Al diavolo Halloween!

Un racconto sulla festa di Halloween scritto da Francesco Donato

L’aveva notata all’ingresso della facoltà, mentre con una mano reggeva stretti al petto gli enciclopedici appunti di Simona, intenta ad accendere l’ennesima sigaretta, e con l’altra tastava il ciuffettino di barba, appena sotto l’orecchio destro, dimenticato per la troppa fretta.
Poi tutto era venuto da sé: scambio di sguardi, lei che si trattiene disinvolta più del dovuto davanti al calendario d’esami, sorrisini, ma si dammi una sigaretta anche a me che ancora è presto, ma non avevi smesso di fumare, la conosci quella ragazza che frequenta il tuo corso, si certo è la cugina del mio ex, occhiate eloquenti prima di entrare in aula.
Al resto ci aveva pensato Simona, anche se, Roberta, così si chiamava, aveva manifestato profonda complicità:
Che fai ad Halloween, caffè e sigaretta, stiamo organizzando all’Arcadia ti do gli inviti porta gente, io non ci sarò magari lo dico al mio amico di stamattina, carino l’amico tuo, ma non lo vedo spesso, dai lo chiamo io più siamo meglio è, e compagnia bella.
Ecco il numero. Ed il gioco è fatto.
Era andata, era solo da amministrare bene la situazione adesso.
Novantesimo minuto sopra di due gol.


- Quando le ho detto che non avevi un cellulare, e che ti avrebbe dovuto chiamare su un numero fisso per darti gli inviti si è messa a ridere, ed avrà sicuramente pensato che sei l’unico idiota che nel 2004 ancora non ha un cavolo di cellulare. Ma tranquillo, non le ho detto che scrivi battendo a macchina perché odi il computer e che ascolti la musica tassativamente su nastro e su vinile. Quanto sei strano lascio che sia lei a scoprirlo, anche se comunque Roberta è una che non va tanto per il sottile. –


Il dito che affonda sul tasto, l’asta che batte sulla carta imprimendo la lettera sul foglio, il rumore metallico della leva per andare a capo…
Scrivere al computer non avrebbe potuto mai e poi mai donargli queste sublimi sensazioni, e Luca non avrebbe mai e poi mai rinunciato a questo piacere viscerale. Come d’altronde, quando con meticolosa precisione appoggia la punta del giradischi tra i solchi del vinile, e ogni tanto dalle casse arriva uno leggero scricchiolio, perchè magari il disco non è più nuovo come una volta.
Rolling Stones, You gotta move, stasera ci sta tutta, questo credo debba aver pensato Luca, abbassando leggermente il volume e piazzandosi davanti alla macchina da scrivere.
Tanto il telefono era lì, ben in vista sul mobiletto frontale, doveva solo squillare, lui avrebbe alzato la cornetta e domani festa di Halloween con la tipa. Non si sentiva tagliato per queste cose a dire il vero, ma si sa, le persone che ci colpiscono veramente sono quelle che ci fanno fare le cose più assurde. Poi Halloween tutto sommato non è mica andare al Carnevale di Venezia con mascherine e coriandoli, o vestirsi da Babbo Natale il 25 Dicembre. Di certo non ci sarebbe andato in giacca e cravatta, ma una telefonata a Simona e tutto sarebbe andato liscio. Lei avrebbe risolto come sempre i suoi problemi.
Certo, l’unico problema al momento era il telefono, che non ne voleva sapere di squillare. E squilla dai…Ma si, meglio mettersi a scrivere un pò, che quando c’è l’adrenalina dentro, vengono fuori le cose migliori.
Che poi questa Roberta era proprio bella. Poi se ci aggiungiamo il profilo da divoratrice di uomini emerso dai discorsi di Simona, ce n’era abbastanza per esaltarsi. Alta quando basta, viso acqua e sapone, occhiali da donna in carriera, formosa quando basta, e anche qualcosa in più. A dirla proprio tutta, se proprio era il caso, valeva anche un travestimento da Uomo Lupo o da Conte Dracula. Dai forse anche da Power Ranger…
Ecco il telefono che squilla, un colpetto di tosse con la mano pronta ad alzare la cornetta, e via.
- Pronto? –
- Pronto? –
Una voce maschile. Oddio, chi è questo ora, pensò Luca. E poi “pronto” lo dico io casomai…
- Come pronto? Scusi chi è lei? –
- Chi sono io? Lei chiama ed io dovrei dirle chi sono? Lei dovrebbe dirmi chi è giovanotto! Funziona così, sa? –
- No guardi, io ho sentito squillare il telefono, ho alzato la cornetta e ho detto “pronto”, credo che funzioni bene anche così…-
- Ah, lei mi sta prendendo per pazzo quindi? –
- No, no non mi permetterei…-
- E invece è questo che lascia intendere, sa? –
- Guardi, mettiamola così, ci sarà stata un’interferenza, abbassiamo la cornetta, e chiudiamola qui…-
- Ma ce n’è gente pazza in questo mondo, sa? –
Luca non fece in tempo a dire niente, il tizio aveva chiuso rapidamente la chiamata. Restò un paio di secondi pensieroso con la cornetta all’altezza dell’orecchio dalla quale ora gli giungeva solo il ritmato “tu..tu..tu..tu”. Abbassò e si rimise a sedere davanti alla macchina.
Primo colpo di tasto, seconda telefonata.
Stavolta era lei dai…
- Pronto? –
- Pronto? –
- Oddio…-
- Giovanotto non è per niente divertente, sa? –
- Guardi, le assicuro che il mio telefono ha squillato, io ho alzato la cornetta e mi sono ritrovato di nuovo lei…ma non è che sbaglia a comporre il numero? –
- Comporre il numero? ma guardi che io non compongo un bel niente, sa? E’ lei che mi chiama, io mi limito solo a rispondere, sa? Ma questo gioco non è più divertente, mi vuole dire cosa vuole da me? –
Luca sbuffò, appoggiò la cornetta per un paio di secondi sulla spalla e si passò una mano sulla fronte. Poi riprese con tono pacato.
- Senta signore, lei dice di non aver chiamato, io le assicuro che ho fatto altrettanto…beh, c’è qualcosa che non va evidentemente...le ripeto, magari un’interferenza…com’è il suo numero scusi? -
- Giovanotto non credo alle sue fantasticherie, sa? Lei non prende in giro nessuno! E poi il mio numero lo sa benissimo visto che continua ad importunarmi! –
- Senta… per favore…aspetto una telefonata importante, lasciamo perdere. Stia tranquillo, domani chiamo i tecnici della Telecom e faccio dare un’occhiata…più di questo non so davvero cosa dirle…-
Il tipo riattaccò prima che Luca potesse finire. E lui fece di conseguenza.
Rimase stordito a fissare l’apparecchio. Alzò la cornetta e la riportò all’orecchio. Tutto regolare. Almeno dava questa impressione. Doveva sincerarsene però.
La rialzò e compose velocemente un numero. Dava libero. Oddio e se risponde quel tipo…
- Pizzeria Galaxy Express, buonasera –
Luca tirò un sospiro di sollievo.
- Ciao sono Luca, scusa cercavo Simona, ci sta? –
- No guarda, Simona oggi riposa, mi dispiace…-
- Va bene fa niente, ciao scusa –
Lo sapeva che Simona il Giovedì riposava, ma doveva pur provare il telefono.
Si tranquillizzò un pò e si diresse verso il frigo in cucina per un sorso d’acqua.
Prese la bottiglia, ma prima che potesse avvicinarci il muso la ripose nell’apposito scomparto del frigo. Il telefono squillava.
Dai prima aveva funzionato.
- …Pronto?....-
- Pronto un bel niente giovanotto, chiamo i carabinieri, sa? Ma chi crede di prendere in giro? Mi dica il suo nome che sporgo subito denuncia, sa? –
- Stefani Luca, Via Legnano, 12. Mi denunci pure. – disse risoluto, per nulla intimorito.
- Signor Stefani Luca, le faccio passare abbastanza guai se questa storia continua, sa? –
- Senta…le torno a ripetere…sto aspettando una telefonata abbastanza importante…se proprio pensa che sia io a chiamarla metta il telefono fuori posto e vada a letto, oppure mi denunci…faccia un po’ come crede. –
- Mettere il telefono fuori posto io! Ma lei…-
Luca riattaccò.
Scosse la testa, pensando che fosse davvero bizzarro quello che stava succedendo, ma l’indomani avrebbe chiamato davvero la Telecom, e più sarebbero stati i soldi che gli avrebbero scucito, più sarebbe risultata razionale la soluzione.
La gola gli bruciava, prima aveva alzato un po’ il tono, e per giunta non era riuscito ancora a placare la sete. Pensò alla sigaretta della mattina, che forse aveva accentuato il mal di gola che lo perseguitava da un paio di settimane, e come al solito, conciliò con la sua coscienza che sarebbe stata davvero l’ultima stavolta.
Aprì il frigo, e senza abbassarsi fece per tirare su la bottiglia dell’acqua dallo scomparto. Poi ci ripensò, si calò a verificarne il contenuto, e con enorme soddisfazione notò che un brick da 200ml di succo alla pesca era ancora in fondo, ben mimetizzato. Mentre allungò la mano per tirarlo via, squillò inesorabilmente il telefono. Colto di sorpresa, battè la testa, il pezzo di grana vicino al brick cadde sul recipiente celofanato della passata, il recipiente di vetro cadde sulle bottiglie del latte, rigorosamente anch’esse di vetro, e le bottiglie di vetro, unite a tutto il resto, si infransero per terra. C’era talmente tanto di quel vetro sparso che per un attimo pensò di essere passibile di denuncia da parte di quelli della raccolta differenziata.
Con la mano sulla testa a saggiare il bozzo che si era procurato, si voltò verso il telefono che continuava a squillare. Con una breve rincorsa, degna del miglior Roberto Carlos, diede per rabbia un calcio ad un collo di bottiglia rotto con l’etichetta del latte ancora attaccata per metà, facendolo finire sotto il divanetto, e si precipitò di corsa nell’altra stanza.
Si fermò davanti al telefono. Si passò l’intero braccio sulla fronte ad asciugare il sudore, e si morse il labbro inferiore, mentre faceva scivolare lentamente la mano sulla cornetta, con la stessa prudenza di chi deve disinnescare un ordigno. Ma si, alziamola.
- Pronto! – Deciso.
- Pronto? –
- Eh… Pronto…buonasera, scusi l’orario innanzi tutto…cercavo Luca…Luca Stefani…è in casa? Sono Roberta…-
- Sono il padre signorina Roberta, mi dispiace Luca non è in casa, sa? -

Luca resto con la cornetta incollata all’orecchio a bocca aperta, chiudendola ogni tanto per pronunciare invano la parola clou della serata. Pronto.
Non che le telefonate di prima non sconfinassero nell’irrazionale, ma questa andava ben oltre. Ascoltava un’assolutamente improbabile telefonata tra il signore di prima e Roberta. Senza poter intervenire per giunta. Ma che storia è mai questa pensò…
- Gli può dire di richiamarmi? Sempre che non torni eccessivamente tardi s’intende…in alternativa di passare in facoltà domattina…così gli consegno i biglietti per la festa di domani sera all’Arcadia…-
- Roberta, mi dispiace tanto, sa? Luca sta via tutta la settimana
( Luca, in devoto ascolto, diede un pugno al muro facendo cadere il quadretto di nonna Adele, posto sapientemente da sua madre sopra il telefono. Mandandolo in frantumi naturalmente…) Sa com’è, è andato a trovare la ragazza in Sicilia, si dovrebbero sposare presto se tutto va bene…-
Luca si mise quasi a piangere, mentre continuava a disperdere vetro per tutto il pavimento, fin dove si poteva spingere la furia dei suoi calci.
- Ma lei davvero è il padre? Ha una voce così giovanile…-
- Beh Roberta, sa… da quando la madre di Luca è scappata con un africano, ho cercato di mantenere una linea giovane sia nello stile di vita che nell’aspetto –
- Ma si, ha fatto benissimo! E poi scommetto che è anche un gran bell’uomo! -

Roberta liberò una risatina, tanto maliziosa che fece ribollire di rabbia il sangue nelle vene di Luca.
- Ma perché non ci viene lei all’Arcadia domani sera? Mi farebbe così tanto piacere conoscerla …-
tu.. tu..tu..tu...tu..tu..
La linea era caduta di colpo. Proprio sul più bello. Sul più bello si fa per dire.
Luca abbassò e rialzò la cornetta, ma niente, dava libero come d'altronde doveva essere.
Il cellulare di Simona era irraggiungibile, e per giunta doveva dare una generica sistemata al casino che aveva combinato.


- Ho capito quale Roberta dici, ma stamattina mi sa che non è venuta a lezione –
La ragazza cicciottella e saputella, guardò Luca sistemandosi gli occhiali sul naso, con un’aria di velata commiserazione, come per dire, ma che ci perdi tempo a fare dietro a quella.
Non era andata a lezione. E doveva essere davvero così se lo diceva la ragazza cicciotella e saputella che Luca incrociava a qualsiasi ora, in qualsiasi aula, a qualsiasi lezione, a qualsiasi esame. Come facesse ad essere ovunque se l’era sempre chiesto. Un mistero tanto celato che a confronto il Triangolo delle Bermuda gli appariva come un rebus della Settimana Enigmistica.


- Si signora, va bene quella…quanto le devo? –
Dai, la maschera di Michael Myers era adattissima. 20 euro spesi bene. E non solo perché cadeva a pennello, in pieno clima Halloween, ma soprattutto perché così sarebbe potuto rimanere in jeans, senza ricorrere a travestimenti molto vistosi. Poi Simona lavorava, e non contare sul suo aiuto, che si sarebbe sicuramente rivelato provvidenziale come sempre, era già un bel grattacapo.


L’Arcadia era uno di quei tipici locali di periferia, che si modificava camaleonticamente ad ogni cambio di tendenza. Era stata una balera sul finire degli anni 70, una discoteca negli anni 80, poi cadde un po’ in declino, chiuse, riaprì, fu coinvolta nel giro delle estorsioni e data più volte alle fiamme, ma alla fine era sempre lì. E a nulla serviva che le varie gestioni che si susseguivano negli anni, le cambiassero il nome per apportare una ventata di novità, l’Arcadia era sempre l’Arcadia.
Tutte le vicessitudini alle quali era andata incontro nel corso degli anni, le conferivano, suo malgrado, un aspetto solenne, che nemmeno la nuova abbagliante insegna e le pennellate rosa pallido sulle pareti dell’entrata riuscivano a scalfire. Adesso era quasi a tempo pieno “sacrificata” alle attività dell’ateneo: corsi, stage, dibattiti, cine-forum, ma non mancava mai di dar alloggio alle attività più mondane, come la festa di quella sera.
- Ciao, senti, ho dimenticato l’invito, ma dentro ci deve essere Roberta, una mia amica, credo che sia tra gli organizzatori…-
- Roberta? Ma certo! Tutti siamo amici di Roberta, e se non lo siamo lo saremo presto…-
Il tipo sulla porta era una perfetta riproduzione di Gomes della famiglia Addams, con tanto di sigaro acceso che non levava dalla bocca nemmeno per parlare, cosa che a dire il vero gli conferiva un’aria più da gangster stile “C’era una volta in America” che da mostro.
- Dai tranquillo, entra pure che stasera non lo facciamo mica il pienone mi sa…-
L’ingresso era in penombra, illuminato solo da due grosse zucche poste in cima alle scale.
Luca cominciò a scenderle lentamente, un piede per volta, aggrappato al passamano, messo in difficoltà più dalla maschera, che limitava notevolmente il suo raggio visivo, che dalla penombra.
Già la musica arrivava forte alle sue orecchie, nonostante fosse a metà scalinata e l’impatto, quando mise piede nell’immensa sala, fu abbastanza fastidioso per i suoi timpani.
Anche qui era l’effetto penombra a far da padrone,dal momento che le uniche luci che giungevano nitide erano quelle del bancone del bar, ed in lontananza quelle degli strobo.
Si girò un po’ intorno alla ricerca di Roberta, ma si vergognava da matti a dover squadrare meticolosamente le ragazze mascherate, dal momento che sia l’oscurità, sia i più bizzarri travestimenti, rendevano assolutamente difficile risalire a qualsiasi viso umano.
Decise quindi di far una breve sosta al bar, che tra l’altro, essendo una delle zone più illuminate, gli consentiva di godere di una prospettiva migliore. Si fece largo tra mummie, zombie e vampiri e conquistò uno sgabello di fronte all’immenso bancone, ordinò un Southern Comfort liscio e si levò la maschera per bere.
- Ehi ciao! Che ci fai qui anche tu? –
Luca si voltò riconoscendo la voce ma non riuscendo ad abbinarle immediatamente un volto.
La ragazza cicciottella e saputella? E che ci fa qui…
- Ehi ciao…-
Ma che bisogno c’era di travestirsi da darkettona? Avrebbe fatto un gran figurone anche al naturale…
- Non pensavo fossi un tipo da feste del genere…-
Tu invece si? Ed io che credevo vivessi in un monolocale sull’attico della facoltà…
- Beh, a dire il vero mi ci hanno invitato…-
- Ah, ho capito tutto…ti ha invitato Roberta. La ragazza che cercavi oggi…-
Ah, allora sei intelligente sul serio…ma quello sguardo pietoso che mi rappresenta?
- Beh…si…-
- Comunque se ancora non l’hai vista, sta di là a ballare… Ma non credo possa riconoscerti per come sta combinata…ciao tesoro, ci si vede in facoltà…-

Luca mandò giù il Southern di getto, chiudendo d’istinto gli occhi e storcendo il muso in una smorfia tanto caratteristica da poterci mettere il copyright sopra. Poi da rituale, si passava entrambe le mani sul volto, ed i suoi pensieri, chissà perché, andavano sempre a pescare nei cunicoli della memoria, l’immagine di nonna Adele che gli infilava, senza fronzoli, il cucchiaio con la medicina amara in bocca, mentre lui era seduto sul lettone.
Tornò ad essere Michael Myers, e si diresse verso la pista dimenticando per un istante quanto potesse rivelarsi una sofferenza per lui, che già in un autobus entrava in panico claustrofibico, dover condividere con così tanta gente quei pochi angusti metri quadrati. Quasi al buio per giunta.
Eccola lì Roberta.
Una strega che si dimena su di un cubo come in un folle sabba, posseduta dall’intercedere ossessivo del ritmo della musica.
Non c’è tantissima gente a dire il vero, ma quella poca che si concede gli onori della disagevole pista centrale, lo fa con la consapevolezza, di chi sa di poter essere scambiata di li a poco per un ammasso di sardine. Luca si divincola tra cumuli di braccia sudate, gambe impazzite, seni straripanti, cercando di aprirsi un varco, spingendo quando lo si rende necessario, con la testa su per aria per non perdere di vista il “sentiero”. Si gira a chiedere scusa al mastodontico Frankenstein al quale ha pestato il piede, Roberta non è più sul cubo.
Si sente smarrito, come se dovesse soccombere da un istante all’altro all’ammasso di corpi che lo inghiottisce nella semioscurità.
Il respiro si fa affannoso. L’aria diventa pesante. Marcia. A tratti putrida.
Avverte qualcosa di non comune, per un istante, solo per un istante, breve quanto il passaggio del raggio di luce degli strobo che per un attimo sfreccia davanti ai suoi occhi. Poi lo assale una sensazione a pelle, una di quelle che ti dicono che è meglio se te la squagli, ed anche in fretta. Sgomita per sottrarsi alla folla, ma non riesce a sottrarsi alle sue sensazioni.
Il raggio di luce si riaffaccia dalle sue parti, giusto in tempo per capire che lo zombie che gli sta di lato ha un’aria troppo da zombie per non essere uno zombie. E che il morso che lo raggiunge sul collo, facendolo contorcere dolorosamente è vero, vero come il sangue che comincia lentamente a sgorgare. Troppo da vampiro per non essere un vampiro.
Luca si ritaglia a stento uno spazio al di fuori dell’inumano ammucchiamento informe che ristagna nella pista da ballo, si aggrappa ad uno sgabello, che barcolla al suo peso. Vorrebbe aggrapparsi alla vita invece, ma sente che ormai è andata.
Il quarto uomo ha alzato il cartello con il tempo di recupero sul due a zero per gli altri stavolta.
Non ce la può fare.
- Giovanotto, si sente bene? Secondo me a bisogno di uno dottore, sa? –
Luca cade a terra. Un pozzetto di sangue si forma sul pavimento intorno al suo viso.
L’uomo vestito bizzarramente, gli dà le spalle e si allontana avvinghiato alla streghetta Roberta.
Luca con l’occhio semiaperto riesce a scorgerne solo la coda da diavolo.
Troppo da diavolo per non essere il diavolo.


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