Zombi (Dawn of the Dead) è il secondo capitolo della saga dedicata agli zombi di George A. Romero, iniziata nel 1968 con La notte dei morti viventi. La storia sviluppa lo script del film precedente, raccontando quindi le reazioni degli umani alla presenza dei morti viventi che lentamente, ma in modo inesorabile, prendono possesso della civiltà diffondendo il morbo letale.
Tentare di descrivere questo film sarebbe però impresa assai ardua senza menzionare per prima cosa gli straordinari effetti speciali a cura di un grande Tom Savini in piena fase creativa.
Savini infatti, oltre all’esperienza accumulata durante la guerra del Vietnam (per colpa della quale non aveva potuto partecipare alla prima pellicola) che gli ha permesso la realizzazione di un efficace make-up per i cadaveri ambulanti, inventa anche portentosi effetti grand-guignoleschi di ogni tipo: per quasi due ore di pellicola assistiamo infatti a un vortice di efferatezze fin dai primi minuti, passando in tranquillità attraverso sbranamenti e teste che esplodono, fino a toccare il massimo del gore e dello splatter nel finale, dove, senza voler rivelare nulla, i cosiddetti "malvagi" troveranno la giusta punizione alle loro malefatte.
Il tutto è reso ancora più realistico grazie alla regia di un Romero che, oltre ad aver conferito al film un taglio quasi da documentario, non risparmia in fatto di primi piani sulle scene più truculente, lasciando in generale poco spazio all’immaginazione.
Anche la recitazione è molto credibile ed efficace, grazie alle ottime interpretazioni da parte di una brava Gaylen Ross (Creepshow), qui al debutto nei panni della giornalista Francine che scoprirà un inaspettato istinto di sopravvivenza in se stessa, oltre che quelle di tutto il gruppo di rifugiati.
Inoltre molto cast aggiuntivo (soprattutto riguardante gli zombi) era formato da amici e parenti del gruppo di produzione, come i due bambini che attaccano Peter (Ken Foree, Le Streghe di Salem, La casa del diavolo, Non aprite quella porta - Parte 3) vicino alla stazione di rifornimento che sono i nipoti del curatore degli effetti speciali, e lo stesso Savini recita nel ruolo di uno dei motociclisti che tentano di forzare l’ingresso all’interno del centro commerciale.
Nonostante questo gli zombi risultano davvero ben fatti ed è un piacere vederli muoversi ciondolando per lo schermo, oltretutto rappresentati nei più svariati stadi di decomposizione, a conferma di una lettura in chiave materialista del "personaggio".
Riguardo al montaggio Dario Argento (nei panni anche di co-produttore) curò l’adattamento per il pubblico italiano, togliendo la maggior parte dello humour e lasciando tutte le scene gore, scegliendo anche il titolo "Zombie" per renderlo più simile a un film horror italiano. Queste scelte vennero ripagate da un enorme successo al botteghino, a tal punto che da qui in avanti ci furono numerosi tentativi di imitazione, tra i quali spicca per qualità quello di Lucio Fulci, che girò una specie di sequel non autorizzato (Zombi 2), che gli comporterà una lunga causa giudiziaria, risoltasi con un nulla di fatto.
Inoltre sempre Argento ebbe la vincente idea di affidare la composizione della colonna sonora a Claudio Simonetti e i suoi Goblin, i quali riuscirono a sottolineare grazie a incredibili partiture progressive i momenti più emozionanti e coinvolgenti con melodie ipnotiche, realizzate con sintetizzatori mai invadenti, e addirittura pezzi dalla cadenza di una marcia, fondendosi egregiamente con l’idea dell’avanzata degli zombi.
Ma uno dei motivi per cui Dawn of the Dead viene considerato un capolavoro, anche se leggermente inferiore al suo predecessore, è per la forte valenza simbolica che il regista ha voluto attribuire alla sua saga. Infatti la più pesante ed esplicita critica nei riguardi della nostra civiltà va contro la cosiddetta cultura del consumismo: non è più solo "il diverso" a far paura, ma anche la "povertà" morale, sociale e politica che la società dell’epoca sembra "osteggiare", incapace di opporsi alla propria inesorabile fine.
Non a caso l’ambientazione si svolge in un centro commerciale nei pressi di Pittsburg (le riprese per un certo periodo venivano effettuate solo negli orari di chiusura), e notevole valore ha anche la rappresentazione di come neanche da morto l’uomo riesce a svincolarsi dalla schiavitù del potere economico, ragion per cui gli zombie subiscono inconsciamente una forte attrazione verso oggetti che non possono rappresentare più nulla di fronte al loro stato (chiara metafora dell’inutilità del consumismo).
Un'altra critica toccata dal regista è quella dell’impotenza delle autorità, della gente che si sente bloccata dalla paura o anche da congetture, quali il rispetto della dignità umana, metafora di una società troppo contorta e in piena contraddizione con i principi morali sviluppatisi in migliaia di anni. I mass media rappresentano la summa di tutta questa ipocrisia, mandando in onda in un momento di grossa crisi sociale dei semplici talk show che si rivelano inutili dibattiti con scambi di insulti tra chi non crede ancora alla realtà dei fatti e chi invece vuole solo far aprire gli occhi alla gente comune (tra l’altro il direttore della prima stazione televisiva non è nient’altri che lo stesso George Romero, affiancato da sua moglie!).
Si può quindi affermare che la visione del regista riguardo la nostra realtà è assolutamente pessimistica, infatti "quando all’inferno non ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla terra", ma se nei suoi film i defunti sono in pieno sviluppo questo vuol dire che la saturazione degli inferi è già avvenuta da un pezzo!
In conclusione, Zombi è una delle pietre miliari alla base del cinema horror e non solo, e in quanto tale una visione è obbligata per ogni appassionato, pensando anche a come, nonostante siano passati diversi anni dalla sua realizzazione, certe tematiche siano ancora dannatamente attuali.
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