Tra le opere più personali e sottovalutate di Mario Bava, Operazione Paura ha acquistato il prestigio dovuto solo di recente.
Le tematiche favorite dal regista ci sono tutte: la forza arcana che ritorna per vendicarsi, l’ambientazione ottocentesca, il gotico e il sovrannaturale che prende corpo dal male terreno. Dopo la breve incursione nel thriller (Sei donne per l’assassino) e nella fantascienza (Terrore nello spazio), Bava sembra riacquistare il suo stile preferito, all’insegna della sperimentazione, tramite il ritorno in quelle ambientazioni e a quelle atmosfere già apprezzabili nel suo film d’esordio alla regia La Maschera del Demonio (1960).
Ma un elemento essenziale distingue Operazione Paura dalla pellicola del 1960: il colore. Quel quid in più che permetterà a Bava di raggiungere un’ancor più originale estetica.
La sperimentazione cromatica iniziata con Sei donne per l’assassino trova qui una dimensione ulteriormente adeguata, e di certo più libera, per estremizzare questa sua nuova modalità di deformazione del reale. Perché l’effetto che sortisce è quello perturbante, un efficace resa di atmosfere spettrali, ultradimensionali.
Ma ripercorrendo il lavoro del regista sanremese è possibile individuare già un precedente a questa nuova metodologia di messa in scena. Impossibile non pensare a La goccia d’acqua, ultimo episodio del film I tre volti della paura del 1963, in cui si può notare lo stesso uso di luci colorate, con una predominanza di quella verde (del tutto bizzarra per l’epoca).
E anche qui, non a caso, i temi della colpa e della vendetta di forze ultraterrene in un contesto ottocentesco e gotico, sono presenti tutti. Come se Bava associasse questo suo gusto personale per un certo tipo di letteratura (Poe, Mèrimèe, Maupassant) a una ben prefissa estetica. La riproposizione di un mondo cupo, gotico, animato però da colori caldi e saturi, sembra catapultare le terrificanti situazioni in una dimensione fumettistica.
Di certo, lo sguardo soggettivo trova piena libertà di espressione nei film di Mario Bava, arrivando a rimodellare quegli archetipi dell’horror. Un azzardo da cui sarebbe potuto uscire vincitore solo un genio come lui, a differenza di molti autori che oggi si limitano a banalizzare il suo modus operandi o addirittura regrediscono al ritrito approccio classico al genere.
La dice lunga il fatto che l’escamotage della palla come rimando alla presenza/assenza della bambina fantasma sia stato riutilizzato e risemantizzato largamente da molti autori a seguire, tra cui anche Fellini (Toby Dammit, 1968).
Ma volendo inoltrarci fino all’osso di questo suo capolavoro, potremmo arrivare a sviluppare un’analisi ulteriormente approfondita. Operazione Paura è infatti un’opera così densa di richiami alla letteratura che sarebbe impossibile riassumerli in questo contesto.
Come già in La goccia d’acqua era possibile individuare un richiamo a quella "linea di confine tra mentale e reale" tipica dei racconti di Edgar Allan Poe, mista ad una trama cechoviana, così è possibile cogliere la citazione di un racconto di Henry James nella celebre e perturbante scena in cui il dottor Eswai ripercorre per otto volte la stessa stanza inseguendo se stesso.
Scene angoscianti, ideate con geniale acume e che dimostrano una profonda conoscenza della psiche umana, riuscendo a toccare e manovrare quelle corde subconscie dello spettatore. Motivo per cui, forse, i suoi film restano e resteranno sempre dei cult, intramontabili, eternamente moderni.
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Titolo: Operazione Paura
Titolo originale: Operazione Paura
Nazione: Italia Anno: 1966 Regia: Mario Bava Interpreti: Giacomo Rossi-Stuart, Erika Blanc, Fabienne Dali, Piero Lulli, Luciano Catenacci, Micaela Esdra, Franca Dominici
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