Intervista a Giacomo Cacciatore

Libri > Interviste > Due parole con l'autore palermitano in rapida ascesa

Intervista a Giacomo Cacciatore Giacomo Cacciatore, palermitano d'adozione, autore poliedrico, saggista, collabora dal 1999 come narratore con l'edizione siciliana de La Repubblica, curando le rubriche "Storie minime", "Il personaggio" e "I volti della Sicilia". Per lo stesso giornale ha scritto due romanzi noir a puntate, Il colore delle sirene (2000) ed Il muro e il filo (2001).
Ha esordito nella narrativa nel 1994 con la raccolta di racconti horror Nostra signora dei sospiri, edizioni Reprint. Nel 2002 ha pubblicato Palermo, amore e coltelli con la casa editrice Ila Palma. Un suo racconto era stato inserito nella raccolta 14 Colpi al cuore, edito da Mondadori nell'estate del 2002.
E' ora in libreria con Duri a Morire, un'antologia pubblicata da Dario Flaccovio Editore e che "raccoglie", oltre al suo, i racconti di Serge Quadruppani, Danilo Arona, Nino Filastò, Gianfranco Nerozzi e altri nomi noti del panorama editoriale Italiano.
E' in uscita un saggio sul cinema di Lucio Fulci, scritto a quattro mani con Paolo Albiero.

[La Tela Nera]: "Duri a morire proprio come la narrativa 'di genere' che non soccombe all'omologazione e alle mode letterarie effimere", si legge in una recensione dell'antologia. Qual è, a tuo avviso, il segreto di questa longevità?
[Giacomo Cacciatore]: La capacità o, almeno, la ferma intenzione degli autori "di genere" di raccontare storie. Nel caso degli scrittori di noir e di horror, forse la definizione più adatta è: favole nere. E le favole, per fortuna, non difettano né in longevità né in universalità.

[LTN]: Se fossimo in un'aula scolastica, a questo punto, la domanda sarebbe: "Mi parli di Duri a Morire"...
[GC]: Un'antologia nata tra mille timori e sorretta da grandi speranze. Dario Flaccovio, editore semi-neofita in materia di narrativa, ha fatto una scommessa coraggiosa. I racconti dovevano essere duri e senza compromessi, anche in risposta ad un genere letterario come il poliziesco che, dopo lo sdoganamento di questi ultimi anni, da noi in Italia - a mio parere -  sta già cominciando a mostrare la corda, a edulcorarsi. In realtà, credo che il boom letterario nostrano riguardi più il giallo che il noir estremo. Siamo sempre e comunque il paese del "tarallucci e vino".  In questo Raffaella Catalano, la curatrice della raccolta, è stata chiara: nessun limite alla fantasia e alla "rabbia" dei singoli scrittori. Sfogliando il libro in anteprima, direi che la scommessa di "Duri a morire" è stata vinta. Tutti quanti, da Bernardi ad Arona agli esordienti - forse la vera sorpresa del volume - hanno dato il meglio di sé. Si respira aria di libertà e quel pizzico di sana incazzatura che è il punto di forza del noir, contaminato o meno dall'horror.

[LTN]: Spesso, si ha come l'impressione che a questa teoria di generi contigui (dal noir all'horror) sia attribuito un rango "inferiore" rispetto a filoni narrativi più tradizionali. Qual è la tua opinione al riguardo?
[GC]: Credo che la separazione tra scrittura "alta" e narrativa commerciale sia un'invenzione dei critici e degli intellettuali salottieri che, in qualche modo, devono trovare il proverbiale cane in chiesa su cui puntare il dito e un argomento convincente per guadagnarsi da vivere. La cosa peggiore è che lo fanno trincerandosi dietro una concezione molto confusa di "cultura". Basata sull'equazione: successo commerciale, uguale scarsa qualità. Messaggio sociale sbandierato in copertina, uguale impegno. Il che può essere vero per il singolo caso, ma non per scrittori come Camilleri o King, che non devono più dimostrare niente a nessuno. Per somma sfortuna dell'intellighenzia, di scrittori che facevano e fanno narrativa considerata "di genere" sono piene le antologie e gli scaffali delle librerie. E persino la sezione dei classici. Si continuano a ristampare, e sarà così per chissà quanto tempo. Non si può dire altrettanto dei vari premiati con lo Strega o con il Campiello degli ultimi anni.

[LTN]: Parliamo di letteratura horror. I nostri lettori-autori sono sempre alla ricerca di spunti. Stephen King, per esempio, ha ribadito sovente di far leva sulle paure ancestrali che accompagnano l'uomo in ogni luogo e tempo. Quali pensi che siano gli ingredienti per scrivere un racconto efficace?
[GC]: Come si dice quando chiedi a qualcuno: che cosa si prova quando ci si droga? La risposta di prammatica è: "Si tratta di fattori soggettivi". Per quanto mi riguarda, cerco di partire sempre da un conflitto, che poi è la base della "drammaturgia" in scrittura. Se parliamo di horror, il conflitto ha a che fare con le paure ancestrali dell'autore; ma anche il noir, a ben vedere, e persino una storia d'amore o una scena comica. Non c'è conflitto senza paure. Non c'è comunicazione, né emozione, senza conflitto. Se il conflitto funziona, poi, è possibile che il singolo individuo - uno che scrive, nel caso specifico - trovi dei compagni di viaggio, ossia quelli che leggono le tue paure, i tuoi dubbi, e magari pensano: "Però, io ho provato le stesse sensazioni di cui scrive questo tizio". King... viaggia su un transatlantico pieno di lettori ai quali è riuscito a sfiorare un bel po' di nervi scoperti.

[LTN]: La letteratura di "genere" ha condotto anche a una revisione dei canoni stilistici, facendo prevalere un linguaggio più asciutto, più duro. Che consigli daresti in proposito ad un esordiente?
[GC]: Consideriamo che sono un emergente... parente stretto di un esordiente... La prima cosa alla quale bisognerebbe pensare è una storia che regga (senza quella, la forma poco importa). Poi, direi di pretendere da se stessi l'essenzialità. Non c'è niente di peggio di una frase o un periodo che non siano funzionali alla storia. Ma si verifica anche il problema opposto, l'eccessivo minimalismo: ci avviciniamo a una asciuttezza estrema, un uso continuo della prima persona e del verbo al presente. Si rischia di sembrare tutti uguali. Come al solito, il segreto sta nella personalità di chi scrive. E nell'imparare dai modelli, poi abbandonarli e cercare una strada propria.

[LTN]: Hai appena concluso un saggio su Fulci il quale, al pari di Romero, deve parte della sua fama a film quali Zombie e Paura nella città dei morti viventi. Quali ritieni essere i motivi che hanno decretato il successo cinematografico dei "non-viventi"?
[GC]: Posso dire che per me i "morti viventi" sono stati l'equivalente di Frankenstein e Dracula per gli appassionati un po' più anziani del sottoscritto. Un mito da frequentare e da temere, fin da quando avevo dodici anni e sgattaiolavo dentro i cinema di quinta visione per godermi un morto vivente come Dio comanda, in barba al divieto ai diciotto. Chiedendomi il perché di tutto questo, mi sono risposto, alla Marzullo, che gli zombies un po' incarnano la paura della morte, del disfacimento fisico, della perdita di volontà. Se sono cannibali, poi, le implicazioni inconsce si sprecano. Ma gli zombi sono anche dei rivoluzionari. Butto lì una citazione romeriana: "Sono noi". Aggiungo che gli zombi di Fulci e Romero non si somigliano poi tanto. Romero è un regista essenzialmente politico, mentre Fulci... anche, ma... Bè, dovrete leggere Il terrorista dei generi scritto da me e da Paolo Albiero per scoprire che cosa ne penso. L'appuntamento con questo saggio critico-biografico è per il 2004, casa editrice "Un mondo a parte", Roma.

[LTN]: I film di Romero sembrano celare una sottile metafora che si presta, a nostro avviso, a molteplici chiavi interpretative, in funzione del vissuto e della cultura dello spettatore. Da esperto di cinema, ci piacerebbe conoscere la tua opinione sull'argomento.
[GC]: Ritengo Romero una delle poche persone sulla faccia della terra baciate dal genio. E mi chiedo, dato il suo silenzio, se non sia già morto da un pezzo e non se ne vada in giro a divorare i produttori che vogliono decapitarlo. Scherzi a parte, dire che "La notte dei morti viventi" è stato uno spartiacque, sia sul piano formale (il taglio quasi documentaristico delle riprese e altro) sia su quello dello shock emotivo (il sangue e il disfacimento, non solo fisico, ma anche sociale) è storia risaputa. Ancora una volta si può parlare di universalità e di attualità, e tornare al fatto che le vere storie, scritte con l'anima e la rabbia, non muoiono mai. Non credo che qualcuno possa considerare datato un film come "Zombi": l'assedio a un supermercato che è diventato il nuovo, gigantesco mausoleo dell'umanità e l'arena dei nuovi barbari. E ne stanno facendo un insensato remake: questo dice tutto, sono i paradossi della vita. Che c'entrano i morti di Romero con noi? Basta guardare l'Italia di oggi, e l'America di oggi e di ieri. A Romero consiglierei di venire a girare da noi il suo quarto capitolo della saga degli zombi. Magari durante una puntata di "C'è posta per te" o una convention di Forza Italia... Credo di aver detto abbastanza.

[LTN]: Parliamo dell'avvenire. Quali filoni pensi esploreranno la letteratura e la cinematografia horror nel futuro prossimo venturo?
[GC]: In cinema, l'horror non è mai defunto del tutto. Magari ha subito qualche flessione negativa, un bagno nel burlesco non sempre salutare, ma si parla di America. Nelle produzioni nostrane è morto da un pezzo. Non credo che il discorso cambi per l'horror rispetto al cinema italiano in generale: ci sono i tecnici, quelli che sanno fare una bella ripresa, che sanno illuminare una scena o realizzare un effetto, ma mancano gli sceneggiatori. O, se ci sono, non emergono. Forse latitano anche i produttori pronti a correre il rischio. E di conseguenza, i filoni si sono un bel po' prosciugati. Per quanto riguarda la letteratura sono fiducioso. L'horror "scritto", in Italia, è ancora un'avventura tutta da vivere. E un periodo cupo come quello che stiamo attraversando non può non suscitare, negli scrittori e nei lettori, il desiderio di guardare in faccia i mostri. Ci sono scrittori che militano nel genere da anni, bravissimi, ai quali io darei una medaglia al valore. Danilo Arona è uno di questi. Il fatto che, poi, anche Lucarelli, accorto venditore di se stesso, abbia virato decisamente verso il fantastico nella sua ultima raccolta di racconti,  mi fa pensare che qualcosa si stia muovendo. Senza contare il noir: sempre più contaminato da elementi macabri e allucinatori. Forse è questa la direzione prossima ventura.

[LTN]: Veniamo, infine, al panorama editoriale, un argomento che interessa molto i nostri "visitatori". Si sente spesso dire che in Italia si legge poco. I colossi dell'editoria puntano su scrittori affermati e con un vasto seguito. Eppure, ogni anno, vi è un proliferare di titoli, molti dei quali sono di piccoli editori "con contributo" che tentano di scaricare i rischi imprenditoriali sugli esordienti. Quali consigli ti senti di dare ad un autore che ha un buon manoscritto nel cassetto?
[GC]: Mai pagare per essere pubblicati. Non è solo un colpo duro al portafogli ma anche all'amor proprio, e rischi di ritrovarti la casa piena di libri che poi dovrai ricomprare o distribuire porta a porta. Le Wanne Marchi esistono anche in editoria. In secondo luogo, mi riferisco alla mia esperienza: frequentare i seminari di scrittura, possibilmente quelli gratuiti, e le presentazioni dei libri. Per quanto riguarda i primi, non credo che si possa imparare a scrivere se uno non ha la "malattia" delle parole. Ma sia i seminari che le presentazioni offrono la possibilità di farsi notare, di "agganciare" qualcuno del settore e ottenere la tanto sospirata lettura del romanzo nel cassetto. Gli editori medio-piccoli sono un buon approdo: leggono più rapidamente e rischiano di più, in genere.  Camilleri ha reso un buon servizio a chi scrive letteratura popolare: l'attenzione verso i narratori di genere è cresciuta, a tutti i livelli. Certo che presentarsi da subito come dei "camillerini" nello stile e nelle storie che si propongono, non giova alla causa.

[LTN]: Quale scenario prevedi per il mercato librario italiano?
[GC]: Non buono. Mi auguro che la gente non compri soltanto le barzellette di Totti e i coiti di Melissa. Il romanzo o il racconto dovrebbero essere luoghi dove trovi ciò che i giornali e la televisione non ti dicono. Ma è un dato di fatto che questi luoghi magici sono sempre meno frequentati.

[LTN]: Ringrazio Giacomo Cacciatore per il tempo e la disponibilità concessi a La Tela Nera

Intervista a Giacomo Cacciatore
Intervista realizzata da: Alessio Valsecchi
Pubblicata il 17/11/2003

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