Libri > Interviste > Domande a raffica per l'autore de La scala di Dioniso e L'impagliatore
[La Tela Nera]: La scala di Dioniso è il titolo del tuo ultimo romanzo, pubblicato nella collana Omnibus di Mondadori e ora anche negli Oscar. Tutti gli altri tuoi libri erano ambientati ai nostri giorni, qui invece siamo a cavallo tra l’800 e il ‘900: come mai questa scelta?
[Luca Di Fulvio]: È la domanda che mi sono posto io stesso quando ho cominciato a scriverlo. Cosa permette a un autore di raccontare una storia che non è ambientata nel proprio tempo (di cui, per definizione, la scrittura dovrebbe essere specchio)? E visto che non riuscivo a trovare una risposta convincente, mi ero arenato anche nella scrittura, al punto che stavo per mollare il progetto perché si sarebbe ridotto a una trama e non sarebbe mai diventato una storia. Poi mi capitò di prendere in mano le Baccanti di Euripide, e ho capito cosa volevo veramente scrivere. L’800 era apollineo e il 900 dionisiaco. Era questo passaggio di consegne che volevo descrivere e parlare del presente visto da un secolo di distanza, non del passato. Ho usato il mio serial killer per raccontare il nostro secolo violento, tant’è che ho chiuso il libro con il crollo di due torri. I personaggi fanno uso di droghe moderne come l’eroina (messa in commercio dalla Bayer nel 1896) o usano mezzi meccanici (la prima motocicletta Daimler ma anche l’elettricità e le macchine nelle industrie). Inizia la psicologia, le lotte di classe, le rivendicazioni sindacali, nasce l’individuo libero come lo intendiamo oggi. E racconto della difficoltà di abbandonarsi all’amore e i prodromi delle moderne nevrosi. Insomma, ho parlato del nostro mondo cogliendolo in un momento in cui, pur essendo ancora un neonato, aveva già tutte le qualità e le tare di quando sarebbe diventato adulto. Infine, mantengo uno dei temi che mi sono più cari, e cioè il rapporto genitori-figli, che ritengo particolarmente rappresentativo della nostra società.
[LTN]: Occhi di Cristallo, la versione cinematografica de L’impagliatore: che cosa pensi di questa pellicola?
[LDF]: Luci e ombre. Ma è più un problema generale legato al rapporto narrativa-cinema. Un regista, nel momento in cui decide di mettere in scena una storia scritta da un altro, ha il dovere/necessità di tradirla secondo la sua visione. In Occhi di cristallo è evidente che il regista e gli sceneggiatori abbiano voluto concentrarsi sul plot thriller e questo li ha costretti a seguire una strada diversa dal romanzo (o da quello che il romanzo è per me). Uno dei miei riferimenti era l’Edipo di Sofocle (ancora una tragedia greca, lo so, ma i greci – insieme a Shakespeare – hanno scritto tutto quel che c’era da scrivere). Lo sciopero dell’immondizia, che doveva rappresentare la peste (e quindi salire fino a intossicare la città, così come accade a Tebe nell’Edipo), è diventato un contorno sfumato, aneddotico e non metaforico. La madre dell’assassino (Edipo che va a letto con la madre, per intenderci, nel caso dell’Impagliatore è un totem di madre che si costruisce con le sue vittime) nel film non c’è più.
[LTN]: Ed è un peccato, in effetti.
[LDF]: La psicologia introspettiva – che nel libro cerca di dare motivazioni tanto all’assassino che al suo antagonista, stabilendo dei parallelismi, in modo da non tracciare una riga netta tra il Bene e il Male – è sacrificata all’azione. Infine il finale: il mio assassino – così come Edipo, giudice di se stesso, si acceca da solo – si uccideva pur potendo prevalere sul buono. Nel film invece l’assassino fa la fine di tutti i cattivi del cinema. Sono scelte…
[LTN]: Dopo Occhi di Cristallo sono in previsione altre due trasposizioni: La scala di Dioniso e Dover Beach. Puoi spifferarci qualcosa?
[LDF]: Al progetto de La Scala di Dioniso ho partecipato, insieme a Carla Vangelista e Antonio Leotti. Siamo un gruppo molto affiatato ed è stato un piacere lavorare con loro. All’inizio erano spaventati perché, si sa, l’autore rischia di essere un gran rompiscatole, troppo legato a quel che ha scritto e poco elastico. Dopo poche riunioni si sono spaventati di più, però. Ero io quello che voleva cambiare tutto. E in effetti (la prima stesura è ultimata con grande soddisfazione) li ho convinti a tradirmi moltissimo. Anche per ciò che ho detto prima di Occhi di cristallo, io non sono convinto che sia il plot a rispettare un’opera letteraria ma il suo senso più profondo. È il solito, vecchio problema tra forma e significato. Io mi batto per il significato.
[LTN]: Il Significato è un sasso in bocca al Significante, diceva qualcuno…
[LDF]: Mi pareva, senza stare a fare tante distinzioni, che significante fosse una parola tronfia, da trombone, che fa aggrottare le sopracciglia mentre ci si interroga dicendo: che cazzo vuol dire? Comunque in certi casi mi basterebbe che si comprendesse il significato.
Di attori è prematuro parlare. Si sono fatti grossi nomi internazionali. Di certo è un film che il mercato italiano non può sopportare economicamente (costerà almeno 30 milioni di dollari) perciò, oltre ai nostri capitali, ne avrà di americani e dovrà essere un film internazionale in cui solo alcune voci (autore, sceneggiatori e Gabriele Salvatores alla regia) saranno italiani. Date: fine 2007. L’inizio delle riprese? Speriamo. Gabriele si è innamorato di questa storia quando ancora non era scritta, gliela raccontai una sera a cena e la comprò a scatola chiusa. L’entusiasmo è un gran propulsore (e non inquina). Nel frattempo Gabriele sta preparando un altro film e i produttori lavorano alacremente per portare a buon fine questo ambizioso progetto.
Dover Beach: paradossalmente (avendolo scritto prima, venduto al cinema prima ed essendo un film a budget accessibile) è più indietro nella preparazione. Ma è una storia molto dura. Non me ne sono occupato però due sceneggiatori di cui mi fido ciecamente e coi quali sono in grande sintonia, Carla Vangelista e Ivan Cotroneo, hanno scritto un trattamento (la pre-sceneggiatura, cioè) pieno di soluzioni molto suggestive.
[LTN]: Sorvegli le lavorazioni o lasci fare? Non sei geloso di queste trasposizioni?
[LDF]: Una storia è tua finché la stai scrivendo. Io parto da questa considerazione. Nel momento in cui è pubblicata non ti appartiene più. Ogni lettore ci trova dentro quello che corrisponde di più a lui e non a me, trasformando il romanzo in qualcosa di suo. È una delle tante ragioni per cui non faccio presentazioni. Il libro parla da sé. Altre voci non sono ammesse. Tanto di più, quindi, nel momento in cui un altro autore decide di trasporlo in un’altra forma come il cinema.
[LTN]: Come sei democratico….
[LDF]: No, pratico. Un libro non ha confini né misura. Una sceneggiatura deve stare dentro le 120 pagine. Il contenitore, cioè la forma, condiziona pesantemente un’opera.
[LTN]: Scrivi anche libri per bambini sotto pseudonimo: qual è?
[LDF]: Duke J. Blanco, in omaggio a un mio mito giovanile: David Bowie, il Duca Bianco. E la J. sta per Jones, il vero cognome di Bowie. Scelsi uno pseudonimo perché pensai: se una mamma ha letto i miei thriller non comprerà mai niente di mio per i suoi figli (e la capirei).
[LTN]: Perché scrivi? E per chi?
[LDF]: Non so se sono all’altezza di una domanda così seria. Forse perché parlo poco e mi piace ascoltare. Scrivere è un modo per ascoltarmi dire le cose che sento nel profondo. E per dirle agli altri. E questo risponde anche alla domanda “per chi scrivo”. Io sono nipote di quelle nonne che radunavano i bambini davanti al camino, la sera, e gli raccontavano favole (fantastiche o paurose). E sono pronipote di quei menestrelli che scendevano in piazza e cantavano le gesta di eroi o innamorati o di delitti passionali e misteriosi. Si canta e si racconta per chi vuole ascoltare. Per tutti. L’importante è essere onesti, con gli altri e con se stessi. E così l’autore e il lettore si riconoscono senza veli, entrambi nudi.
[LTN]: Ricordo che qualcuno una volta disse che invece bisogna avere il coraggio di mentire, e anche spudoratamente, quando si scrive: stai mentendo con quest’autoproclamazione di onestà?
[LDF]: Per onestà non intendo verità. Per onestà intendo il battersi onestamente con se stessi. Anche mentendo. Perché, qualcuno è convinto che scrivere sia raccontare la realtà e la verità?
[LTN]: Che cosa apprezzi di più dei libri altrui? E quindi, di conseguenza, cosa leggi attualmente?
[LDF]: C’è una frase di Goethe che cito anche ne L’impagliatore e che riassume perfettamente il mio modo di avvicinarmi alle storie altrui: “Solo quando il mondo delle forme visibili diviene allegoria acquista valore e significato per l’uomo”. Mi interessano i libri che parlano della vita e degli uomini per quello che sono (e quindi per quel che valgono e significano) e non per quello che appaiono formalmente. Mi piacciono i libri che rappresentano l’anima degli uomini. Attualmente, però (e mi capita spesso), sto documentandomi. Io leggo tonnellate di pagine prima di scrivere. Leggo tanti saggi. Ma anche in questi si può trovare quello che dicevo. Possono essere delle raccolte dettagliate di informazioni (e non mi danno alcuno stimolo) o saggi fatti col cuore. Due esempi per tutti: Anthony Burgess che scrive di Shakespeare e Rich Cohen che racconta la mafia ebrea degli anni ’20 in America (Ebrei di mafia).
[LTN]: “Nessuno può proclamarsi autore di alcunché”: condividi questa citazione di beniana (e non solo) memoria? Perché?
[LDF]: Io di Carmelo Bene condivido tutto, per partito preso. Quand’ero ragazzo – entrando gratis al Quirino con la tessera dell’Accademia d’arte drammatica – vidi il suo Riccardo III per dieci sere di seguito. E recitavo a memoria (sempre in Accademia), insieme a Sergio Rubini, il Manfred. Ciò detto (ma sentivo il dovere di dichiarare la mia fedeltà al maestro) sono assolutamente d’accordo, e in certo qual modo ho già risposto più su. L’autore s’illude di essere autore nel momento pratico, tecnico, della creazione (ma è già lui stesso il frutto di una coincidenza ambientale e culturale) però l’opera ultimata sfugge al suo controllo, usa parole diverse da quelle che ha scritto (o le parole assumono significati diversi da quelli che intendeva), i personaggi lo tradiscono, identificandosi nel lettore (e viceversa), la trama si snoda e si chiarisce e si realizza attraverso una percezione (sempre quella del lettore) che non può essere codificata, prevista, trattenuta a riva da nessuna cima, per robusta che sia. E il libro se ne va al largo…
[LTN]: Tre aggettivi per descriverti.
[LDF]: Protettivo, pigro, sensibile.
[LTN]: Tre aggettivi per descrivere i tuoi libri.
[LDF]: Qui si rischia una figura da mamma dello scarrafone, che vede il proprio figlio bello. Comunque: onesti, passionali, metaforici.
[LTN]: Il tuo film preferito?
[LDF]: Questa è cattiveria.
[LTN]: Eh sì, sono crudele e spietata, ora lo sai.
[LDF]: Devo decidere tra Citizen Kane (Quarto potere) e Magnolia? O tra Harold e Maude e Sunset Boulevard? O tra A qualcuno piace caldo e Il sesto senso? O tra Il Padrino (parte seconda) e America oggi? E potrei andare avanti per pagine. Fai conto che io sia come un bravo musulmano, che ha tante mogli e le ama tutte, ognuna per quel che è. Io ho harem di film, libri, musica.
[LTN]: Se potessi riesumare il cadavere o di uno scrittore, o di un regista, o di un filosofo, e fosse miracolosamente possibile sentirlo parlare, chi riesumeresti e perchè?
[LDF]: Shakespeare. Non ho dubbi. Perché? Be’, perché è Shakespeare.
[LTN]: Una volta hai detto: ”Gli esseri umani non sono né avanti né indietro agli altri. L'uomo è solo, è questa la nostra malattia, è questa l'eredità della cacciata dal Paradiso Terrestre. Per questo abbiamo inventato le gare, sia il vincitore sia lo sconfitto non mirano a essere avanti o indietro, non veramente, ma insieme mentre fingono di essere contro. È il teatro della solitudine”. Puoi farti un auto-commento?
[LDF]: Volevo fare la persona intelligente?
[LTN]: Qualcuno ha detto “Preferisco avere torto in compagnia piuttosto che avere ragione da solo”. Sei d’accordo?
[LDF]: Neanche per sogno. Mi viene in mente solo il verso di un animale che iconograficamente non è il massimo: beeee. Ma per chi mi hai preso? Faccio davvero questa cattiva impressione? A me piace fare versi miei. Comunque non credo all’aver ragione, come non credo nella verità. Credo nelle idee, questo sì. E quindi che siano almeno espressione della propria autonomia.
[LTN]: Un uccellino (malefico e spione) mi ha anche detto che stai lavorando ad un nuovo romanzo: qualche anteprima?
[LDF]: Non è un noir. Non è un thriller. Mentirei se dicessi che è una storia assolutamente solare (ma c’è abbastanza sole da rischiarare il buio). Quando ne ho parlato a Mondadori ero certo che mi avrebbero condannato all’ergastolo, incatenandomi al genere. Invece – con mia grande sorpresa, lo confesso – mi hanno detto: «Scrivi». Poi Antonio Riccardi ha letto le prime 150 pagine, è venuto a casa mia e mi ha detto: «Continua». Li ho registrati, naturalmente (nel caso cambiassero idea). Sentivo il bisogno di proseguire con le mie tematiche ma senza il vincolo dell’assassino e del buono che lo va a prendere per le orecchie. Avevo bisogno di mescolare ancora di più il Bene e il Male in un unico calderone, senza perimetri obbligati. Di che tratta? Siamo in America, negli anni ’20, tra New York e Los Angeles (il ghetto del Lower East Side, Broadway, la radio e il cinema). E, come per La Scala di Dioniso, il passato mi serve a parlare con un certo distacco del presente. Uso l’America perché simboleggia meglio di ogni altra nazione il nostro mondo. Un mondo mutirazziale in cui nessuno dei personaggi (sono emigranti, ebrei dell’Est e dell’Ovest, cinesi, neri, ricchi e poveri, buoni e cattivi, coraggiosi e vigliacchi) riesce mai a essere americano. Proprio come noi, che non riusciamo a diventare cittadini del mondo, che non diventiamo un unico fiume maestoso e collaborativo ma restiamo dispersi in tanti rivoli, che parliamo senza mai comprenderci e finiamo per urlare al vento come nella biblica Babele. Ed è la storia di un grande sogno (anche mio personale): la fantasia che vince sulla realtà.
[LTN]: Grazie, Luca.
[LDF]: Grazie a te.
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