Recensione
Cannibal Holocaust

Cannibal Holocaust: visiona la scheda del film Cannibal Holocaust è un prodotto epico della nostra filmografia di intrattenimento con il quale si è soliti identificare un genere tipicamente italiano, cioè il Cannibal Movie.
Si tratta di un filone di opere, prodotte tra il 1970 e la prima metà degli anni ‘80, ambientante in impenetrabili foreste tropicali, dove uno sparuto gruppo di protagonisti vi si avventura per finalità diverse (talvolta per girare un documentario, altre volte per ricercare un tesoro ovvero per rinvenire persone scomparse) dovendosela poi vedere con popolazioni indigene antropofaghe e voraci animali selvaggi.

A gettare le basi del genere è Umberto Lenzi con il suo Il Paese del Sesso Selvaggio, a cui poi seguirono i vari Emmanuelle e gli Ultimi Cannibali (Joe D’Amato), Ultimo Mondo Cannibale (Ruggero Deodato) e La Montagna del Dio Cannibale. Ma è dopo questo poker di opere che il genere ebbe un’impennata di successo e questo grazie al cruento e serrato Cannibal Holocaust.

L’opera ruota attorno a uno script di Gianfranco Clerici (Lo Squartatore di New York, Ultimo Mondo Cannibale, Non si sevizia un Paperino) il quale riesce a estrapolare un soggetto che fa della feroce critica a un certo tipo di giornalismo il suo punto di forza. Si assiste, infatti, alle peripezie di un gruppo di reporter disposti a far di tutto pur di artefare una realtà poco “vendibile” con una bestiale, appositamente messa in scena per rendere più “appetibili” i servizi. Vengono così commesse atrocità di cui solo gli "uomini civilizzati" potrebbero esserne gli artefici (messaggio che viene esaltato dal fatto che gli indigeni, seppur legati a usanze tribali, si rivelano molto ospitali nei confronti delll’uomo bianco).

Un altro aspetto che è stato intelligentemente inserito è costituito dalla totale mancanza di freni inibitori da parte dell’uomo civilizzato senza scrupoli: questi, in un contesto sottratto da ogni forma di controllo, non può che trovarvi la propria mecca (cosa che purtroppo avviene anche nelle zone di guerra).

Nel finale, forse, si sarebbe potuto osare qualcosa di più, evitando di far bruciare il materiale raccolto preferendone una pubblicazione depurata dalle scene più truci (a simboleggiare l'inarrestabilità dello scoop, a prescindere dalla sua verità o meno).

Per chiudere sul soggetto non si può non evidenziare come lo stesso sia stato lo spunto di molte opere successive tra le quali non può non segnalarsi The Blair Witch Project (opera la cui supposta "innovatività" esce decisamente ridimensionata dal confronto con Cannibal Holocaust).

Se da un punto di vista contenutistico il film è tutt’altro che banale, sotto il profilo tecnico deve giudicarsi magnifico.
Deodato confeziona un autentico miracolo, riuscendo a girare in condizioni proibitive. I set si trovavano immersi nella Giungla Amazzonica, al confine con il Brasile e la Colombia (altro che computer grafica o interni appositamente “addobbati”), e per raggiungerli la troupe si trovava costretta a noleggiare canoe e ad attraversare il Rio delle Amazzoni. La quasi totalità delle scene sono state girate una sola volta per imprimere un certo realismo (risultato centrato in pieno), ma soprattutto per le mutevoli condizioni ambientali.

Geniali un paio di trovate di Deodato, come la scelta di sporcare la parte di pellicola che vede coinvolti il gruppo di reporters e di diversificare i formati delle riprese a seconda di chi vi fosse coinvolto.
Ottime notizie anche sotto il profilo del ritmo e della scelta delle inquadrature.

Coraggiosissima (forse anche troppo) la volontà di spingere senza remore sul pedale della violenza. Siamo alle prese con un film iper-violento che snocciola frangenti al limite della sopportazione (quali stupri, impalamenti, smembramenti di animali, amputazioni varie, decapitazioni e via dicendo), al punto da costare severi strascichi giudiziari per il regista e la sua equipe, peraltro alimentati dall’improvvisa scomparsa del poker di attori interpreti dei reporters (escamotage - evidentemente riuscito - studiato dalla produzione per spacciare l’opera come vera).

Deodato venne accusato dalla magistratura, addirittura, di omicidio (!?) al punto da esser costretto per scagionarsi completamente a far comparire in aula gli attori utilizzati nelle riprese e a ricreare taluni effetti speciali (tipo la "famosissima" donna impalata). In ogni caso, quanto sopra, non evitò a Deodato una condanna penale per le violenze inflitte sugli animali (pratica, purtroppo, in voga all’epoca, basti pensare a quanto avvenuto in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola).
L’opera, invece, fu sequestrata dopo pochi giorni di proiezione e bloccata per ben quattro anni. È tuttora censurata in più di uno Stato.

Non si può, poi, parlare di Cannibal Holocaust senza menzionare la magistrale colonna sonora di Riz Ortolani, con un main theme così soave e armonioso da rendere ancora più truci le immagini dei massacri che scorrono sul video. Notevole anche la fotografia (Sergio D’Offizi) e le scenografie dell’emergente (all’epoca) architetto Antonello Geleng (sarà in seguito felice collaboratore, tra gli altri, di Dario Argento, Lamberto Bava, Michele Soavi e Sergio Martino).

Nel cast artistico si segnalano un pugno di attori (molti dei quali ingaggiati, per la perfetta conoscenza dell’inglese, in una scuola di recitazione di New York) di quarto ordine e un’infinità di amatori.
Nonostante questo, però, le performance sono più che accettabili (altro merito di Deodato, quindi). Incredibile, se comparato alle produzioni hollywoodiane, l’impegno profuso da questo cast di sconosciuti, disposti per pochi soldi a rotolarsi nel fango o a immergersi in fiumi infestati da piranha. Inutile dire che tale dedizione conferisce alla pellicola una spiccato senso di realismo.
Tra i più noti si segnalano un giovanissimo Luca Barbareschi (senza scrupoli quando spara a un porcellino), Robert Kerman (comparirà in altri cannibal movie come Cannibal Ferox e Mangiati Vivi!, prima di finire nel cinema porno) e Perry Pirkanen (fugace apparizione per lui in Paura nella città dei morti viventi di Lucio Fulci).

Gore a profusione con effetti speciali curati da Aldo Gasparri. Si segnala, infime, la presenza di Lamberto Bava come aiuto regista.

Visione consigliata, così come l’acquisto del sostanzioso DVD curato dalla Alan Young Pictures (con circa un'ora di contenuti extra e simpaticissimo scherzo iniziale che mi fece imprecare quando, dopo aver acquistato il film, azionai per la prima volta il DVD).


Titolo: Cannibal Holocaust
Titolo originale: Cannibal Holocaust
Nazione: Italia
Anno: 1980
Regia: Ruggero Deodato
Interpreti: Luca Barbareschi, Francesca Ciardi, Robert Kerman, Perry Pirkanen, Salvatore Basile, Ricardo Fuentes

Recensione del film Cannibal Holocaust
Recensione scritta da: Matteo Mancini
Pubblicata il 12/06/2009


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