Recensione
Le Cronache dei Morti Viventi

Le Cronache dei Morti Viventi: visiona la scheda del film Serviva follia o enorme talento per proporre nel medesimo anno un terzo film che osasse confrontarsi, per metodo e scopi, con due titani dell’horror contemporaneo quali Cloverfield e [REC]. E George A. Romero dimostra purtroppo che il talento è andato perso tanto tempo fa, più o meno, modesti ritorni di fiamma a parte, nel 1985.

Le Cronache dei Morti Viventi (Diary of the Dead) più che un film di George A. Romero che voglia sembrare un documentario girato da studenti pare invece un documentario girato da studenti che voglia sembrare un film di Romero e, credetemi, non è un complimento.

Che l’ispirazione cominciasse a latitare peggio di qualche boss mafioso lo si era già visto nel suo precedente La Terra dei morti viventi, una landa piatta e noiosa dove la brillante nozione di principi di organizzazione sociale fra i non morti veniva seppellita in un mare di scopiazzature, lungaggini e incertezze.

Ora Diary of the dead rassicura gli incerti e spedisce Romero a far compagnia ad altri elefanti stanchi del circo horror. La pista per il cimitero è quella, dietro il terzo baobab, avviatevi e lasciate spazio ai nuovi talenti di cui il campo è per fortuna pieno, non ridicolizzatevi ulteriormente con altre pellicole di questo tipo, simpatici vecchietti!

È sintomatico che con Le Cronache dei Morti Viventi il crollo definitivo della cinematografia romeriana avvenga proprio in occasione della resa dei conti con i due perni ossessivi della sua carriera: gli zombi e la produzione indipendente. I primi sono ormai in mano ad altri cineasti, che hanno scelto di farli correre (e suona patetica una delle scene iniziali del film con commento in voce fuori campo sul fatto che le mummie “devono” camminare lentamente), la seconda non è più garanzia di libertà creativa se mancano le idee e si rimasticano 30 anni di cinema zombesco per far finta di avere qualcosa di nuovo da dire.

Romero sente il fiato della grande mietitrice sul collo e cerca di rialzarsi come i suoi zombi, ma non ce la fa in nessun segmento del film (con la parziale eccezione degli sgangherati, incongrui ma efficaci momenti comici, specie quello riguardante l’incontro con l’Amish) e affoga in un mare di spunti che poco o nulla hanno a che fare con i morti viventi. Dalla guerra in Iraq all’uragano Katrina, dai nuovi media fra blog e my space al terrorismo fino al global warming, il regista pensa che i suoi amati zombetti possano diventare simbolo e riverbero per qualsiasi tipo di sottotesto ma l’immagine rimane drammaticamente slegata dal commentario e molte volte ci si chiede che diavolo stia dicendo la (fastidiosissima) voce fuori campo.

Concepito come collage di filmati provenienti da varie fonti (HDV, filmati di sorveglianza, blog-entries e filmatini coi cellulari…) Le Cronache dei Morti Viventi non prova nemmeno a fingere di non essere un “film”: illuminazione, angoli di ripresa, controcampi e stacchi rimangono nel campo della professionalità (e non quella di vaglia, come Cloverfield, che riusciva a mimare molto meglio la provenienza artigianale) fallendo fin nel commento musicale, fuori contesto e post-prodotto, che infatti viene “motivato” in modo superficiale a inizio film, quasi come scusante.

Nulla di peggio poi che veicolare ogni tipo di sottotesto economico e socio-politico con una serie di frasi didascaliche invece che attraverso gli avvenimenti. Alla noia di quel che accade (o meglio, non accade) on screen si aggiunge la noia di ascoltare per quasi tutto il film la voce di una risaputa studentella che ci dice quanto il mondo vada male, quanto facciamo schifo come razza e che si pone questioni banalissime sul ruolo dei media istituzionali e del giornalismo indipendente.

Lungi dal rivoluzionare, siamo in piena Restaurazione Horror, per mano, giustamente, di chi un tempo aveva guidato la sommossa.
In Le Cronache dei Morti Viventi torniamo quindi ai morti viventi che camminano lenti e, wow, indovinate l’effetto? Esatto! Non fanno più paura nemmeno alla mia nipotina di 7 anni: Danny Boyle e compagnia danzante hanno settato i nuovi standard mondiali e una volta presa la strada dei 28 Giorni Dopo non si torna più indietro, nemmeno se a dirlo e provarci è l’ex Maestro in persona. E via così a tante altre banalità stantie, fra il razzismo di ritorno nascosto dietro chissà quale presupposto (i neri ora hanno il potere!) fino ai soliti giochi a nascondino con il morto di turno e con l’obbligatorio assedio in spazi chiusi.

Non aiutano certo le prove degli attori, intrappolati dentro personaggi che non potrebbero mai essere persone, dalla ragazza concreta alla biondina scema, dal regista ossessionato al vecchio ubriacone che saprà riscattarsi, dal giovane e ricco playboy al nero tosto, è tutta una galleria di stravisto e stracotto che spiace e fa male vedere in mano a un regista che molto ha dato al genere. Splatter? Beh, certo, ci sono i tipi della K.N.B. qundi spazio anche all’effetto, c’è posto per qualche cranio spaccato e carinerie del genere (buona la scena con gli occhi che scoppiano), ma la piattezza del mezzo annulla il già tenuo shock-value che non riesce a scalfire un pubblico abituato a ben altri regimi dietetici.

Fa piacere sapere che un amabile 68enne come Romero sappia cosa siano YouTube e MySpace, dovrebbe però lasciar usare questi mezzi a chi ha compreso la loro natura e non ficcarli dentro a un mix che risale al 1968 sperando che accada qualcosa per pura magia. Mal diretto, legnosamente recitato, illuminato da una talpa schizofrenica e montato alla spera in Cthulhu: siamo di fronte a un film che nulla aggiunge alla moderna mitologia zombesca e che pare più adatto al morbido dimenticatoio dei videonoleggi che al nobile territorio della sala cinematografica.

Non funziona più.
Quel che funzionava nel 1968 non può più funzionare quaranta, ragazzi, quaranta anni dopo. Il nichilismo d’accatto, americano e approssimativo che ancora reggeva i fili e le fila degli zombi di Pittsburgh funzionava da dio in un momento di rivoluzione, paure atomiche e cambiamenti vari ma non può girare ora, non dopo che abbiamo visto mille film in cui arrivano gli zombi e il mondo finisce, non quando alla rivoluzione ha ormai risposto purtroppo alla grande l’onda montante di teocon, Vaticano e leghismi vari, vuoi dal Texas vuoi dalla più modesta pianura padana. Non quando i ragazzi d’oggi hanno ben altri problemi, paure e sogni.

E la sclerotizzazione di Romero, capace di scoprire i blog ma non di accorgersi che il mondo è cambiato è il simbolo della scomparsa dei vari maestri dell’horror, molti dei quali (Wes Craven, Tobe Hooper o Dario Argento, per nominarne alcuni) sembrano aver perso da tempo il tocco magico, altri che preferiscono per fortuna azzerare e rielaborare i linguaggi di generi diversi (David Cronenberg), altri ancora ormai missing in action (John Carpenter). Chi ancora riesce a riflettere sulla realtà con visioni potenti (William Friedkin, autore del recente Bug) viene stranamente messo in angolo e privato di diffusione, come se le sue opere potessero dar seriamente fastidio all'establishment.

Risparmiate i vostri soldi e, ancor di più, il vostro tempo. Sono altri i morti viventi che dovete correre a guardare, non certo gli stanchi pupazzi romeriani. Questi, se proprio ci tenete, li potete vedere su YouTube.com o altri mezzi simili. È la cornice ideale per la qualità del girato.


Titolo: Le Cronache dei Morti Viventi
Titolo originale: Diary of the Dead
Nazione: USA
Anno: 2007
Regia: George A. Romero
Interpreti: Shawn Roberts, Joshua Close, Michelle Morgan, Jon Dinicoi, Phillip Riccio, Scott Wentworth

Recensione del film Le Cronache dei Morti Viventi
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 29/04/2008

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