Prendete una di quelle strade tipicamente americane, che sembrano non avere né inizio né fine, quelle i cui paesaggi offrono solo interessanti variazioni della sabbia del deserto. Aggiungeteci un adolescente un po’ sfigatello, di quelli che campano con una lavoretto qua e uno là, e intanto pensano alla prossima tipa da cavalcare il prossimo sabato sera.
Sommateci infine un pazzo, ma uno di quelli proprio matti, che agisce senza nessuno motivo, così, solo perché gli piace essere cattivo.
Condite poi con una ragazza belloccia che s’innamora e fa l’eroina, e con un sceriffo di quelli tutti sigari, cappelli, occhiali da sole, pistole e polvere, sì, insomma, quelli che non sanno bene cosa vuol dire la parola potere o che forse la comprendono fin troppo bene.
Robert Harmon ha fatto proprio così, ha messo insieme questi stereotipi e ne ha tirato fuori un capolavoro, un film di quelli che fanno la storia, che verranno copiati e citati e presi come esempio da qui all’eternità.
Perché The Hitcher: La Lunga Strada della Paura è il paradiso degli inseguimenti, che ti prendono il fiato e te lo ridanno solo quando le macchine si capottano. The Hitcher è la terra dei colpi bassi, quelli sotto la cintura, che ti strizzano il cuore e ti fanno star male fino a che non arriva quello successivo, che ti fa stare ancora peggio. The Hitcher è la summa della tensione, della suspance o di come diavolo volete chiamarla, perché non si può star tranquilli guardando un film come questo.
La pellicola è critica e denuncia verso il perbenismo, e John Ryder, nella sua totale mancanza di un documento che sia uno, di un’identità e anche di un banalissimo passato, rappresenta il male, nient’altro che il male, che fuoriesce in tutta la sua malvagità per fare un dispetto, chiamiamolo così, a chi l’ha tenuto nascosto fino a questo momento.
E poi c’è l’azione e lo splatter, ché quando c’è bisogno di far scorrere un po’ di sangue non si tira indietro nessuno. E allora via agli sgozzamenti e alle teste che esplodono, che qui tutti fanno festa quando è ora di essere violenti.
Robert Harmon, in parole povere, ha fatto il colpaccio. È stato un genio, punto. In una cornice desertica e polverosa, nella quale si respira affannosamente e i colori forti e intensi accecano gli occhi (molto pregevole la fotografia), il regista ha dilatato una trama minimale per un’ora e mezza trasformandola in un girotondo di nervosismo, eccitazione e colpi allo stomaco, ha dato a Rutger Hauer, nei panni di John Ryder, il trampolino di lancio per la sua più grande prestazione di sempre, e ci ha regalato un film culto.
Occhio, però, che un po’ di merito se lo deve prendere anche lo sceneggiatore Eric Red, non tanto per chissà quali dialoghi memorabili, ma per una lunga serie di trovate e soprattutto per così tanta inventiva che al giorno d’oggi non si trova più, neanche pregando chissà quali déi sanguinari.
Ma, script o non script, The Hitcher: La Lunga Strada della Paura non sarebbe mai diventato quello che è senza la presenza fondamentale di Rutger Hauer. Implacabile, freddo, è il diavolo in persona. Inarrivabile in quanto a carisma e capacità espressiva, la sua carriera raggiunge l’apice in questo film e in Blade Runner, per poi – ahinoi – sprofondare in un declino lento e inesorabile verso i film di bassa lega.
Ottima anche l’interpretazione di C. Thomas Howell (The hitcher II - Ti stavo aspettando, Lo Strangolatore, Glass trap - Formiche assassine), quel Jim-bravo-ragazzo che gli tocca trasformarsi in Jim-piè-veloce e soprattutto in Jim-l’astuto se tiene cara alla pelle.
C’è anche Jennifer Jason Leight (eXistenZ, L'uomo senza sonno), in uno dei suoi primi lavori importanti. Ha un bel faccino e sotto sotto il talento lo si nota, ma, mamma mia, che capelli!
Essenziali ma perfette le musiche, costituite da partiture tastieristiche che più anni ’80 non si può, intervallate nei momenti più caotici da certe soluzioni quasi rumoristiche, che ricordano il Mike Oldfield più sperimentale e inaccessibile.
Robert Harmon, che a dirla tutta non ha avuto chissà quale fortuna dietro la macchina da presa, ha pensato in seguito che a sfruttare il successo del suo film di punta per cercare di tornare sulla cresta dell’onda sarebbe stata buona cosa, perché no, l’hanno fatto in tanti, in fondo.
Ma il suo Highwaymen - I Banditi della Strada – che cerca di rinverdire i tempi d’oro – è tutto fuorché un capolavoro. Un film modesto, purtroppo, che ha l’unico pregio di farci ricordare che The Hitcher, forse, merita di essere visto un’altra volta. E un’altra ancora.
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