C’era un periodo in cui il cinema italiano era una fornace inesauribile di generi e pellicole. Era il periodo d’oro del Cinema di Genere, per l’appunto: tra poliziottesco, commedie erotiche, western e horror. All’interno dell’ultima categoria, si sviluppò un filone destinato a segnare la cinematografia del periodo: il Cannibal Movie.
La data: febbraio 1980. "Monsier Cannibal" Ruggero Deodato mostra al pubblico uno degli horror più immensi e devastanti di sempre: Cannibal Holocaust. Capitolo centrale delle sue tre opere sul tema: Ultimo mondo cannibale, Cannibal Holocaust e Inferno in diretta.
Tra censure, processi, proteste, l’opera diventa subito un classico eterno e modello di riferimento del sottogenere. I più celebri artigiani del cinema italiano ci si cimenteranno: Joe D’Amato (solo per citarne uno: Antropophagus) e Sergio Martino (La montagna del dio cannibale) su tutti.
Il primo però fu Umberto Lenzi, con Il paese del sesso selvaggio, del 1972. Ma qui tratteremo del capitolo estremo della sua escursione: Cannibal Ferox.
Il motivo di tale incipit è per capire che quando Cannibal Ferox esce nel 1981, il genere Cannibal ha detto pressoché tutto. Gli stereotipi, i tratti salienti, i pretesti narrativi sono stati usati e logorati. La linfa vitale data da Deodato è sgorgata dalla volontà di andare ancora più oltre.
Dallo sconvolgere letteralmente lo spettatore, valicando barriere considerate insuperabili. Come? Torturando veramente gli animali, spacciando per vera ogni scena di violenza insostenibile. Facendo girare la parola "snuff".
Umberto Lenzi segue tale scia. Non si preoccupa di riformare il genere rivoluzionando la sceneggiatura o dando nuovi messaggi. Non si preoccupa nemmeno di svecchiare o aggiungere un tocco personale. Lenzi vuole solo calcare la mano sulle scene di tortura e gore.
Accenniamo alla trama: Gloria, laureanda in Antropologia, parte con il fratello e un’amica per l’Amazzonia. Punto di partenza: Colombia. Vuole dimostrare che il cannibalismo non esiste. Che è un mito bugiardo, un espediente per il colonialismo. Durante la spedizione, incontreranno Mike (interpretato dal mitico Giovanni Lombardo Radice): spacciatore di New York in cerca di smeraldi per pagare un debito.
Cannibal Ferox inizia con il classico parallelismo tra la metropoli e la giungla. Dai grattacieli agli alberi e i fiumi. Più si incede nel verde e nella vegetazione, e più Lenzi mostra con scrupolo documentaristico gli orrori del posto incontaminato: insetti giganteschi e repellenti appostati in ogni angolo, come i mortali predatori. Mentre una colonna sonora acida e sintetizzata fa da accompagnamento.
Nel mostrare la spietatezza del contesto, la scena davvero forte è quella dove il piccolo maialino viene stritolato dal serpente. Impietosa la macchina da presa filma la morte in diretta. Ma è solo l’inizio, poiché Lenzi non lesinerà scene – ormai diventate cult – di iperviolenza assoluta.
Il tutto per mostrarci gli indios come brutali e pericolosi. Occhi cavati, eviscerazioni, evirazioni, e l’infierire su una tartaruga, a quanto pare, animale privilegiato del genere per lo sfoggio di massacro brutale.
Agli umani non verrà riservata sorte migliore, anzi. Ormai nelle antologie le torture su Lombardo Radice e l’amica di Gloria. A tutt’oggi tra le scene più cruenti e forti dell’horror.
Più debole per coerenza e finalità rispetto al capitale Cannibal Holocaust, Cannibal Ferox (che all’epoca venne bannato in mezzo mondo) rimane comunque un pregevolissimo e sconcertante film di genere, sempre amatissimo e venerato dai fan di tutto il mondo. Statico sulla questione: “Chi sono i veri cattivi?”, riesce comunque a rimanere indelebile per la ferocia – spesso gratuita – di alcuni momenti ormai entrati nell’Olimpo nero dell’Orrore.
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