Davide Cassia e Stefano Sampietro intervistati da Simone Corà

Libri > Interviste > Gli autori di La clessidra d'avorio, Davide Cassia e Stefano Sampietro, sono stati intervistati per LaTelaNera.com da Simone Corà

Davide Cassia e Stefano Sampietro intervistati da Simone Corà Simone Corà ha incontrato e intervistato Davide Cassia e Stefano Sampietro, il duo autore del romanzo La clessidra d’avorio da poco pubblicato per Edizioni XII.


[La Tela Nera]: Davide Cassia e Stefano Sampietro, nomi giovani ma di certo non sconosciuti nell’underground letterario – Davide, tra l’altro, hai pubblicato il romanzo Inferno 17 un paio d’anni fa. Che ne dite di raccontarci un po’ di voi e presentarvi a chi ancora non vi conosce?
[Stefano Sanpietro]: I miei esordi letterari risalgono agli anni dell’università e sono legati ad alcuni concorsi a carattere locale, i cui buoni esiti mi hanno incoraggiato a proseguire nella scrittura. In seguito ho pubblicato alcuni racconti di fantascienza sulla rivista Futuro Europa della Perseo Libri e, più recentemente, ho partecipato alla prima edizione dei Corti di Edizioni XII. La clessidra d’avorio rappresenta per me una duplice novità, sia per la forma (è il mio primo romanzo) che per la sostanza (è la prima opera non di fantascienza).

[Davide Cassia]: Io considero la pubblicazione di Inferno 17 come il mio esordio, anche se in realtà ho pubblicato 3 romanzi prima di questo, con un editore a pagamento. Quello di cui vado orgoglioso, oltre ad aver pubblicato Inferno17 e a settembre La clessidra d’avorio, è aver contribuito a creare USAM, Una Storia al Mese, concorso letterario mensile in cui gli utenti del forum di Edizioni XII si sfidano, si confrontano e si scambiano opinioni. Penso sia questo l’aspetto fondamentale, e anche che è diventato un bacino da cui pescare nuovi talenti.

[LTN]: Parliamo de La clessidra d’avorio, il vostro romanzo in uscita a settembre: vi va di riassumerci brevemente la trama?
[SS]: Il romanzo è ambientato in prevalenza nella Francia di inizio Ottocento, in un periodo storico che ho sempre ritenuto ricco di potenzialità narrative. Si tratta infatti di un’epoca dagli aspetti tragici, connessi alle guerre e alle campagne napoleoniche, ma anche dai forti toni di rottura col passato e di diffusione in Europa di idee nuove. Protagonista è Darius Berthier de Lasalle, un nobile colto e dalle simpatie illuministiche, che ha conosciuto il dramma dell’esilio per sopravvivere alla violenza rivoluzionaria. Egli, in compagnia del figlio Sebastien, un soldato dell'esercito di Napoleone in temporaneo congedo, parte per le terre italiane alla ricerca di un amico scomparso, un altro nobile di nome Moran de la Fuente. Il loro viaggio, che li porterà a sud della Francia, poi a Firenze, Bologna e infine a Roma, sulla scia del grand tour che i nobili europei compivano all'epoca, sarà anche la ricerca di una antica clessidra, il cui valore è legato alla capacità di misurazione delle fasi dei processi alchemici.

La clessidra d'avorio, di Davide Cassia e Stefano Sampietro [LTN]: Il tema principale è un argomento assai poco battuto e per certi versi alquanto insolito: l’alchimia. Come mai questa scelta? Cosa vi affascina di questa disciplina, tanto da renderla protagonista di un libro intero?
[SS]: L'alchimia è una metafora affascinante del tentativo dell’uomo di superare i limiti della realtà contingente, sia che si parli di elisir di lunga vita o di trasmutazione dei metalli. Nell'immaginario culturale occidentale, la “grande arte” è simbolismo, mistero, abnegazione, potere... tutti elementi ideali per uno sviluppo narrativo. Dal punto di vista empirico, non posso nascondere il mio scetticismo (che poi è quello del protagonista del romanzo, Darius, il cui spirito razionalista è sempre un contrappunto critico all'entusiasmo e al desiderio di credere dell’amico Moran), ma questo forse ha rappresentato un vantaggio, consentendomi di trattare l'argomento con il dovuto distacco...

[DC]: Da parte mia perché amo il mistero, e penso che l’alone che circonda certi personaggi che hanno animato la storia dell’alchimia sia già di per sé degno di decine di romanzi. Questa commistione tra filosofia e misticismo da una parte e chimica e fisica dall’altro rendono l’argomento controverso e affascinante.

[LTN]: È un romanzo a metà strada tra l’avventuroso, il thriller storico e un pizzico di fantastico, che viaggia su vari piani temporali che via via si allacciano tra di loro: un presente (il 1800), costituito dalla vicenda principale di Darius, Sebastien e Moran, e un lontano passato, rappresentato dall’antico diario di Giacomo Bandini. Come è nata questa struttura narrativa? Era già stata prestabilita sin dall’inizio?
[SS]: Sì, l’esistenza dei diversi piani ci è stata chiara fin dalla partenza, anzi è stato uno dei primissimi elementi che ha caratterizzato la nostra idea del romanzo. Ho sempre apprezzato le strutture di questo tipo, credo che allontanino il rischio di uno sviluppo troppo lineare e monotono. Inoltre abbiamo intuito che avrebbe permesso un’efficiente suddivisione del lavoro (eravamo consapevoli che scrivere a quattro mani non sarebbe stato facile!).

[DC]: Intrecciare epoche diverse è intrigante e difficile, una sfida aperta. Volevamo provare, e, forse, ci siamo riusciti.

[LTN]: A proposito dell’originale sezione riguardante il diario, un antico volume del 1600: per essere fedele a quegli anni, è stata interamente scritta in un italiano ben lontano da quello parlato oggigiorno. È stato difficile immedesimarsi in un simile periodo storico e utilizzare uno stile e una terminologia assai differenti da quelli odierna? Come siete riusciti a renderli comunque così scorrevoli e accattivanti?
[SS]: Il diario è toccato a me, dunque se qualche italianista si sentisse scandalizzato dalle licenze stilistiche adottate, è me che deve venire a cercare… a parte ciò (voglio immaginare che i cultori dell’italiano antico siano persone pacifiche), devo rispondere in modo affermativo e ammettere che è stato abbastanza faticoso. Forse è esagerato citare Ignazio Silone, quando dice che lo scrivere non è stato mai “un sereno godimento estetico”, ma una “solitaria continuazione di una lotta”… tuttavia è stato impegnativo e ha richiesto un discreto investimento di tempo e risorse.
Innanzitutto, prima di cominciare, mi sono dedicato alla letteratura italiana del diciassettesimo e diciottesimo secolo, senza in realtà seguire criteri particolari, ma leggendo il più possibile, dalla prosa barocca alla lirica settecentesca, e cercando di assorbire i ritmi delle frasi, le soluzioni lessicali più frequenti, gli avverbi più utilizzati, e così via.
In sede di scrittura, poi, non era assolutamente dato di poter scrivere “di getto”. Ogni frase del diario è il frutto di una ricerca, a volte piccola, a volte più lunga e paziente. In un certo senso è stato come scrivere in una lingua straniera da poco imparata… lo scopo è però sempre stato quello di ottenere un compromesso tra una lettura agevole e un tenore stilistico che suonasse come italiano antico.

[LTN]: La storia è ricca di indovinelli e rebus che i protagonisti devono risolvere per poter raggiungere la loro meta: come sono nati? Erano già stati architettati in partenza, sono stati ideati strada facendo o si è trattato di un processo più complicato?
[SS]: Sono il risultato di una miscela di idee stabilite all’inizio, di invenzioni nate in corso d’opera e di elementi inseriti in sede di revisione… spesso ci sembravano trovate interessanti di per sé, altre volte bisognava che si incastrassero ad arte nella trama (queste ultime sono state, come è ovvio, le più difficili). In generale, ci sono venuti in aiuto alcuni nostri interessi, come ad esempio, nel mio caso, la passione per gli scacchi.

[DC]: Era nostra intenzione fin dall’inizio rendere la vita difficile ai protagonisti nella ricerca del diario e della clessidra e il modo migliore ci sembrava quello di far risolvere gli enigmi con la logica e l’intuizione che sono tratti caratteristici di Darius e Sebastien. Molti erano stati programmati prima, altri, come ha già detto Stefano, sono venuti fuori da soli nel corso della stesura del romanzo.

[LTN]: Da dove deriva la scelta di un contesto prevalentemente ottocentesco? Credete inoltre che un’ambientazione atipica, come questa suggestiva e ben ricreata Francia napoleonica, possa dare una marcia in più al romanzo?
[DC]: Cercando un po’ in rete e nelle librerie ci sembrava che ci fossero ben pochi romanzi ambientati in quest’epoca, forse perché di difficile interpretazione o forse perché non interessante come altre. A nostro parere invece è un periodo storico pieno di spunti affascinanti, soprattutto la sua collocazione temporale tra epoche storiche così diverse. Sono presenti nello stesso momento elementi legati ancora alla vecchia aristocrazia e idee che rivoluzioneranno l’Europa e il mondo. La speranza è che appunto un’ambientazione così poco sfruttata possa essere un elemento distintivo del romanzo.

[LTN]: Tutti i personaggi, sicuramente uno dei pregi migliori del romanzo, hanno personalità forti e scolpite, e le loro interazioni sono molto credibili: come li avete creati? Avete preso spunto da conoscenti, dalla realtà quotidiana?
[SS]: Quando ti cimenti in un romanzo storico, l’ispirazione dalla quotidianità è ovviamente indiretta e mediata. Se però parliamo di esseri umani, dei loro caratteri e delle loro personalità, allora stiamo considerando delle costanti storiche. Come ha detto Fabrizio De Andrè: «Credo che l’uomo possa anche conquistare le stelle, ma penso che le sue problematiche fondamentali sono destinate a rimanere le stesse per molto tempo, se non per sempre». I personaggi del romanzo non sono riconducibili in modo diretto a nessuno di nostra conoscenza, forse però abbiamo trasposto in loro alcuni tratti di noi stessi. Del resto, quando uno scrittore costruisce un personaggio, non può prescindere da se stesso, da come vorrebbe essere o da come vorrebbe non essere. I valori di un personaggio sono una funzione di quelli del suo creatore…

[DC]: Le caratterizzazioni dei personaggi erano state tratteggiate a grandi linee prima di partire. Poi, come in ogni romanzo, una volta iniziata la prima stesura si sono delineate da sole, come se fossero personaggi realmente esistiti, come se reclamassero la loro parte di realtà e non fossero solo fittizi e creati a tavolino.

[LTN]: La clessidra d’avorio è un romanzo scritto a quattro mani: come vi siete divisi i compiti? È stato difficile lavorare insieme, e discutere, confrontarsi, in modo da essere entrambi d’accordo su ogni singola sfumatura del libro?
[SS]: La trama con i diversi piani temporali era, per sua natura, suscettibile di essere suddivisa tra noi e ciò ha rappresentato, all’inizio dei lavori, un grosso vantaggio. In seguito le parti si sono sovrapposte e i confini tra i contributi si sono sfocati, ma quando siamo partiti con la prima stesura, ci siamo organizzati in modo ottimale. Direi che la nostra collaborazione è sempre stata civile, cioè non siamo mai arrivati alle mani… scherzi a parte, tutte le volte che avevamo un’opinione diversa, siamo sempre riusciti a confrontarci e a convergere verso una decisione comune.

[DC]: Il grosso del lavoro all’inizio l’ha fatto il sottoscritto, perché è nella mia indole andare a testa bassa e scrivere finché non ho finito. Io avevo la parte più cospicua, mentre Stefano, come diceva prima, si è occupato del diario (lavoro che io non avrei mai potuto fare). La prima parte è stata semplice, il difficile è arrivato dopo, nel momento in cui abbiamo dovuto fare il primo editing e considerare la storia sotto tutti gli aspetti. A questo punto è nata una danza di file e una profusione di versioni che ci siamo rimbalzati a suon di mail, e di quel che era la prima stesura è rimasto poco o niente. Pensate che abbiamo iniziato a scriverlo nel 2003 e ho detto tutto.

[LTN]: Avete qualche progetto futuro? Ci sarà una nuova collaborazione?
[SS]: Al momento non c’è nulla di definito in cantiere, anche per via dei nostri rispettivi impegni professionali e familiari (con conseguente cronica scarsità di tempo), ma in futuro chissà…

[DC]: No, non c’è nessuno progetto al momento, ma mai dire mai.


Davide Cassia e Stefano Sampietro intervistati da Simone Corà
Intervista realizzata da: Simone Corà
Pubblicata il 13/11/2010

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