Dopo aver visto Prossima fermata: l'inferno (The Midnight Meat Train) aggiungete anche Ryuhei Kitamura (Versus, Alive) alla lunga sequela di registi "gentili" sedotti e abbandonati da MammAmerica.
Lakeshore/Lionsgate prima raccattano in giro qualche dollaro (circa quindici milioni) per produrre questo filmetto poi affiancano al cineasta uno sprovveduto e sconosciuto morituro in fase di sceneggiatura, allestiscono una gabbia tecnica fatta di professionisti incolori e infine completano il tutto con una programmazione assurda: un centinaio di sale, nominalmente, in tutti gli USA ai primi di agosto, ma a orari improponibili, con settantamila dollari recuperati, nemmeno i cestini del pranzo per la troupe…
In realtà non stiamo versando molte lacrime: Kitamura non è mai maturato a dovere e ha testimoniato in lungo e in largo che certe effervescenze di stile, lungi da essere strumenti tecnici atti a esprimere qualcosa, erano in realtà l’intera espressione stessa, svuotata di ogni riflessione.
La cosa divertente, come sempre accade quando qualcuno approda da oltreoceano alle maledette colline losangelene, è che il regista ha perso, americanizzandosi, persino l’unico tratto distintivo e non bastano certo alcune scene (non male quella con la ripresa dall’occhio del morto) per salvare The Midnight Meat Train, che si rivela un progetto disastroso.
Disastroso nel noiosissimo processo di “indagine”, nella banale costruzione dei personaggi e dei comprimari, nella sciatta messa in scena della facilis descensus averni del protagonista (sapete come si capisce che uno, insomma, sta per diventare un poco di buono? L’indizio primario è che prende alla pecora la sua brava fidanzatina, che rimane anche scossa dalle gesta del bruto!) e nella totale mancanza di costruzione di ansia, terrore, paura, orrore, disgusto e compagnia danzante.
Prossima fermata: l'inferno poteva essere un’occasione decente per proporre un nuovo tipo di inferno al cinema.
Kitamura invece si limita a far piombare il trenino in una scalcinata padania ipogea, con quattro ossa di plastica per terra e poco altro, banalizzando un racconto che già di partenza non era il massimo della vita e girando a vuoto sia nelle scene di collegamento sia, cosa ancor più grave, negli omicidi perpetrati dal killer, ripetitivi e modulari.
Pessima la scelta di Vinnie Jones (Lock & stock, The Snatch, X-men: Conflitto finale) nei panni di Mahogany, troppo grafico e gangsteristico nella sua figura per riuscire a toccare i giusti nervi, e altrettanto fallimentare quella del televisivo Bradley Cooper (Alias, Nip/Tuck) che ha sempre quell’aria da ragazzo bravo ma leggermente ritardato su cui è davvero difficile innestare la trasformazione prevista dal testo in questione.
Meglio allora la comparsata di Brooke Shields, che è finalmente uscita dal bozzolo di bambinona indurmenta e si scopre quasi quarantenne perversa e spietata, con sommo gaudio di chi vi scrive, sorta di anti-Beatrice nel percorso iniziatico del protagonista .
Non è tutto da buttare, sia chiaro, alcuni movimenti di macchina scuotono dai pisolini che possiamo schiacciare lungo le varie sequenze arcinote: lui non è più lo stesso, la polizia è ostile e ottusa, i litigi della coppia, la ricerca di materiale in biblioteca, la sortita di lei con l’amico nell’ultimo tentativo di salvare il salvabile, tutto già stravisto.
E, in più, Kitamura riesce a evitare, probabilmente grazie alla sua origine non-statunitense, le sacche più stupide e banali della poetica barkeriana ma casca comunque fra l’illogico e il prevedibile, filando veloce nello scaffale degli horror dimenticabili.
Come dicevo, bassissimo il livello dei collaboratori: anonimi e piatti Toby Yates al montaggio e Clark Hunter alle scenografie; improbabile e improponibile il duo Kobilke/Williamson all’insipida colonna sonora, svogliato (e con occhi e mente rivolti al 27 del mese) l’altrove decente Jonathan Sela alla fotografia.
Ma la menzione d’onore spetta agli effetti speciali, specie al reparto CGI, fra i peggiori visti negli ultimi anni, in grado di suscitare risa sia nello spettatore occasionale che nel fan più esperto.
Date un’occhiata a quelle macchie di sangue, agli occhi che volano via e ai buchi in testa e poi ditemi se si può tentare di suscitare nel pubblico qualche brivido che non sia collegato al terrore di morire dalle risate. Complimenti alle sette (sette, ripeto, sette) compagnie coinvolte, non riesco a credere che Furious FX e Gentle Giant abbiano partecipato a quest’orgia di bambole gonfiabili.
Prossima fermata: l'inferno: occasione sprecatissima.
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