Recensione
The Strange Ones

The Strange Ones: visiona la scheda del film Credo che l’italiano sia una gran bella lingua: la mia però è una convinzione, come tante delle mie, un po’ irrazionale, basata su ben pochi confronti, visto che oltre all’italiano conosco solo l’inglese.

E, a proposito di inglese: trovo che si siano alcuni termini, alcuni modi di dire che risultano non solo più belli rispetto agli analoghi in italiano, ma che creano anche maggiore atmosfera e sono più precisi nel definire certe sensazioni, metodi o emozioni.

Nel caso di The Strange Ones me ne vengono in mente quattro: existential dread, sense of impending doom, eerie e slow burner. Se vogliamo aggiungere due panchinari, nel caso che dread e doom si infortunino durante la partita, allora schiererò rispettivamente angst e gloom.

Potrebbero e dovrebbero bastare per chiudere qui il post su questo thriller dalle atmosfere molto sinistre, che per alcuni sarà, appunto, un horror e per altri no, grazie al fatto che tale etichettatura è basata sull’effetto personale e non su parametri oggettivi rigidi, fissi e ben connotati, da scaffale di libreria.
Lasciamoli litigare, questi due fronti, lasciamo a loro la capacità, il potere e l’autorità di stabilire oggettivamente cosa è e cosa non è horror, non importa.

Pensiamo però almeno a questo: capita tantissime volte di dire o sentirsi dire “questa cosa/persona/evento mi ha provocato orrore/spavento/paura/disgusto/terrore”.
Non capita altrettanto spesso di dire o sentirsi dire “questa cosa/persona/evento mi ha provocato fantascienza/poliziesco/western/commedia”.

Un fotogramma del film horror The Strange Ones

Dicevo, potrei chiudere qui, ma il boss mi dice che servono minimo tot parole [se non superi le 400 non ti tolgo le catene, NdB] e io spesso e volentieri, anzi, direi sempre, amo oltrepassare quel limite minimo, quindi andiamo avanti, procediamo nel bosco insieme a Nick e Jeremiah-che-non-è-Jeremiah.

Troviamo qualche parola in italiano, dopo quelle in inglese. Dilatato? Diradato? Angosciante? Sottilmente crudele? Indefinito e incerto? Girodivitiano?
Buttiamoci dentro anche un minimo di panismo, ma non quello sensuale e nostalgico dannunziano, un qualcosa di leggermente più sinistro e minaccioso sebbene affascinante, e anche contemporaneo, per nulla antimoderno, un po’ come l’erbaccia che crepa l’asfalto nelle città.

È un panismo che spunta ovunque nel film, come se esistessero sul serio le creature elementali e fantastiche, ma si fossero anch’esse aggiornate 2.0, come se accanto alle già conosciute Naiadi, Potamidi e Limniadi potessimo scoprire nuove ninfe: quelle che abitano le piscine dei motel fuori stagione, per esempio, (le Pooliadi?), in un continuo gioco di avanzata e arretramento del dominio immaginativo e fantastico. Little, Big, Little, Big.

Prima però un minimo di trama di The Strange Ones, così capite di cosa sto scrivendo, e magari lo capisco un po’ di più anche io.

Jeremiah (James Freedson-Jackson) è poco più di un bambino e sta scappando insieme a Nick (Alex Pettyfer), suo fratello maggiore.
I due sono in macchina, attraversano zone rurali nottetempo, si fermano nell’occasionale diner per mangiare in fretta qualcosa, diffidando di divise e domande, e sembrano entrambi un po’ straniti, spaesati, smarriti, come in quei momenti nei quali l’LSD comincia a salire ma non ne sei ancora sicuro; o come quando finisce il suo effetto, ma permangono lampi e squarci.

Si sono lasciati alle spalle una casa in fiamme, con dentro un uomo, e Jeremiah sembra ancora in stato di shock, incapace di comprendere con esattezza ciò che separa sonno e veglia, reale e fantasia.

Un fotogramma del film thriller sinistro The Strange Ones

Nick cerca comunque di essere più saldo, forte e vigile per il bene del minore e continua a promettere a Jeremiah una nuova vita: presto raggiungeranno una vecchia casa nei boschi che l’uomo frequentava da giovane, quando ha imparato ad andare a caccia, e potranno dimenticare il passato e liberarsene.
Folli.

È impresa facile, se si vuole, spiega Nick a uno scettico Jeremiah mentre stanno finendo di cenare: se pensi che questa tazza non esiste, lei sparirà.
E la tazza svanisce sul serio.

Un fotogramma della pellicola The Strange Ones

Svanisce però anche la fortuna dei fuggitivi: un cervo morto, steso sulla strada, obbliga Nick a svoltare nei campi, la macchina si danneggia e i due sono obbligati a una sosta forzata.

In prossimità del luogo dell’incidente c’è un motel e la ragazza che lo custodisce, Kelly (Emily Althaus, Orange is the New Black), essendo le camere tutte libere a causa della bassa stagione e senza tralasciare il fatterello che Nick è interpretato dal non-certo-brutto Alex Pettyfer (Tormented, 2009), offre ai due alloggio gratuito in attesa della riparazione dell’automobile.

Ma a questo punto le stranezze si sono accumulate inesorabilmente, un onirico e apatico senso di malessere pervade uomini, animali, vegetali e minerali: Jeremiah in realtà si chiama Sam; Nick lo guarda un po’ troppo insistentemente quando si spoglia, i due dormono spesso nello stesso letto e potrebbero non essere fratelli bensì tante altre cose.

Si arriverà alla casa nel bosco, si arriva sempre alla casa nel bosco; spunteranno le odiate divise; si allargherà una bocca cavernosa nella terra, in grado di ingoiare uomini e sputare ricordi; incontreremo una strana enclave di ragazzini guidati da un indecifrabile guru (Gene Jones): nulla sarà come prima, tutto è difficile da comprendere.

The Strange Ones è un debutto e un perfezionamento: Christopher Radcliff e Lauren Wolkstein erano già perseguitati da queste immagini nel 2011, quando hanno girato il cortometraggio con lo stesso nome.
Non l’ho visto, non sono riuscito a recuperarlo: non so come quelle immagini si siano evolute nel corso di questi anni e mi interesserebbe molto saperlo, ma non sono bravo a cercare con questo maledetto Google [vieni a uno dei miei corsi, NdB].

So che il risultato finale ha fatto il giro dei festival nel 2017, raccogliendo vittorie e nomination, ed è quindi sbarcato prima su Direct TV a fine 2017 e quindi in distribuzione il 5 gennaio 2018.
È per entrambi la prima volta su lunga distanza ed è un buon biglietto da visita, che lascia sperare in ulteriori, interessanti prove future.

Come ho affermato spesso, scrivere di film per me è due cose: liberarsi da idee che girano in testa e cercare di rendere un servizio al mio prossimo, facendogli magari scoprire un titolo che non conosceva e portandolo a provare piacere per un’oretta e mezza circa.

Ecco, “servizio”. Proviamo ad ampliare questo tentativo di rendere un servizio: cerchiamo, che sento sempre dire che è un qualcosa che tutti noi dovremmo fare per migliorare la nostra vita, di empatizzare con l’altro, con le persone che detesteranno, detestano o detesterebbero The Strange Ones, e rendiamo loro un servizio, evitandogli di sprecare tempo su questo titolo che io ho amato.

The Strange Ones è un futile e vuoto esercizio di dubbio stile; i due autori non dicono e non spiegano molto perché non hanno molto da dire e spiegare; la storia è frammentata e inconsistente; le psicologie dei personaggi sono poco determinate e troppo viene lasciato alla immaginazione e fantasia dello spettatore, con il risultato di ottenere un prodotto molto “indie e Sundance”, artistoide senza avere reali qualità e capacità, cerebrale senza tanti neuroni, fantasticheggiante senza grande immaginazione.

Se non vi piacciono i dubbi, i tempi dilatati, le narrazioni nelle quali accade poco o nulla, l’eccessiva libertà interpretativa; se non amate alzarvi dalla poltrona con più domande di quando vi siete seduti, potete tranquillamente evitare The Strange Ones e non vi perderete nulla.

Vorrei averlo sempre, questo doppio ruolo, vestire i panni del pro e del contro: perché aiuta così tanto a eliminare ogni attrito, ogni discussione litigiosa su una roba così leggera e di consumo come è il cinema, toglie quella sensazione di disputa importante, “culturale”, da questione di vita o di morte. Non sempre però mi riesce perché servono i titoli giusti e il giusto mood: se ho appena finito di vedere Cult of Chucky sono infoiato in modo ben differente e ho finalità diverse.

The Strange Ones è, appunto, strano: ti immerge in un continuo gioco di rimbalzi fra natura comunque “controllata”, mai esageratamente lussureggiante e “selvatica”, e ambienti più “artificiali”, talvolta hopperiani; tutti fotografati intensamente da un Todd Banhazl (già apprezzato nel ben recitato Between Us, 2016) dalla palette cromatica ricca e ben variata, con filtri spesso per nulla scontati, anche se punta giustamente con forza su verdi e marroni.

È però uno “strano” ben conosciuto a molta narrativa statunitense, come una versione leggermente più weird, sfasata e sospesa di quel continuo vagare frammentato dei tanti Carver e Shepard e compagnia viaggiante, una sospensione fra un bisogno di tornare in una casa che non è mai realmente esistita e di arrivare in un luogo altrettanto inesistente.

Ed è una continua messa in dubbio e in questione di due dei vocaboli più problematici di sempre, ma che in questi ultimi anni hanno raggiunto il culmine assoluto di problematicità: la verità e l’identità.
Chi sono Nick e Jeremiah/Sam?
Cosa è accaduto “veramente” in quella casa?
Che rapporto esiste fra i due?
Chi manipola chi?
E quale è la natura della comunità pseudohippie/elfica tenuta insieme da Gary?

Domande, appunto.
The Strange Ones è per alcuni versi più simile a un romanzo che a un film: ti forza a un lavoro maggiore, devi immaginare più cose, scovare più risposte, porti più dubbi e ci saranno quindi, alla fine, molti più The Strange Ones di quanti ce ne fossero all’inizio della distribuzione del film.

Nel guardarlo ci sentiamo spesso come Jeremiah, fra sogno e veglia, quantisticamente sempre meno determinati, sempre più intrecciati.

I due autori lavorano sul punto di forza più evidente della loro opera, l’incertezza, attaccando su ogni fronte, sia diegeticamente che extradiegeticamente e ricorrendo anche a strumenti meta.
Alcuni metodi sono consolidati da tempo: frammentazione del narrato; ricorso sempre più frequente, man mano che aumenta il minutaggio, al flashback, a fantasie e momenti onirici.

Altri sono un po’ meno frequenti, in particolare per quanto riguarda le opzioni di cast. Jessica Daniels, che opera le scelte di attori da impiegare per i due registi fin dai tempi dei loro cortometraggi, azzecca parecchi elementi potenti.
In generale il gruppo di attori, piuttosto ristretto (se guardiamo ai ruoli maggiori ci aggiriamo sui 4-5 nomi) è ben miscelato e in forma, ma questo accade spesso e non è un elemento particolare.

Un fotogramma di The Strange Ones con l'attore Alex Pettyfer

Già più particolare è ritrovarsi Alex Pettyfer come possibile/probabile/sospetto pedofilo: per quanto lavoro controcorrente sia stato fatto, e ne è stato fatto, la cultura pop ci ha comunque abituati alla comoda equazione del cattivo che è anche brutto e, in particolare in un terreno minato quale la pedofilia, è comunque raro trovare una scelta controcorrente come questa.

Un conto è trovare in panni scomodi un uomo magari anche affascinante ma dal volto comunque più duttile e “interpretabile” come Patrick Wilson, che infatti, pur giocando quasi sempre a fare il buono, ha accumulato le interpretazioni migliori nei ruoli più scomodi (Hard Candy, Little Children, Zipper), altro conto piazzare un giovane decisamente e inesorabilmente ultrabonazzo come Alex Pettyfer in una parte del genere.
Il risultato è ottima confusione nello spettatore e una grande occasione di carriera per Pettyfer, che ci mostra che spogliarsi non sempre è cosa da ormoni pazzerelli e giocondi come in Magic Mike.

James Freedson-Jackson, dal canto suo, è impressionante per come oscilla fra apatia, shock, cattiveria, manipolazione, indifferenza e tanto altro.
È una vittima? È un boia? O è solo coinvolto, di passaggio, in una fase di crescita?
Aveva già colpito il sottoscritto nel piacevole Cop Car, ma lì aveva un ruolo più definito e standard, facilitato, e in più doveva dividere lo schermo con l’altrettanto bravo Hays Wellford: qui è il cuore nero del viaggio, è colui che cammina e il luogo verso dove si cammina e dal quale ci si allontana, e mostra una padronanza che, obbligatorio incontro con le droghe fra un po’ di tempo e necessaria capacità di gestione di quell’incontro, potrà portarlo a una buona carriera o a un oblio macaulayculkiniano, molto più sommesso e in sedicesima.

L’altro elemento di “confusione” nel cast è Gene Jones: ottimo caratterista, grande attore, lunga carriera con alcuni spunti horror (recuperatelo in Dementia, se ancora non l’avete fatto) e tutto quanto, ok, bla bla bla, solite cose.
Ma affidargli il ruolo che ha in The Strange Ones dopo quello che ha avuto nel 2013 in The Sacrament vuol dire cercare apposta di metaconfondere le carte, o le acque.

Una volta ammirato questo attore nel dimenticabile film di Ti West, facciamo fatica a fidarci di lui in una situazione che lo vede più o meno a capo di una non tanto definita comunità di teenager: se anche non dovesse accennare la minima piega sinistra, il nostro senso di ragno cinematografico rimarrà allineato su quelle lunghezze d’onda e lo guarderemo con sospetto a ogni minimo movimento.

Il proseguire della vicenda non ci aiuta a trovare risposte, se non per alcuni versi negli ultimi minuti.
The Strange Ones ci lascia con tanti dubbi e innumerevoli domande.

Una di queste è bene ripetersela di continuo: cosa è horror e cosa no?

Ma non tanto per noi, che lo sappiamo: è una domanda che può aiutarci a conoscere gli altri e, di riflesso, ad aumentare la conoscenza di noi stessi operando il confronto.


Titolo: The Strange Ones
Titolo originale: The Strange Ones
Nazione: USA
Anno: 2017
Regia: Christopher Radcliff, Lauren Wolkstein
Interpreti: Alex Pettyfer, James Freedson-Jackson, Emily Althaus, Gene Jones, Owen Campbell, Tobias Campbell, Marin Ireland

Recensione del film The Strange Ones
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 20/01/2018


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