Ai tempi della sua uscita, nel 2002, il fumetto 30 Days of Night fu una notevole boccata d’aria fresca: quel testo è uno dei principali responsabili del ritorno dell’horror nel campo delle nuvole parlanti.
Sulla carta c’erano tutti gli ingredienti per rovinare una ricetta del genere portandola al cinema. 30 Giorni di Buio ha nella produzione lo zampino di Sam Raimi (la cui Ghost House Pictures non è esattamente una compagnia affidabile), un regista, David Slade del bel Hard Candy, di stampo classico, più interessato a dinamiche cassavetiane che alla gestione di un massacro cittadino di queste proporzioni, e troppa gente a pasticciare con lo script nel tentativo di obbedire a mamma Columbia Pictures.
E, indubbiamente, questi fattori hanno pesato in modo irrimediabile nel distanziare il prodotto finale, il film 30 Giorni di Buio, dalla fonte originale, il fumetto 30 Days of Night: personaggi stravolti, sub-plot evirati e installazione di generatori di entropia logica in alcuni momenti della trama.
Eppure 30 Giorni di Buio funziona su molti livelli, riuscendo a equilibrare le pecche e fargli guadagnare molti punti sul mio personale taccuino.
La perdita delle sottotrame (specie quella della nera di New Orleans che indagava a distanza), snellisce il plot e permette di concentrarci su un assedio romero-carpenteriano. L’assenza di ogni tipo di spiegone paraculo sull’origine e natura di questi vampiri è accolto con un sospiro di sollievo (una volta per tutte, cerchiamo di mettere a fuoco che è sempre il COME, mai il PERCHÉ, ok?).
I personaggi, pur monodimensionali e comprati al discount dei characters durante i saldi annuali, riescono comunque a funzionare egregiamente.
Così come in 30 Giorni di Buio funzionano gran parte degli attori, persino quel Josh Hartnett (Slevin - Patto criminale, The Black Dahlia) che sembra sempre sul punto di diventare un attore di qualche peso e ogni anno rinvia la metamorfosi. Naturalmente a brillare sopra tutti è Danny Huston (Number 23, The Kingdom) nei panni di Marlow, il capobranco delle bestie non-morte: aveva già regalato ottime prove in carriera, su tutte quella in The Costant Gardener.
Ma il punto focale, il perno di 30 Giorni di Buio sono i mostri stessi.
Sono stanco di vampiri in latex e cuoio recampati dai tagli di montaggio di Matrix, stanco di succhiasangue vestiti come stilisti gay pronti a disquisire di pomponi filosofico/estetici al suono dei Rolling Stones, stanco degli “infetti” proni allo spleen della loro condizione malata, un dito puntato su Dio a maledirlo e uno al Diavolo a dirgli “No, no, resisterò!”…
Benvengano quindi queste bestie assurde, finalmente MONSTRUM, finalmente ALIENO, che non si degnano nemmeno di parlare la nostra lingua se non per avvisarci che non sentono puzza di Dio, in uno dei momenti migliori del film.
30 Giorni di Buio viaggia sulle onde della ciclotimia, ma ogni volta che stiamo per dire “eh ma che palle!” ci regala una scena, uno sprazzo, un istante valido, pronto a farci ricredere.
Un'Alaska ricreata in Nuova Zelanda ma non per questo meno credibile. Una memorabile ripresa dall’alto durante il grand guignol. Una romeriana bimba zannuta. Decapitazioni e spruzzi di sangue che spicca sul bianco della neve. Il linguaggio dei vampiri e le loro cacce, il loro sguardo perplesso e divertito sul gregge…
Questi sono vampiri diversi, insieme a Blade 2 i migliori del decennio, una nuova razza slegata da ricordi, bisogni, logiche ed emozioni umane, una razza vincente, in continua evoluzione e non solo priva di qualsiasi forma di empatia (o peggio ancora, dio mio, amore!) nei confronti di noi umani ma (ed è il thinkin’ outside the box del film) priva persino di qualsiasi tipo di “confronto” con noi.
Parlereste voi a un piatto di spaghetti al ragù? Sì, al massimo per dirgli “buono!” prima di affondarci la forchetta.
Peccato quindi che, svoltata la figura del nemico in questo modo, lo script di 30 Giorni di Buio rimanga poi sostanzialmente fedele al fumetto nello svolgimento del finale e non permetta quindi al risoluzione logica di una vicenda del genere: la capitolazione dei dinosauri umani di fronte ai nuovi mammiferi in grado di rubar loro le uova, ovvero il finale nella neve de La Cosa di John Carpenter (lui sì che aveva palle e nervi saldi).
Ma That’s Hollywood, baby! e l’eroe vince e il sole sorge e invece delle lacrime nella pioggia abbiamo cenere nella neve.
Pazienza, 30 Giorni di Buio è comunque un buon film, obbligatorio per i true believers là fuori e qui dentro!
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