Il Bosco 1 è un film entrato di prepotenza nell’archivio dei cultori del genere horror. Uno stra-cult al 100 %, realizzato a costo praticamente zero e dalle trovate inevitabilmente approssimate, che conferiscono però al film un gusto "genialmente" trash.
Andrea Marfori parte dalla consapevolezza dei limiti produttivi per sfruttarli a suo pro. Trovando proprio in queste barriere lo spunto per dar vita a un nuovo linguaggio, un nuovo stile che a oggi, dal lontano 1989, resta ancora originale. Limiti diventati punti di forza, grazie al sapiente apporto del folle autore.
Alla luce di ciò, il progetto di un sequel alla pellicola, che Marfori sembra aver confermato e la cui uscita sarebbe prevista proprio per questa primavera, sembra perfettamente coerente e necessaria.
Un film, Il Bosco 1, che già nel suo titolo, palesava le aspirazioni ad un inevitabile seguito. Una sorta di coscienza del proprio approccio sperimentale al mezzo cinematografico, dal quale non poteva non germinare un nuovo lavoro.
Ma si tratta di una pellicola che, nonostante i suoi limiti, contiene in nuce delle forti simbologie. Attuando un meno snobistico apporto ermeneutica all’opera, e ribadendone le suddette qualità stilistiche, l'opera non si discosta molto dai capolavori sperimentali a basso costo prodotti dalla Hollywood indipendente o da autori europei di inizio secolo.
Quante siano le tematiche psicanalitiche sottese alle orrorifiche vicende si può facilmente notare. L’artiglio demoniaco di cui è dotato la seducente antagonista della storia fuoriesce, non a caso, dall’interno della sua vagina.
L’uomo, schiavo del suo fascino voluttuoso, attratto dal suo demoniaco influsso, va in contro alla castrazione. Una riflessione sulla sessualità attraverso quei codici di genere propri dello splatter.
Una similare soluzione adottata anche da Mitchell Lichtenstein nel 2007 con il suo Denti, e come prima ancora Jacques Tourneur adottò una non dissimile metafora, associando ferinità e sessualità, con il film Il bacio della pantera (1942), analisi confermata dallo stesso Martin Scorsese, suo grande estimatore.
Ciò che sorprende, anche al più navigato cinofilo, sono i movimenti di macchina, mai fini a se stessi, ma sempre rispondenti a una finalità espressiva.
La storia dei freschi sposini che precede le vicende ci viene presentata tramite una ricostruzione fotografica del loro incontro. Un efficace modo per astrarre quella dimensione (Venezia, il viaggio, l’amore) che appartiene a un mondo di spensieratezze, felicità, tranquillità.
L’immersione negli oscuri spazi del bosco stona fortemente con questo incipit. Lo sguardo della macchina da presa, dall’arrivo dei protagonisti nel luogo maledetto, sembra incarnare l’invisibile presenza demoniaca che aleggia nel sito ostile, in una sorta di soggettiva del Male.
La presenza di questo sguardo/cinepresa viene percepito dai protagonisti: lo sguardo in macchina e il seguire i movimenti del carrello da parte degli attori, dona alla costruzione del racconto un forte effetto perturbante.
Una nota di indubbia originalità, che dovrebbe far rivalutare le accuse di plagio a La Casa (The Evil Dead) di Sam Raimi.
Non sorprende che il film - distribuito col titolo Evil Clutch - abbia trovato consenso e diffusione nel pubblico americano (grazie alla Troma del geniale Lloyd Kaufman), più avvezzo a tali sperimentazioni e meno diffidente verso i sottogeneri.
Il Bosco 1: un film infarcito da un divertente gusto gore, ma da rivalutare per il coraggio di sperimentare un nuovo stile affrontando temi nient’affatto banali.
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