Recensione
Zodiac

Zodiac: visiona la scheda del film Reduce da una pellicola (Se7en) che nel bene e nel male ha segnato un certo modo di concepire e girare i serial killer thriller a Hollywood e passato attraverso le incertezze di un irrisolto e poco affascinante Panic Room, David Fincher torna sul luogo del delitto, sulla scena primaria per rimescolare le carte in tavola e provare a proporre nuovi modi e vie di gestione del poliziesco d’indagine.

E lo fa con l’antimanifesto del suo precedete film, uno Zodiac che si propone sotto quasi ogni aspetto come l’opposto del suo antenato.

Quasi del tutto privo degli esasperati virtuosismi che avevano caratterizzato lo stile post-clipparo del regista, assai distante dal forzoso gioco morale di motivazioni, colpe, peccati e punizioni che caratterizzavano Se7en, film corale (con ben due coppie principali di investigatori che a un certo punto si miscelano e non esitano a collaborare con parecchi agenti esterni) dove l’altro era un fatto privato di una coppia o, al massimo, di un triangolo, Zodiac cerca di porre la parola fine a quello che sembra(va) l’unico modo di girare un certo tipo di genere cinematografico.

Via la fotografia esageratamente manipolata (ora diventa strettamente funzionale al passare del tempo, al mutare del giorno in notte e al trascorrere degli anni e delle epoche). Piena apertura al digitale e all’indagine delle sue potenzialità. Maggiore controllo sulla recitazione degli attori che diventa assi meno urlata.

La sceneggiatura sceglie non senza una buona dose di coraggio di evitare ogni scena di azione o di confronto manicheo per inabissarsi nel nemico principale di ogni indagine reale: l’avanzare del tempo, l’accumularsi di miriadi di prove e false prove, di testimonianze trascurate e di sviste procedurali, una montagna di errori puramente umani che risultano alla fine ben più pericolosi del sanguinario serial killer stesso.

Se si deve cercare a forza qualche parentela, la si può trovare ne La Promessa di Sean Penn, anche quello storia di indagine che muta in ossessione e sconfitta, con esiti ben più drammatici, però, di questo Zodiac assai più pacificatore e a suo modo amaramente catartico; o ancora, in certi film di ricostruzione epocale degli anni settanta o di indagine giornalistica come Tutti gli uomini del presidente.

Crollano relazioni sociali e matrimoni, a causa del “voler fare” e “voler sapere” a tutti i costi, c’è chi scende dentro una bottiglia per non affiorarne mai più e c’è chi non esita ad abbandonare mogli e sfruttare figli per esorcizzare un demone che non è certo solo quello incarnato dallo sfuggente Zodiac killer.

Film composto da lunghi (ma per nulla noiosi) momenti di indagine statica, di confronto di date, telefonate, impronte e grafìe, il lungometraggio ha la fortuna di incappare in un gruppo di attori in evidente stato di grazia e se Robert Downey Jr (Gothika) cavalca la tigre di un periodo finalmente positivo che riesce a mettere in luce sempre di più le sue buone capacità (migliorate, non c’è dubbio, con il passare delle stagioni), Jake Gyllenhaal (Donnie Darko) mostra di avere una ampia gamma espressiva e questa volta gioca a fare il candido senza mai strafare e cadere nel caricaturale mentre di Mark Ruffalo sapevamo già tutto da tempi non sospetti (La mia vita senza me e ancor di più il carveriano We don’t live here anymore, da recuperare) e non fa altro che procedere in ascesa lungo una carriera che gli assicurerà ancora parecchie gratificazioni.

Anche i comprimari sono di lusso, come raramente accade e troviamo un sorprendente Anthony Edwards (The Forgotten) di E.R.iana memoria, qui semiclone costneriano, un Elias Koteas (Lost Souls - La profezia) che non ha mai raccolto quanto avrebbe dovuto e altri volti noti come Chloë Sevigny (American Psycho) e Brian Cox (The Ring).

Il ritmo anti-televisivo e il montaggio certosino non vietano certo al film di svoltare, quando meno ce lo si aspetta, nei territori del cuore di tenebra più terrorizzante proprio perché improvviso e traditore (la ormai stracitata discesa nella cantina ma anche i due confronti con il sospettato numero uno) mentre pezzi di Sonny Bono, Donovan e Marvin Gaye contribuiscono a ricreare l’atmosfera di quel periodo insieme all’ottimo lavoro di costumista (che forse eccede sul personaggio di Downey Jr…) e scenografo.

Dimenticate le sbruffonate tecnologiche di CSI, l’abborracciata filosofia del fine giustifica i mezzi che giunge a lidi pro-tortura in 24, dimenticate le coppie di investigatori in costante frizione fra di loro ma capaci di accantonare le divergenze per inchiodare il cattivo di turno, dimenticate le scene del crimine setacciate da investigatrici 20enni con tre lauree.
Qui si scava fra migliaia di pagine di archivi e deposizioni e nulla sarà mai certo fino a che la vita, o meglio, la morte, giocherà alla verità l'ultimo, impietoso sberleffo.

Salutiamo con plauso il film della definitiva maturazione di un David Fincher che, smessi i panni del wonder boy e non dovendo dimostrare più nulla a nessuno, ha scoperto di riuscire a raccontare vicende anche intricatissime con il semplice dono di una narrazione limpida e piana.

Zodiac: miglior film della sua cinematografia, che speriamo sappia regalarci ancora parecchi lavori di questa statura.


Titolo: Zodiac
Titolo originale: Zodiac
Nazione: USA
Anno: 2007
Regia: David Fincher
Interpreti: Jake Gyllenhaal, Mark Ruffalo, Robert Downey Jr., Anthony Edwards e Ezra Buzzington, John Carroll Lynch

Recensione del film Zodiac
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 18/05/2007


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