Nel corso degli anni diversi sono stati i tentativi di adattare i Libri di sangue pubblicati da Clive Barker tra il 1984 e il 1985 e mediamente tutti infruttuosi, se escludiamo Candyman - Terrore dietro lo Specchio. Tra quelli distribuiti in Italia, Il signore delle illusioni, diretto dallo stesso Barker, è poco più che un mero oggetto per collezionisti e Prossima fermata: l'inferno (Midnight Meat Train) è un film che non riesce a tenere in equilibrio gli eccessi grotteschi del regista di Versus e il contesto di follia e morte.
Di questo Book of Blood (Libro di Sangue) è pienamente responsabile John Harrison, sceneggiatore, regista, attore, compositore, assistente alla regia per George A. Romero, nonchè in generale uno che può vantare un lungo curriculum su più versanti nell’horror low-budget e televisivo. Harrison realizza un film fedelissimo al racconto introduttivo e al postscript dell’edizione inglese (On Jerusalem Street), nel tentativo di avere a disposizione materiale sufficiente per un lungometraggio e, si suppone, nel tentativo fin troppo ottimista di dare avvio ad una serie iniziando con rispetto filologico dal principio.
Il problema è che la qualità del generale del prodotto è mediocre: in linea con le ricche produzioni televisive di oggi, ma non abbastanza d’impatto per sfondare al cinema.
Dopo il successo dei Masters of Horror il coraggio di dare vita ad una nuova serie horror qualche produttore avrebbero potuto trovarlo, ma in questo caso qualcuno ha peccato di ambizione, non possedendo i mezzi, o ha sopravvalutato l’appeal del nome Barker, con il risultato di un ennesimo film da vedere giusto per colmare 90 minuti di noia.
Harrison non è privo di talento.
La sceneggiatura è quasi perfetta, incastra i due racconti in modo ottimale e sfrutta digressioni e non linearità per evitare il pericolo sempre imminente di far crollare nel tedio lo spettatore. Fallisce miseramente nella ripetitività di alcune frasi, tanto che, dopo la terza volta che viene esposto, il discorsino sulle autostrade percorse dai morti che intersecano il mondo dei vivi lo potete già recitare a memoria e una sforbiciata di dieci minuti avrebbe aiutato ad evitare questi punti morti retorici e prolissi.
La fotografia, satura e cupa al tempo stesso, crea la giusta sensazione di soffocamento e di claustrofobia (la storia si svolge quasi interamente in una casa residenziale), ma non riesce a nascondere i difetti di FX approssimativi o di parti girate in digitale, che fanno precipitare la qualità generale del prodotto.
Il cast, praticamente costituito da quattro persone, svolge dignitosamente il lavoro e Sophie Ward, nei panni di una studiosa di paranormale, sostiene sulle sue spalle tutta la tensione, anche se l’evoluzione psicologica del suo personaggio appare repentina, trasformandosi da curiosa tormentata a carnefice senza scrupoli.
Funziona, invece, il gore, distillato in rare, ma pesanti dosi, distribuito con efficacia nel contesto di un film che preferisce diluirsi con un ritmo lento intervallato da sequenze di rumori improvvisi e voci che si affastellano, lasciando immaginare oscene sofferenze (fino a rivelarle solo nel grandguignolesco finale) e molto più disinibito nell’esporre nudità maschili e femminili.
Il dubbio che permane è che, pur essendo Harrison in grado di gestire l’angoscia non mostrando nulla, non si tratti di scelta artistica, ma condizionata dall’esiguità del plot e del budget.
Se il fantasy-horror deviato al sadomaso di Barker vi intriga e preferite un lungo climax di paura, invece di una sequela di cheap-thrill o shock gratuiti, Book of blood potrebbe piacervi e qualche brivido crudele è presente (la scena della “crocifissione”), ma lo stile di Harrison non è adatto o all’altezza di un immaginario orrorifico che sfocia nel fantastico e nel soprannaturale. E quando si trapassa su quel piano, l’imbarazzo fa capolino.
E’ presente una breve ed inquietante apparizione di Doug "Pinhead" Bradley.
Recensione originariamente apparsa su +LoveIsTheDevil+, il blog ufficiale di Lenny Nero.
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