Recensione
The Void: Il Vuoto

The Void: Il Vuoto: visiona la scheda del film The Void: Il Vuoto (The Void) è un film horror che può essere collocato in vari sottogeneri, dai film riguardanti i culti a quelli che ritraggono altre dimensioni, con cenni di orrore cosmico, anche se probabilmente l’aspetto che più colpisce e risulta determinante è quello del creature feature.

The Void è stato scritto e diretto da Jeremy Gillespie e Steven Kostanski, entrambi membri del collettivo canadese Astron 6, fondato nel 2007 dallo stesso Gillespie insieme ad Adam Brooks.

Astron 6 ci ha regalato una serie di pellicole che mischiano horror e humor impiegando toni sopra le righe: fra i titoli sfornati da questa compagnia di produzione voglio ricordare almeno The Editor (2014), Father’s Day (2011) e ManborgErection Der Zombie, InsanopheniaW is for Wish) all’antologia The ABCs of Death 2 (2014).

Sia Gillespie che Kostanski possono però vantare collaborazioni in titoli ben più conosciuti rispetto a quelli precedentemente elencati in quanto si sono occupati degli effetti speciali e grafica di opere quali Pacific Rim (2013), Poltergeist (2015), Robocop (2014), Suicide Squad (2016) o l’imminente It (2017), e proprio questa loro seconda natura informa a fondo The Void, che si discosta dai precedenti progetti firmati Astron 6 passando dalla parodia a un tono più serio e composto.

The Void è stato prodotto da Cave Painting Pictures, una compagnia da portfolio pressoché inesistente, e JoBro Productions & Film Finance, che ha invece all’attivo alcuni titoli riguardanti il genere horror: The Calling (2014), Extraterrestrial (2014), He Never Died (2015) e il capolavoro The Witch (2015).

Parte del film è stato finanziato grazie a una ingegnosa campagna promozionale su Indiegogo, volta a raccogliere i fondi non tanto per il film quanto per gli effetti speciali.

Qualcosa di simile era accaduto anche per il mediocre Harbinger Down (2015), nel caso di The Void però si arriva a ben altri risultati, visto che gli effetti speciali old school e pratici sono con ogni probabilità la punta di diamante dell’opera.

Il lungometraggio comincia sostanzialmente in media res, con un copione che non sacrifica molti minuti e parole a creare psicologie e personaggi memorabili, sebbene vi sia fin da subito un curioso accento sul tema della nascita/morte, con tre dei personaggi principali che sono reduci dall’aver perso la loro prole e l’aggiunta di un quarto personaggio in stato di gravidanza.

Suppongo che non si tratti di un caso, anche perché la tematica riverbera molto bene con un altro aspetto centrale dell’opera, che è quello della cantina/sotterraneo che diventa luogo di passaggio verso altre dimensioni, in un sistema di rimandi fra sotterraneo e ventre, utero e varchi verso nuovi stati e nuove realtà, womb e tomb, morte e rinascita (e immortalità?) etc... etc...

Già a partire dalla situazione di assedio iniziale nei confronti di una istituzione in stato di emergenza e semi-abbandono, i registi (che sono anche scrittori) non si fanno alcun problema di mascherare il grande numero di influenze e citazioni, perlopiù derivanti dal cinema horror anni Ottanta e con il passare dei minuti tali omaggi diventeranno sempre più parte integrante dello scheletro dell’opera.

Di solito questo tipo di attitudine conduce alla creazione di pellicole patchwork nelle quali la somma totale è sempre in qualche modo inferiore a quanto dovrebbe risultare, ma nel caso di The Void l’aver abbandonato i toni parodistici e lo stile urlato, in favore di un mood talvolta plumbeo e molto doom, gioca a favore della meta-operazione di Jeremy Gillespie e Steven Kostanski, che possono contare sull’importante apporto di Samy Inayeh (The Last Will and Testament of Rosalind Leigh, 2012) nello spargere le molte (a tratti troppe) ombre e le poche luci in giro per gli interni teatro dell’evento.

Il tono, comunque, pur serioso e concentrato, viene alleggerito da occasionali spunti comedy, su tutti l’apporto di Ellen Wong (Scott Pilgrim vs. the World, 2010; Silent Night, 2012; The Circle, 2017) alla quale è stato assegnato il personaggio più brioso ed effervescente dello script.

La sceneggiatura, come spesso accade in progetti del genere, è il punto debole, sia per quanto riguarda psicologie e motivazioni sia per quel che concerne lo sviluppo della trama, che fra incastri dalla scarsa tenuta, dialoghi fra il didascalico, il ritardato, il robotico e il ridicolo e qualche salto logico di troppo, ci porta a un finale che potrebbe scontentare più di uno spettatore.

La mancanza di profondità e dettaglio, di spiegazioni ed epifanie, lungi dal dare la sensazione di un qualche tipo di universo ben concepito la cui conoscenza rimane a noi ostacolata, criptica, esoterica, mi fa invece pensare che particolari e rivelazioni manchino in quanto non pensate e non conosciute dagli autori stessi nella fase di ideazione, ovvero più un non avere molto da aggiungere al quadro che un lasciare volutamente fuori vari elementi dallo stesso.

Per contro, a far da specchio alla debolezza ed eccessiva derivazione di psicologie e trama, troviamo gli ottimi effetti speciali di Steven Kostanski (Silent Hill: Revelation 3D, 2012; Wrong Turn 4, 2011; Resident Evil Retribution, 2012; Crimson Peak, 2015; It, 2017, in generale un curriculum di tutto rispetto, tenendo anche conto dell’età) e Intelligent Creatures.

Lasciato a briglia sciolta, Kostanski organizza un festino gore magnificato dal lavoro “contrario” di Inayeh, che cerca di nascondere nel buio tentacoli, mutazioni e mostri, aggiungendo quindi al potere del lattice quello della nostra immaginazione che è sempre ben disposta a riempire i buchi.

L’orgia gore aumenta ancora di più la sensazione di trovarsi di fronte a una operazione di recupero di atmosfere, stili e temi anni Ottanta, attitudine solitamente gradita all’horror fan che ha di quell’epoca una percezione di età dell’oro, probabilmente falsata dalla nostalgia tipica di buona parte del fandom in qualsiasi genere e medium.

C'è però una forte differenza fra l'operazione di recupero/omaggio/citazione di Gillespie e Kostanski e quella operata, per fare un esempio, da David Mitchell in It Follows (2014): i primi si limitano a clonare alcuni tratti di DNA estratti da vari titoli che, una volta innestati sulla loro creatura, appaiono comunque più deboli dei segmenti originali, come se durante il clonaggio fosse andato perso del materiale genetico (in primis certe tensioni e sottotesti sessuali); il secondo inserisce mutazioni e variazioni imprevedibili che rafforzano e saldano, dando vita a una creatura nuova e non apparsa in precedenza, che riesce a distaccarsi dalla cornice cronologica di riferimento per diventare più atemporale e meno definibile/imprigionabile.

Quel che manca a The Void è quindi la metabolizzazione di quel periodo e una successiva rielaborazione personale: gli omaggi rimangono scollegati e l'originalità è la grande assente. Non è, come invece accaduto ad altri titoli simili, un difetto eccessivamente penalizzante e The Void è in grado di soddisfare ampiamente sia il neofita, che magari non coglierà tutti i tributi e percepirà molte scene e situazioni come innovative, sia per lo spettatore più smaliziato, che sarà in grado di rinunciare a personaggi consistenti, sceneggiatura elaborata e compiuta in favore delle esplosioni gore e degli squarci di visioni infernali, invero soddisfacenti.

Un cast che riunisce con efficacia alcuni volti-horror noti, vecchi e nuovi, disposti a lottare con i dialoghi penalizzanti e delle musiche funzionali ma non memorabili completano il quadro tecnico del lungometraggio.

Questa serie di assenze e presenze, di punti di forza e debolezze porta quindi The Void a sembrare spesso un display of power, più un a tratti impressionante show di tecnica che un progetto compiuto, un modo per gli autori di segnalarsi sulla mappa horror dicendo "guardate, siamo capaci di far questo, abbiamo queste credenziali, ora speriamo che si presenti un produttore per farci continuare lungo questa via", speranza che condivido con loro ma la cui realizzazione vorrei fosse condizionata dall'impedirgli di metter mano in futuri script.

E ritengo che sarà proprio la loro prossima pellicola a farci capire la reale portata non tanto delle loro capacità, che sono già evidenti, quanto della loro visione e idea di horror, che al momento sembra affidata a echi e copie carbone di concetti altrui.

Quel che ho più avvertito a livello personale durante la visione dell'opera è stata una sorta di autopressione a farmela piacere più di quanto mi stesse piacendo, a essere più entusiasta di quanto fossi in realtà (probabilmente vuoi a causa dell’hype vuoi per via di un impianto estetico molto convincente, a partire dagli stupendi poster e locandine).

Preferisco quindi parlare di visione a tratti anche molto interessante, che è stata in grado di intrattenermi dall'inizio alla fine, piuttosto che farmi abbagliare dalla nostalgia e cominciare a salutare The Void come cult irresistibile e nuovo classico contemporaneo: siamo di fronte a un film nel quale i difetti non rovinano la visione, ma lasciano un retrogusto di insoddisfazione e di occasione mancata.

Come ho già avuto modo di ribadire recentemente, chi vi scrive ammette di tifare, forse infantilmente e comunque solo nella finzione, per il trionfo dell'irrazionale, dell'impossibile, infine dell'irreale e incredibile, del non-credibile: The Void: Il Vuoto, una volta tanto, segna un gol per la mia squadra preferita e rende ancora più solido un 2017 che, arrivato soltanto al quarto mese di età, si profila già (e siamo alla quarta di fila) come annata horror memorabile, senza nemmeno pensare al fatto che devono ancora arrivare veri e propri pezzi da novanta quali Get Out o We Go On, nonché ottime produzioni più intimiste e dal budget ridotto all’osso quali A Dark Song.


Titolo: The Void: Il Vuoto
Titolo originale: The Void
Nazione: Canada
Anno: 2016
Regia: Jeremy Gillespie, Steven Kostanski
Interpreti: Ellen Wong, Kathleen Munroe, Kenneth Welsh, Aaron Poole, Amy Groening, Art Hindle, Evan Stern, Stephanie Belding, Trish Rainone, Grace Munro

Recensione del film The Void: Il Vuoto
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 17/04/2017


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