Recensione
It Comes at Night

It Comes at Night: visiona la scheda del film Non si finisce di essere contenti per un titolo che subito un nuovo film di grande qualità emerge a proseguire la striscia positiva di un 2017 ancora più in horror-forma dei suoi tre predecessori.

Animal Kingdom era già stata protagonista di una delle precedenti annate con It Follows (David Robert Mitchell, 2014) e con la produzione di It Comes at Night segna in modo importante anche questo 2017.

Giunto alla sua seconda opera Trey Edward Shults conferma tutto quel che di buono aveva mostrato nell’esordio, maturando un migliore controllo della messa in scena e continuando ad agire nello stesso territorio, quello della disintegrazione dei rapporti e dello psicodramma famigliare.

In seguito a una pandemia tanto indefinita quanto letale, Paul (Joel Edgerton), Sarah (Carmen Ejogo) e il lor figlio diciassettenne Travis (Kelvin Harrison Jr) cercano di sopravvivere isolandosi in una casa nel bosco.

L’incontro-scontro con un secondo nucleo famigliare, più giovane, composto da Will (Christopher Abbott), Kim (Riley Keough) e il figlio Andrew di appena tre anni metterà a dura prova i legami e il senso morale di ogni individuo coinvolto.

La coesistenza semi-forzata all’interno di un ambiente ristretto, resa ancora più soffocante dall’esigenza di dover seguire determinate regole, pena il contagio e la morte, inizialmente correrà lungo binari civili e gradevoli per poi crollare inevitabilmente, fino a un finale che non intendo spoilerare ma che, dati premessa e sviluppo, non poteva essere altrimenti.

Data la sua natura di non-genere trasversale a tutti gli altri generi cinematografici, a causa del fatto che è definito dall’effetto che scaturisce nel consumatore più che da qualche tipo di confezione e insieme di codici, l’horror diventa spesso, pur con le ovvie e forti limitazioni organiche alla cultura pop, un discreto strumento per la lettura del reale, della società e delle sue contraddizioni e crisi.

E It Comes at Night, con i suoi richiami alla famiglia, alla castle doctrine, alla tolleranza zero e al timore dell’Altro, con le sue porte rosse che si chiudono a difendere quel poco che si ha, con il timore della contaminazione, culturale o virale che essa sia, è chiara e potente allegoria dei tempi che corrono, sia negli USA che in Europa.

Come restare umani di fronte a situazioni che sono o ci dipingono come sempre più difficili e dure? Cosa definisce la nostra umanità? Fina a che punto si possono piegare e deformare i nostri principi morali?

A servire da poli simbolici della discussione troviamo Paul e suo figlio Travis. Il primo è più vecchio, più chiuso, sospettoso, teso a conservare il poco che rimane e nutre paura dell’ignoto e sospetto verso l’Altro. Il secondo è più giovane, aperto, cresciuto in tempi di crisi, nutre desideri (che prendono forma talvolta negli incipit dei suoi sogni che, come cantava quella, sono appunto desideri) e curiosità e, pur avendo anche lui paura di quel che non conosce, tende a sfidarlo, come testimonia per fare un solo esempio, la riuscita ed esemplare scena della fuga del cane.

Travis è al centro della storia, assurge spesso al ruolo di mdp-narrante, rappresenta quel poco di istinto vitale residuo e si carica sulle spalle talvolta anche il ruolo di mistico-veggente, sia tramite i disegni che, molto di più, attraverso i sogni allucinati che facilmente discendono negli inferi dell’incubo.

La trama si dipana, o collassa, fra le cineree e asfittiche mura della sicura prigione nella quale i protagonisti scelgono di confinarsi. Questa prigionia, è chiaro fin da subito, non promette nulla di buono: non ci saranno eroi sovraumani pronti a salvare l’umanità e nessuna catarsi attende lo spettatore dopo l’impegnativa ora e mezza di It Comes by Night.

Trey Edward Shults organizza questa apocalisse minimalista ignorando gli espedienti più semplici connaturati al genere e rifacendosi a metodi più lenti, insinuanti e ansiogeni.

I pochi brandelli di civiltà che Sarah e Paul cercando di difendere crollano progressivamente aggrediti dagli impulsi sessuali di Travis; si accartocciano sotto il peso delle tenebre di quel lungo corridoio; tremano nei presagi da Cassandra di Paul che, data la sua (ex)professione, ben ricorda cosa sia successo ai Romani; si frantumano nelle visioni e nei disegni di Travis e, a proposito di “disegni”, a chi mastica un minimo di storia dell’arte basterà ricordare il titolo del dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio onnipresente nel film per abbandonare qualsiasi speranza residua.

Per gli altri, c’è comunque Google pronto a dare una mano.

Pur dotato di una forte capacità allegorica, simbolica e metaforica, l’horror spesso non brilla per sottigliezza nell’impiegare dette allegorie e metafore e It Comes at Night non fa eccezione, anche se ciò non inficia più di tanto la resa finale.

Il lavoro di Karen Murphy alle scenografie è quindi a tratti urlato e didascalico (la porta rossa che separa vita e morte, il dipinto-presagio, il corridoio delle tenebre) ma brutalmente efficace così come lo è la fotografia eccessivamente e magnificamente plumbea e crepuscolare di Drew Daniels.

A completare il brillante comparto tecnico troviamo uno degli elementi di maggior spicco, ovvero la straniante, nervosa e straziante colonna sonora di Brian McOmber (potete ascoltarla QUI): che non solo è efficace in sé ma gioca molto bene a rinforzare i momenti onirici di Travis, salvo poi esplodere da quei confini verso il finale, proprio quando anche gli incubi oltrepassano i confini e diventano realtà.

Attori in gran forma, dominati dall’impulsivo patriarca Joel Edgerton che ormai da anni non sbaglia una prova.

Nel momento in cui vi scrivo It Comes at Night non si è comportato granché bene al botteghino, con circa sette milioni di dollari di incasso, e ha diviso, come sempre più spesso accade, critica e pubblico, con il secondo che non sembra entusiasta quanto la prima e quanto il sottoscritto.

Si tratta, credo, di semplici questioni di gusto, sensibilità e aspettative. Lo spettatore medio contemporaneo non è in cerca di storie come questa: non ci sono spiegazioni, non esistono schieramenti netti, niente Bene e Male, poca azione, zero ammiccamenti o complicità e, come già anticipato, nessuna catarsi che ripaghi per l’impegno profuso a seguire una storia già pessimista in partenza, che ha idee fin troppo chiare sulle qualità dell’umanità e sul suo possibile e auspicabile destino.

Non è colpa dello splendido It Comes at Night e nemmeno del pubblico.

Ah, dimenticavo, riguardo al titolo dell’opera: tranquilli, per nostra fortuna non c’è nessun “It” in questa storia.


Titolo: It Comes at Night
Titolo originale: It Comes at Night
Nazione: USA
Anno: 2017
Regia: Trey Edward Shults
Interpreti: Joel Edgerton, Christopher Abbott, Carmen Ejogo, Riley Keough, Kelvin Harrison Jr., David Pendleton, Mikey

Recensione del film It Comes at Night
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 16/06/2017


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