Recensione
The Addiction: Vampiri a New York

The Addiction: Vampiri a New York: visiona la scheda del film Uscito dieci anni fa in Italia, praticamente mai distribuito nelle sale, The Addiction rimane tutt’ora una delle più sfrontate riflessioni sul Male, sul suo potere di attrazione, sulla sua onnipresenza, un inquietante dato di fatto a cui il religioso sui generis Abel Ferrara rivolge lo sguardo critico e sconvolto di tanti altri suoi personaggi: corrotti, divorati dai sensi di colpa e che interrogano addirittura l’Altissimo tra urla, lacrime e insulti (Il cattivo tenente) domandando il perchè del suo abbandono, come novelli Cristo che al contrario di quest’ultimo sanno che ad attenderli c’è solo l’Inferno e la loro vita ne è un’amara anteprima.

Rivisitazione dei film di genere secondo un’ottica metropolitana (tra brotha, periferia urbana e colonna sonora martellante dei Cypress Hill), sceneggiato da Nick St. John in preda a dolorosi dubbi dopo la morte del figlio e ripreso in uno splendido bianco e nero, pur procedendo nello suo svolgimento in modo talvolta ellittico ed accumulativo, è un film che si offre come dramma morale, intellettualoide e persino arrogante (se non si hanno alle spalle studi classici e/o di filosofia è difficile cogliere la sottigliezza nelle scelte di alcune citazioni), ma che controbilancia dialoghi esistenzialisti, e che richiedono attenzione, con una messinscena viscerale che sfocia in almeno un paio di occasioni nella brutalità del gore.

Kathleen (una strepitosa, tanto cupa quanto ferale, Lili Taylor) è una studentessa di filosofia che viene morsa da una seducente vampira (Annabella Sciorra) e da quel momento il sangue diviene la sua droga, tanto da iniettarselo persino in vena.

Il leitmotiv dei vampiri prima del morso è l’invito alla vittima a esortarli di non farlo, ma immancabilmente cedono, non tanto per il panico, quanto per l’adrenalinica fascinazione verso quella concentrazione di violenza e morte in un semplice gesto.

Adesso capisco, o Signore, la mostruosità che c’è dentro di noi, la nostra droga è il male, la nostra propensione al male risiede nella nostra debolezza. Kierkegaard aveva ragione, c’è un terribile precipizio davanti a noi, ma si sbagliava riguardo al salto, c’è differenza tra il saltare e l’essere spinti. Si arriva a un punto in cui bisogna fare i conti con i propri bisogni e l’incapacità di gestire fino in fondo la situazione crea un’insopportabile ansia, non è cogito ergo sum, ma pecco ergo sum, pecco quindi sono.
[I finally understand what all this is, how it was all possible. Now I see, good lord, how we must look from out there. Our addiction is evil. The propensity for this evil lies in our weakness before it. Kierkegaard was right - there is an awful precipice before us. But he was wrong about the leap - there’s a difference between jumping and being pushed. You reach a point where you are forced to face your own needs, and the fact that you can’t terminate the situation settles on you with full force.]
La protagonista pronuncia queste parole mentre osserva le fotografie dei più raccapriccianti genocidi.

Con il morso viene risvegliato e amplificato un germe presente in chiunque, che riunisce in sè il desiderio di onnipotenza, di immortalità, di controllo della vita e della morte propria ed altrui, il brivido del peccato tanto più piacevole quanto più grande è il peccato e quindi il senso di colpa; e Kathleen afferra con chiarezza che il vampirismo è solo illuminazione e non è differente dalla “malattia” che lo precede. Kathleen affronterà i suoi studi secondo nuove prospettive, girerà per le biblioteche considerando i libri immondi e inutili epitaffi su cui si accaniscono mosche umane ben lontane dal suo livello di consapevolezza e coinvolgerà nella sua nuova esistenza colleghe di studio e professori, in una spirale contagiosa e sempre più isterica.

La filosofia diventa per lei propaganda ondivaga, ridisegnando costantemente morale e schemi mentali, e quel che conta per Kathleen è in definitiva l’impatto del nostro ego sugli altri, l’imposizione del proprio ego, tipico di un’umanità che nei fatti ha sempre vissuto al di là del bene e del male, scelta che implica in ultimo precipitare costantemente nel secondo. La dipendenza ha una duplice natura, da un lato soddisfa lo stimolo che scaturisce dal male, ma dall’altro ottunde la percezione così che viene meno la coscienza del nostro stato, si beve per ottundere la coscienza di essere alcolisti, l’esistenza diventa ricerca di sollievo dal vizio e il vizio è l’unico sollievo che possiamo provare.

Un’alternativa sembra offrirgliela un vampiro capace di astenersi (Christopher Walken), di opporre la propria volontà alla sua natura maligna, ma Kathleen rinuncerà e proseguirà fino in fondo la sua strada organizzando un vero e proprio baccanale di sangue (la sequenza più aspra, grottesca e violenta di tutto il film) alla fine del quale, vomitante e ricoperta di sangue, in overdose ematica, verrà condotta in ospedale.

Distrutta dai suoi eccessi, giacente in un letto sotto un crocifisso, sembra quasi confessarsi alla sua iniziatrice che con candore le rivela: “Sproul ha detto che non siamo peccatori perchè pecchiamo, ma pecchiamo perchè siamo peccatori. In termini più accessibili, non siamo malvagi perchè facciamo del male, ma facciamo del male perchè siamo malvagi. Ora, che scelte hanno persone come noi? Non sembra che ne abbiamo”.
[R.C. Sproul said we’re not sinners because we sin, but we sin because we are sinners. In more accessible terms, we’re not evil because of the evil we do, but we do evil because we *are* evil. Yeah. Now what choices do such people have? It’s not like we have any options.]

Ferrara in The Addiction riesce a inserire persino in quest’occasione il tema del riscatto personale, della redenzione, a cui può preludere solo una completa discesa agli inferi prima di risalire; ma come rinunciare alla propria intrinseca natura?
Se, come afferma il citato Feuerbach, Dio è un’astrazione mentale della natura e la natura è malvagia, allora Dio è malvagio come descritto da De Sade in Justine o Dio ci ha dato la possibilità del male come unica strada per noi possibile verso la salvezza, come unico e crudele viatico per poterlo incontrare e cercare ancora, bisognosi, in un nuovo circolo perverso?

Le risposte non sono univoche e l’apparente redenzione finale della protagonista, che si reca sulla sua tomba, nuovamente serena, viene suggellata da una frase lapidaria che non lascia scampo: “L’autoconoscenza è la distruzione del sè”.


Recensione originariamente apparsa su +LoveIsTheDevil+, il blog ufficiale di Lenny Nero.


Titolo: The Addiction: Vampiri a New York
Titolo originale: The Addiction
Nazione: USA
Anno: 1995
Regia: Abel Ferrara
Interpreti: Lili Taylor, Annabella Sciorra, Christopher Walken, Edie Falco, Paul Calderon, Fredro Starr, Kathryn Erbe

Recensione del film The Addiction: Vampiri a New York
Recensione scritta da: Lenny Nero
Pubblicata il 30/11/2009


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