Recensione
La Casa dalle finestre che ridono

La Casa dalle finestre che ridono: visiona la scheda del film La casa dalle finestre che ridono, vero e proprio cult movie di Pupi Avati, ha già compiuto 35 anni, e mai come oggi ogni appassionato di cinema dell'orrore (e non) ha la possibilità di apprezzarlo in tutto il suo fascino (restaurato e rimasterizzato in digitale dalla Fox): quello delle opere povere, realizzate con infime disponibilità di denaro e personale, grossolane per certi aspetti, ma in realtà ricchissime d'idee, raffinate narrativamente e coinvolgenti nelle atmosfere.
Opere che definire autentici colpi di genio non sarebbe poi così azzardato.

Avati, reduce dall'insuccesso di Bordella ('75), decide l'anno seguente di confrontarsi con un genere a lui inedito e di puntare al consenso di pubblico e critica con un film di paura, sull'onda del grande successo di Profondo Rosso ('75) e in generale di tutto il neonato thriller all'italiana.

Con circa 150 milioni di vecchie lire e coadiuvato da un team di sole 12 persone per tutti i ruoli della produzione, il regista bolognese, attingendo romanticamente per l'ambientazione da una Romagna rurale e arcaica, scrive col fratello Antonio Avati (qui anche produttore e scenografo), con Gianni Cavina (interprete dell'autista Coppola) e Maurizio Costanzo una favola nera dall'intreccio complesso ma coerente, un horror gotico dall'atmosfera agghiacciante in virtù, soprattutto, della sua atipicità.

Molti elementi concorrono alla creazione di quella suspense sottile e di quel senso di macabro e malato che si respirano già dalle prime sequenze, quando Stefano giunge al paese e vengono presentati i luoghi principali della vicenda: il cuore del villaggio (albergo e taverna) e la chiesa contenente il misterioso affresco.

Gli elementi profilmici di La casa dalle finestre che ridono costituiscono già uno scenario particolare e intrinsecamente arcano: campagne paludose, fatiscenti case coloniche, viottoli sterrati, canali, una solarità tenue, un insieme di personaggi buffi e macchiettati, ma anche ambigui ed enigmatici, una parvenza generale di microcosmo chiuso in se stesso, immobile e fuori dal tempo.

Inoltre una fotografia (di Pasquale Rachini, Il Gatto Nero) pastosa e dominante nelle tonalità giallo-ocra esalta l'ambiente nella luminosità rassicurante del giorno come nell'oscurità minacciosa della notte, mentre il tema musicale ricorrente (composto da Amedeo Tommasi) inquieta lo spettatore per tutta la durata del film, sin dall'ottimo prologo, dove un corpo urlante legato ai polsi viene martoriato da micidiali pugnalate.

La regia di Avati è, per di più, ricca di soluzioni efficaci e molto abile nel massimizzare l'effetto, a volte logoro, di alcuni dei più utilizzati clichè del cinema thriller e horror. Valga su tutte la sequenza, alla fine del film, in cui Stefano assiste inorridito al sacrificio di una giovane vittima, immolata per fungere da "modello agonizzante" per il pazzo pittore: una lunga e lenta soggettiva mostra i movimenti dell'esterrefatto protagonista, che si avvicina, quasi ipnotizzato, a osservare il luogo del delitto e il corpo straziato del giovane modello, finchè, repentina, una tremenda coltellata attraversa l'inquadratura finendo appena sotto l'obiettivo!

La durata di 110 minuti di La casa dalle finestre che ridono comporta un'inevitabile lentezza di fondo nello sviluppo della vicenda, ma l'attesa dello spettatore viene ripagata abbondantemente con un colpo di scena finale sopraffino, assolutamente da antologia.

Avati rigiocherà la carta dell'horror padano sei anni dopo con Zeder, ma con meno successo.


Titolo: La Casa dalle finestre che ridono
Titolo originale: La Casa dalle finestre che ridono
Nazione: Italia
Anno: 1976
Regia: Pupi Avati
Interpreti: Lino Capolicchio, Francesca Marciano, Gianni Cavina, Giulio Pirrirani, Vanna Busoni, Andrea Matteuzzi, Bob Tonelli, Pietro Brambilla

Recensione del film La Casa dalle finestre che ridono
Recensione scritta da: Alex Jockey
Pubblicata il 16/09/2012


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