Recensione
Donkey Punch

Donkey Punch: visiona la scheda del film Il Donkey Punch del titolo è una pratica sessuale che sconfina largamente nel territorio delle leggende metropolitane: mentre si penetra una ragazza alla pecorina, quando si è vicini all'orgasmo, la si dovrà colpire con un violento pugno alla base del collo. Gli spasmi della morte provocheranno una serie di contrazioni in grado di garantirvi l'orgasmo più intenso mai provato.

E questo è solo l'inizio di questa piccola, violenta e sgangherata pellicola inglese che parte, valutando con il senno di poi, con una giusta combustione lenta: circa trenta minuti di bevute al bar, corteggiamenti e bagatelle varie, una not-so-american pie on the sea, prima che il più delinquente del gruppo estragga tutto il suo armamentario di droghe e strani racconti.

Ma sono trenta minuti spesi bene, fra costruzione di psicologie sicuramente banali ma tutto sommato distanti dagli standard americani, così come distanti dagli standard sono corpi e volti degli attori coinvolti, un gruppi di giovani senza infamia e senza lode che svolgono discretamente il ruolo di morituri senza rinunciare a un certo lavoro di approfondimento caratteriale, in particolare per quanto riguarda il più giovane fra loro.

Questi sette piccoli indiani, una volta avviata la crudele giostra panica del massacro, non si risparmiano nessun colpo basso, né a parole né con i fatti: accuse e ricatti, razzi di segnalazione sparati nel basso ventre e coltellate, fino all'apoteosi finale di un corpo sventrato a colpi di elica.

Il Donkey Punch messo in cantiere dal televisivo Oliver Blackburn sembra voler mostrare a tutti i costi quanto l'uomo sia crudele, inetto e spietato se messo sufficientemente sotto pressione e sebbene l'esito della lunga gitarella al largo delle coste sia scontato fin dalle primissime inquadrature, scontati non sono certi sviluppi di trama e alcune evoluzioni nei caratteri delle persone coinvolte.

Le ragazze istericoleggiano il giusto mentre i maschietti borghesotti si fanno vincere dalla paura al pensiero di tutto quello che avrebbero da perdere: i deboli diventano feroci sciacalli e quelli già delinquenti vedono l'opportunità di tentare la scalata sociale senza rinunciare a una sana dose di cattiveria e violenza. Siamo dalle parti del solito lupacchiotto hobbesiano e le pecore impareranno ben presto a farsi crescere zanne e artigli.

A dar man forte alla regia (funzionale e poco più) di Blackburn arrivano da un lato l'unità spaziotemporale imposta da sceneggiatura e scenografia e un ottimo uso del sonoro, sia per quanto riguarda rumori e interferenze elettroniche sia per quel che concerne il parlato dei personaggi, più o meno decifrabile a seconda delle situazioni e degli ostacoli.

Pur trovandoci di fronte a uno dei prodotti britannici più vicini a certi moduli statunitensi, o forse proprio per questo, c'è da tirare un sospiro di sollievo per come sono stati evitati certi sviluppi, dialoghi e risvolti che avrebbero segnato il destino di una pellicola del genere in mani meno accorte, e tremo al solo pensiero di come sarebbe stata girata la scena dell'orgia se in cabina di produzione ci fosse stata una delle abituali case di produzione horror a stelle e strisce.

Blackburn proviene da Survivors e altre bagatelle televisive ma ha l’indubbio merito di saper far rendere al meglio il budget limitato e di non esitare mai né di fronte al sesso né di fronte al gore, mettendo in scena due o tre omicidi che rimarranno nella memoria degli appassionati.

Donkey Punch: raccomandato a chi ama situazioni come Calma Piatta e Open Water, il tutto mischiato a qualche dose di droghe russe, hipsterismo di massa e lontani echi della gente da Ibiza…


Titolo: Donkey Punch
Titolo originale: Donkey Punch
Nazione: Gran Bretagna
Anno: 2007
Regia: Oliver Blackburn
Interpreti: Nichola Burley, Jaime Winstone, Tom Burke, Julian Morris, Robert Boulter, Sian Breckin, Jay Taylor

Recensione del film Donkey Punch
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 02/01/2009


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