annunciato lo sviluppo futuro di una sua piattaforma in stile Netflix: sarà con buona probabilità il colpo definitivo ai grandi schermi, che continueranno a esistere ma rivestiranno sempre minore importanza. Ci sta: un tempo andavano di moda i madrigali, ora è difficile ascoltarli alla radio, in tempi più recenti il circo era molto frequentato, ora molto meno, tutto cambia e ci sta. E, ennesima prova della versatilità sia dell’horror che di chi lo ama, ciò non ci danneggerà più di tanto, in particolare noi italiani.

È dagli anni Ottanta che sono abituato a dover vedere i miei titoli preferiti su vhs ricevute per posta da vari angoli del mondo, copiate così tante volte e passate attraverso così tante mani, riuscendo a gustarmi al cinema solo una frazione di quanto avrei voluto, che non ci vedo questa gran perdita. Anzi, è un miglioramento rispetto ad allora: ora ci sono televisori infinitamente migliori e copie di grandissima qualità.

Questo 2017, passando agli aspetti negativi, ha confermato ed esasperato una tendenza già in atto da anni, che ora ha assunto toni e aspetti preoccupanti: la divisione, l’odio, l’incapacità di dialogo, l’offesa e l’insulto come uniche monete di scambio.
Pubblico contro critica, ma anche pubblico contro pubblico, con picchi di violenza verbale allarmanti.

Il disprezzo del pubblico nei confronti della critica è attitudine antica che però ora, complice il fatto che attraverso i commenti online è possibile “confrontarsi” con professionisti di testate autorevoli a livello mondiale, si è amplificato enormemente.

Fa parte di una trasformazione più ampia che possiamo purtroppo constatare ogni giorno: in fondo, se dei genitori possono contestare medici con decenni di studi e ricerche alle spalle, mettendo in pericolo la salute dei loro bambini e di quella di altri, contestare e offendere dei critici cinematografici è ben poca cosa, al confronto.

“Intellettuale” è definitivamente diventato un termine negativo, un’offesa, e vengono seguiti (ed eletti) personaggi che si vantano di non essere intellettuali e quindi (per un percorso illogico) di essere più veri, sinceri e dalla parte del popolo.
E pensare che ognuno di noi è, in vari gradi e misure, un intellettuale.

Ma il regime di odio e offesa ora riguarda anche il pubblico contro il pubblico, lo spettatore contro lo spettatore. Spesso sembra essere ormai impossibile che un film, a prescindere dalla sua realizzazione, possa piacere ad alcuni e non piacere ad altri e, partendo da lì, discutere al massimo sui “perché”.
Se non sopporti un titolo che ho amato non capisci niente, e lo stesso vale per il contrario. E devi morire male.

Credo, è l’unica vera motivazione che sono riuscito a darmi, che dipenda dal fatto che sempre più spesso molti fra noi affidano e costruiscono la loro identità sulla base dei consumi, e quindi se a Tizio non piace il film preferito di Caio, questi la avvertirà non come un’opinione, fondata o meno, ma come una minaccia alla propria identità.

Ciò, unito alle modalità di comunicazione online, che facilitano incomprensioni ed esasperazioni, e alla generale tendenza a odiare l’altro (è uscito recentemente un buon articolo di Robert Sapolsky al riguardo, tradotto in italiano sul numero 1234 di Internazionale), porta a questa catastrofe comunicativa nella quale ci si offende e minaccia sulla base di filmetti pop che cadranno nell’oblio fra pochissimo tempo.

Ma persino in mezzo a questo disastro, l’horror ne esce comunque meglio, con un clima generale di discussione che, pur scadendo sovente in questi loop, ne è meno succube rispetto ad altri generi e temi.

Quindi per questi, e per altri motivi ai quali ho accennato nel pezzo sui film del 2018: sì, l’horror sta molto bene, accontenta spettatori ben diversi fra loro ed è in continua evoluzione, godiamocela fino a quando dura e ricordiamoci che abbiamo avuto periodi molto, molto più brutti e desolanti.


Ma quanti horror vedi?

Questa sezione è incompleta, andrà meglio il prossimo anno. Man mano che si cresce vari impegni obbligatori e nuove passioni che si aggiungono alle vecchie comportano mutamenti, è naturale.
In questi ultimi anni il tempo a disposizione, unito a una crescente insoddisfazione per buona parte della cultura pop, ha comportato bruschi cambiamenti nei miei consumi.

Sono anni che non leggo un fumetto, non ascolto più musica (se non, appunto, nei film, che ascolto anche al di fuori del contesto filmico) e non leggo più quella che (in modo brutale e che non mi soddisfa) viene definita narrativa di genere. Non videogioco, se si eccettua Path of Exile che pratico da anni, più come pallina antistress che per cultura videoludica, della quale sono privo e ignorante come una capra. Non ho giudizi nei confronti di questi prodotti, è che semplicemente non soddisfano più le mie esigenze e sottraevano tempo ad altri interessi e attività.

L’amore per i film, così come per certo tipo di letteratura e per molta saggistica è rimasto invariato e anzi, è aumentato, ma nel caso dei film guardo pochi prodotti hollywoodiani (che non significa zero, nel 2017 ho ammirato parecchi titoli medio-grossi) e tendo a interessarmi maggiormente verso quelli che sono definiti indie, con l’aggiunta di vari film “d’autore” (quante definizioni detestabili…).

L’horror è stato ed è la mosca bianca (o la pecora nera) di questo cambiamento: ho cercato di capire perché la mia passione per il cinema horror sia rimasta immutata e, anzi, aumenti con il passare degli anni, ma non ho risposte da offrirmi e offrirvi, le poche che ho preferisco tenerle private.

Non ho preparazione universitaria o studi accademici riguardanti il cinema, ed è uno dei miei pochi rimorsi in vita. Ho cercato di rimediare con letture di manualistica da autodidatta, concentrandomi ovviamente sull’horror ma leggendo un po’ di tutto, accumulando riviste e testi (trovo che alcune università statunitensi sfornino il meglio sulla piazza, così come ultimamente ho trovato molto interessante Horror Studies, tanto per fare un nome, seguendo il link potrete leggerne un numero gratuitamente) e abbandonandone altri negli anni perché non mi dicevano più nulla (l’ultima caduta sul campo è Rue Morgue, alla quale ero molto, molto affezionato, ma che dopo la fuoriuscita di Jovanka Vuckovic non è stata più la stessa).

Le riviste horror Rue Morgue e Nocturno
Nocturno e Rue Morgue, punti di riferimento horror per molti.


Ma la sensazione di disagio, inadeguatezza e ignoranza permane, per quanto io possa sforzarmi, anche a causa della mia mancanza di memoria. Parlo spesso di questo dato ma voglio farvi un esempio, per farvi capire cosa significhi “davvero” mancanza di memoria: mentre vi scrivo ho provato a ricordare i titoli dei film girati da Wes Craven (nome scelto a caso, non lo amo particolarmente): ne ho ricordati solo 3 e 1 era errato. Ne ha girati 29, li ho visti tutti e molti li ho visti più volte, fra cinema e tv. Penso che anche chi non segue l’horror saprebbe citarvene più di me.
Accadrebbe la stessa cosa con qualsiasi altro regista o attore o sceneggiatore, e non saprei dirvi con precisione di cosa parlano molti film che ho visto e rivisto: Google mi ha salvato la vita, da questo punto di vista. Insomma, dal vivo sarei un disastro.

Oltre alla lettura di saggistica, riviste, siti e blog, l’altro mio rimedio è l’alto numero di visioni: credo che per avere una comprensione di quel che accade nell’horror sia basilare vedere quanti più film possibile, anche quelli che son già sicuro in partenza che non mi piaceranno. E di più nazioni possibili, anche se in certi casi (più che altro l’Estremo Oriente) sento che la mancanza di conoscenza della cultura di quel Paese mi rende difficile la comprensione di molti aspetti, ed è il motivo principale per il quale non scrivo di film sudcoreani o giapponesi. Ma cerco di vedere di tutto, ultimamente si stanno aggiungendo alcune nazioni africane e credo che, come tutto il continente, ci riserveranno parecchie sorprese in futuro.

Tante visioni horror vuol dire, sia chiaro, anche tanta merda, senza mezzi termini. E il tempo a disposizione latita: ho quindi cominciato da qualche anno a tagliare il tempo di visione quando un film non mi interessa, interrompendo entro la mezz’ora. Mi pare un modo di salvare capra e cavoli: ho comunque un’idea generale del prodotto (e dei motivi per i quali non mi attira), posso collocarlo storicamente, dal punto di vista produttivo e per il suo impatto (o assenza di) sulla scena, ma spreco meno tempo.

Non è qualcosa che faccio automaticamente per tutti i film che detesto: alcuni li completo, di solito i titoli maggiori, quelli dei quali voglio comunque conoscere la conclusione, e quelli né belli né brutti. Ho un solo modo di classificare un horror: o mi è piaciuto o no. Se un film mi è piaciuto vuol dire, semplicemente, che ho voglia di rivederlo più volte.

E se mi è piaciuto e devo/voglio scriverne, allora lo vedo una seconda volta prendendo appunti con penna e taccuino e, mentre scrivo il post, lo tengo come sottofondo in cuffia.

Quel che segue è un elenco parziale degli horror visti nel 2017. Parziale perché purtroppo mi son svegliato tardi a segnare i titoli e ho perso memoria di alcuni. Direi che a occhio e croce ne manca una cinquantina, ma per essere sicuro diciamo che manca all’appello una trentina di film. Il prossimo anno sarò molto più preciso.

Perché questo elenco? Perché serve a me e perché credo possa servire anche a voi: magari troverete titoli che non avete sentito menzionare e sarete contenti di poterli recuperare. A me serve per soddisfare una mia curiosità: che percentuale di quella che ritieni la tua passione principale ti reca realmente piacere?

Cerchiamo di scoprirlo.

Un fotogramma dal film The Autopsy of Jane Doe
Olwen Catherine Kelly è il cadavere protagonista di The Autopsy of Jane Doe.


Horror 2017 che mi sono piaciuti (36)
The Autopsy of Jane Doe - Better Watch Out - Beware the Slenderman - Cold Hell - Colossal - Creep 2 - Cult of Chucky - A Dark Song - Elle - Get Out - A Ghost Story - The Girl with All the Gifts - Happy Death Day - Here Alone - It Comes at Night - It Stains the Sands Red - The Killing of a Sacred Deer - Lake Bodom - The Love Witch - M.F.A. - A Monster Calls - Most Beautiful Island - Personal Shopper - The Poughkeepsie Tapes - Prevenge - Raw - Red Christmas - Seoul Station - Shin Godzilla - Super Dark Times - Thelma - The Transfiguration - Tonight She Comes - The Void: il Vuoto - We Go On - When Black Birds Fly.

Horror 2017 che non mi sono piaciuti ma che ho guardato comunque fino alla fine (54)
A Cure for Wellness - The Atoning - Aval - The Babysitter - The Bad Batch - Be Afraid - Before I Wake - The Belko Experiment - The Blackcoat's Daughter - Boys in the Trees - Population Zero - Blame! - Brawl in Cell Block 99 - The Bride - Dave Made a Maze - Dead Awake - Devil in the Dark - The Devil's Candy - El Bar - Flatliners - From a House on Willow Street - Galaxy of Horrors - Hangman - Happy Hunting - The House October Built 2 - House of the Disappeared - The Ice Cream Truck - It - Jackals - Johnny Frank Garrett’s Last Word - Killing Ground - Kuso - Leatherface - Let Her Out - Let Me Make You a Martyr - Life - The Limehouse Golem - Little Evil - Mayehm - Mother! - Phoenix Forgotten - Polednice - Quarries - Rings - Shi Mian - Sivalinga - Split - Valley of Ditches - The Vault - We are the Flesh - Wish Upon - Without Name - Wolves at the Door - XX.

Horror 2017 dei quali ho interrotto la visione entro la prima mezz'ora (58)
1922 - 47 Meters Down - Alien: Covenant - American Gothic - Amityville Exorcism - Amityville: The Awakening - Awakening the Zodiac - Anando Brahma - Annabelle: Creation - Asylum of Darkness - Awaken the Shadowman - The Axe Murders of Villisca - Bad Match - Bayama Irukku - The Basement - Bethany - Boo 2! A Madea Halloween - Breakdown Lane - Bright - The Bye Bye Man - Camera Obscura - Child of Satan - The Covenant - The Cropsey Incident - The Crucifixion - Cute Little Buggers - Darkness Rising - The Dark Tapes - The Dark Tower - Death Note - Dementia 13 - Dobaara - Don't Hang Up - Dora - Eloise - Eat Local - The Elf - The Evil Within - Gerald's Game - Getting Schooled - Ghost of Darkness - Ghost House - Ghost Note - The Gracefield Incident - Granny Dead - Gremlin - The Hatred - Haxx Deadroom: A Cyberpunkzz Story - House on Elm Lake - Inside (diverso dal prossimo titolo) - Inside: A Chinese Horror Story - The Institute - Jeepers Creepers 3 - Jigsaw - Lake Alice - Land of Smiles - Lycan - The Man in the Shadows - Mona Darling - Monolith - The Monster Project - The Mummy - Needlestick - Nails - Nightworld - Open Water 3 - Pitchfork - The Raking - Ravenswood - Resident Evil: Vendetta - Residue - Rizen - A Room to Die for - Rum - Sacrilege - The Sandman - Sangili Bungili Kadhava Thorae - The Shadow Man - Shut In - Slumber - The Snare - The Sound - The Snowman - Spreading Darkness - Stakelander - Temple - Totem - The Toymaker - Two Pigeons - Underworld: Blood Wars - Unhinged - Vampire Cleanup Department - Veronica - The Wake - The Watcher in the Woods - Whispers - WTF! - Zombies.

Concludendo: 36 film piaciuti vuol dire 3 al mese, metterei la firma per sempre a una media come questa. Aggiungendo la trentina di titoli che non ricordo tocchiamo quota 178 in totale. Mi è piaciuto quindi il 20% di quanto ho visto, che vuol dire che 1 horror ogni 5 che vedo ha possibilità di interessarmi: niente male e sicuramente di più di quanto pensassi prima di fare i conti.

Se sei arrivato a leggere fino a questo punto sei stato eroico e non posso far altro che ringraziarti e prometterti un maggiore impegno nel 2018 che comincerà, su La Tela Nera, con un post su un film che mi è piaciuto molto ma sul quale non avrei voluto scrivere nulla, scoprirai presto il titolo.

Stay horror!


La Tela Nera Horror Movie Awards 2017
Articolo scritto da: Elvezio Sciallis
Pubblicato il 31/12/2017
Fonte: LaTelaNera.com


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