Fabrizio Vercelli intervista Graziano Versace

Libri > Interviste > Quattro chiacchiere con l'autore di Raimondo Mirabile, Futurista… per non parlare del maggiordomo, primo classificato al premio iNarratori 2008

Fabrizio Vercelli intervista Graziano Versace [La Tela Nera]: Ciao Graziano, è un piacere averti qui. Innanzitutto complimenti per la vittoria nella sezione Fantascienza de iNarratori. La concorrenza era agguerrita, ma Raimondo Mirabile, Futurista… per non parlare del maggiordomo l’ha meritatamente superata.
Cominciamo con una domanda di rito: chi è Graziano Versace e qual è stato il percorso che lo ha portato qui?

[Graziano Versace]: Sono nato in Australia e attualmente vivo a Sant’Agata di Militello (ME) insieme a mia moglie Ketty e a mio figlio Davide. Sono un insegnante di Italiano e Latino, con un passato da psicoterapeuta, lavoro che ho svolto occupandomi di Bioenergetica reichiana e loweniana, e di altre terapie umanistiche. All’epoca (parlo ormai di quasi vent’anni fa), ero molto interessato anche agli studi di Carl Gustav Jung e dei neo-junghiani in genere, e l’aspetto che più ho privilegiato nel tempo è stato quello del sogno, o meglio della dimensione onirica, uno degli argomenti che da sempre mi ha più colpito e affascinato; oserei dire stregato. Credo che un po’ si evinca dal romanzo, soprattutto attraverso il personaggio di Fredreric Da Crone, padre di Raimondo.
Per quanto riguarda il percorso che mi ha portato fino a qui, credo sia stato il profondo amore e rispetto che nutro per la fantascienza, sia come genere letterario che come possibilità narrative. Sono stato due volte finalista al premio Urania. Sono cresciuto leggendo e rileggendo Bester, Pangborn, Silverberg, Sheckley, Clement, Matheson, Asimov, Stuart, tutti autori, anzi dovrei dire maestri, che mi accompagnano ancora oggi. Per cui, non potevo non provare a dare il mio personale contributo al genere fantascientifico. Credimi se ti dico che per me è un grande onore poter entrare a far parte della schiera degli “autori italiani di fantascienza”.

[LTN]: Il tuo romanzo ha una peculiare ambientazione di inizio Novecento che, pur senza sfociare nello steampunk, ha un lieve sapore discronico. Proprio quest’anno cade il centenario della pubblicazione del Manifesto del Futurismo di F.T. Marinetti. Oltre a questo, da dove nasce l’idea della collocazione temporale?
[GV]: L’idea di Marinetti era troppo succosa per non essere trasformata in sostanza. Marinetti, e il periodo futurista in genere, calzavano alla perfezione al tipo di storia che avevo in mente. Basti pensare al concetto di Volontà, già espresso nel romanzo Mafarka il futurista, all’uomo moltiplicato evoluzione naturale dell’uomo di inizio XX secolo, ma anche alla guerra che veniva quasi osannata come guaritrice di ogni male. Tutti elementi che concorrevano a determinare il romanzo in un gioco d’incastri che mi sembrava funzionasse a meraviglia. Per cui, mi è bastato fare due più due per dare una giusta collocazione temporale agli elementi che avevo a disposizione. Anzi, è stata questa la molla che ha fatto saltare fuori tutto il resto. Si è trattato, quindi, di una serie di coincidenze che poi si sono messe a posto da sole.

[LTN]: Oltre ai personaggi, tutti splendidamente tracciati, ho apprezzato molto la vivida descrizione che fai della Milano dei primi decenni del secolo scorso, aiutando il lettore a calarsi con facilità nella tua ambientazione. Quanto ti sei documentato per raggiungere questo obiettivo?
[GV]: Moltissimo. Ho speso una fortuna (si fa per dire) in opuscoli e guide del periodo, anche alcune introvabili del Touring Club che risalgono per l’appunto agli anni che vanno dal 1910 al 1912. Ma più che altro è stato difficile informarsi sulla sottile vena occultistica ed esoterica sotterranea che serpeggiava in quegli anni in Italia e in Europa, ma per fortuna, anche in questo caso, esistono studi sull’argomento, uno per tutti il bellissimo saggio Futurismo esoterico di Simona Cigliana. Ma mi hanno aiutato anche i romanzi futuristi in genere, le poesie disarticolate ma allo stesso tempo così spumeggianti, e soprattutto la filosofia estrema di questo gruppo di letterati e artisti che, spinti da motivi spirituali a volte anche irrazionali, avevano in mente di cambiare in meglio il nostro mondo, anche se a scapito dell’uomo comune.

[LTN]: Ho accennato prima ai personaggi, ma vorrei soffermarmi sui due protagonisti: Raimondo e il maggiordomo, che è anche il narratore. Entrambi sono caratterizzati con precisione, anche se con pochi tocchi, al punto che sembra di averli sempre conosciuti. Ti sei ispirato a qualcosa o a qualcuno in particolare?
[GV]: Cominciamo con Gregorio Valli, maggiordomo e voce narrante. L’idea del libro è partita proprio da lui e da un’altra circostanza di cui dirò dopo. Ho sempre amato la figura del maggiordomo sia nel cinema e nella televisione che nei fumetti e nella letteratura. Fatte le dovute differenze, forse sono debitore a Jules Verne per il suo Passepartout. Ma non posso dimenticare altre caratterizzazioni del personaggio, come Edwin Jarvis, Jeeves, Alfred Pennyworth, French, lo stesso Stevens di Quel che resta del giorno. Ma, tutto sommato, Gregorio Valli è Gregorio Valli, sperando, con questa mia quasi esclamazione, di non peccare di presunzione. Mi sono trovato molto a mio agio con questo personaggio, tanto che da subito l’intenzione era di ricavarne una trilogia.
Per quanto riguarda Raimondo Mirabile, il discorso si fa più complesso. Sarei tentato di risponderti con un secco “Non lo so”. Raimondo è un po’ una summa di tanti personaggi. Forse, in sintesi, è un po’ Phileas Fogg e un po’ Doctor Who. O forse è solo un uomo figlio del suo tempo, un po’ dandy, un po’ letterato, un po’ scienziato, spinto dalla voglia di conoscere il mondo e i suoi misteri. Quello che forse avrei voluto essere io, se avessi potuto vivere una vita “letteraria”, mitica, in un mondo magari vagamente ucronico. Si sa, molti personaggi generalmente rispecchiano le attitudini dei loro creatori, o ne costituiscono un modello ideale. O forse sono solo il risultato di determinanti inconsce difficili da definire e soprattutto da individuare. Chi può dirlo?

[LTN]: Nel romanzo rielabori alcuni temi della fantascienza classica, dall’invasione aliena ai poteri psichici, integrandoli con un sottile humour nel contesto delle fascinazioni paranormali e occultistiche dell’epoca. Quali diresti sono state le tue fonti di ispirazione – esplicite e implicite – per la genesi del romanzo?
[GV]: Tutto l’apparato classico della fantascienza, lo steampunk in genere, James Blaylock in testa, ma anche il Docteur Mystere scritto da Castelli, i fumetti di Rex Mundi, in parte quelli de La lega degli uomini straordinari, certi echi verniani, e altri ancora dal sapore vagamente orrorifico, scrittori come Machen, Hoffmann, Stoker e M.R. James. Ricordo che l’idea, comunque, partì dalla lettura de Il diario segreto di Phileas Fogg di P. J. Farmer, dove si scopriva che Phileas Fogg era in realtà un agente segreto in lotta contro nemici cosmici che ambivano a invadere la Terra. Inoltre, devo citare almeno i saggi sul tema della volontà di R. G. Assagioli, C. G. Jung, F. T. Marinetti, la mitologia indiana e l’occultismo in genere.

[LTN]: Da vincitore del concorso, c’è qualche consiglio che ti sentiresti di dare a coloro che vogliono partecipare all’edizione 2009 de iNarratori, che, ricordo, quest’anno prevede le sezioni Thriller e Avventura?
[GV]: Se può servire, perché no?
L’Italia è una terra ricca di storia e di fascino. Molte idee possono venire da questo. Io stesso ho utilizzato l’epoca futurista per portare a termine la mia storia. Leggere la Storia per trarne “profitti letterari” è sempre proficuo. Ma tutto ciò implica una fase di studio e di documentazione non indifferente. Io ho trascorso più di un anno e mezzo a fare ricerche, a leggere e a prendere appunti, prima di dare inizio ai lavori. E’ stato faticoso, molto più che scrivere il libro, ma alla fine è stato gratificante, a prescindere dal fatto che io abbia vinto il concorso. La ricerca ti disciplina e crea, anche inconsciamente, connessioni che prima o poi ti ritroverai lungo il cammino. Inoltre, mi piace dare un tocco e un sapore europei a quello che scrivo. A volte, noi italiani, nel bene e nel male, finiamo per essere provinciali. Credo che allargare gli orizzonti possa sempre servire, specie quando si parla di libri.
Poi, stare molto sulla pagina, avere pazienza, alzarsi dalla sedia solo quando ci si ritiene davvero soddisfatti. Rileggere quello che si è scritto il giorno prima, fare il punto della situazione, ma anche prendersi dei giorni di pausa e di riflessione, per far riposare la mente e il libro stesso. A mente fresca, tutto diventa più facile, e le pagine scorrono a meraviglia. Non stancarsi mai di “lavorare sul testo” e non pensare mai di avere davanti la versione definitiva del libro. In questo senso, c’è sempre molto da imparare dal proprio editor, figura che considero oltremodo importante per chi scrive e sicuramente funzionale alla stesura definitiva di un’opera. E soprattutto, leggere. Forse in assoluto la prima regola, quella fondamentale. Leggere per confrontarsi, per imparare, per sapere, per riconoscere sempre più i meccanismi della scrittura. E, a questo proposito, tenere sempre una grammatica italiana sul comodino. La Bibbia che ogni scrittore dovrebbe avere sempre al suo fianco. Per me, è una miniera di informazioni, e ha una funzione strutturale per la mente praticamente unica. Se si hanno queste basi, è più facile lasciarsi andare alla storia che si vuole scrivere. Individuato il genere letterario di preferenza, thriller, fantascienza, horror o avventura che sia, si è pronti per partire. E, naturalmente, crederci. Non si arriva da nessuna parte se non si ha fede in quello che si sta facendo.


Fabrizio Vercelli intervista Graziano Versace
Intervista realizzata da: Fabrizio Vercelli
Pubblicata il 19/05/2009

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