The Host è un inatteso e spiazzante gioiellino orientale che renderà contenti parecchi tipi di pubblico.
Ce n'è per tutti, dallo spettatore occasionale stufo di streghette dai lunghi capelli neri a chi preferisce grossi mostri al posto di rozzi torturatori passando naturalmente per chiunque adori un certo tipo di cinema sopra le righe e capace di destabilizzare ogni dieci minuti, vuoi per le svolte narrative, vuoi per la tecnica sfoggiata e vuoi infine per i sottotesti presenti oltre la fuorviante patina del giocattolone da CGI.
Chi scrive tende a recepire positivamente ogni tipo di film che presenti una controtendenza rispetto ai trend e mode del momento: vivo l’horror come una sorta di pan-organismo multimediale che ha bisogno di costanti interventi di ingegneria genetica, dei cambiamenti di rotta per non farlo sbattere contro muri e paludi.
The Host svolge questa funzione: in un momento di triviale ritorno al sadismo (nulla in contrario a violenza e torture, anzi, pretendo solo che siano ben girate e che abbiano anche altri fini oltre alla mera scopofilia) o di logorissima riproposizione di eterni remake, questo film di grossi mostri plasticosi spruzzato di umorismo e melò non può che ottenere, aldilà di evidenti limiti, il mio plauso incondizionato.
Joon-ho Bong mette in scena un delicato equilibrio di generi e toni che incontra qualche lungaggine solo a metà strada per poi risolvere il tutto in un finale esaltante.
Dopo un veloce incipit che tratteggia con ironia le figure principali (tutti, in qualche modo, dei perdenti o dei fuori-sincrono con la realtà) il regista, complice uno script dal tempismo ineccepibile, chiude il primo atto con l’apparizione della creatura che trascina via, nel fiume, uno dei personaggi in un ribaltamento brusco e sbilanciante: la commedia muta in tragedia con un singolo colpo di coda e un ralenty perfetto.
Lo spettatore, preso alla sprovvista, è ormai agganciato saldamente all’amo e verrà trainato per i restanti cento minuti in una anomala altalena cinematografica che spazia dall’eco-vendetta al manifesto no-global, dall’action movie all’horror senza mai dare occasione di abituarci a un singolo tono.
Molte le scene importanti (la cena del gruppo a fine primo tempo è un esempio molto alto della capacità manipolatrice dell’audience da parte di questo talentuoso filmaker coreano) che rendono memorabile la visione di questo blockbuster asiatico in grado di intrattenere con il puro livello della caccia al mostro, far riflettere su parecchi temi (ambiente, politica…) ed emozionare con il suo perfetto quadro di una famiglia le cui disfunzionalità e conflitti inter-generazionali verranno esasperati dalla comparsa della creatura.
Grande ritorno di alcuni generi e tematiche fin troppo assenti nell’horror contemporaneo, The Host appare chiaramente in grado, se trattato con rispetto in fase di editing e doppiaggio, di creare grandi incassi e risonanza anche qui da noi, sperando che una volta tanto i nostri distributori mostrino coraggio e intuizione.
Menzione d’onore alla gang di The Orphanage che riesce a dar vita a un mostro pieno zeppo di CGI che gioca abilmente sulla sua stessa natura elettronica facendosi accettare per quel che è senza mai sembrare stonato o invasivo. Plauso anche allo score di Byung-woo Lee, già noto per il suo lavoro in Two Sisters, Three Extremes 2 e The Red Shoes.
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Titolo: The Host
Titolo originale: Gwoemul
Nazione: Corea del Sud Anno: 2006 Regia: Joon-ho Bong Interpreti: Song Gang-ho, Byeon Heui-bong, Park Hae-il, Bae Doo-na, Ko A-sung
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