Libri > Notizie > Fabrizio Vercelli ha posto la sua fatidica domanda a Gigi Musolino, il traduttore de I vermi conquistatori
Fabrizio Vercelli ha intervistato per LaTelaNera.com Gigi Musolino (nella foto a lato insieme alla scrittrice Barbara Baraldi) su argomenti legati a Brian Keene e alla narrativa dell'Apocalisse.
[La Tela Nera]: Considerando il carattere principalmente horror, ma soprattutto apocalittico de I vermi conquistatori il libro di Brian Keene pubblicato a gennaio 2011 per la prima volta in Italia - quali ritieni siano le motivazioni che portano il pubblico e gli stessi autori, ultimamente, ad avvicinarsi così tanto a opere di questo taglio, non solo di narrativa e cinematografia, ma anche inchieste e documentari? Concordi ci sia una maggiore attenzione, e una maggiore profondità, per questi temi? Se sì: pensi che gli autori horror e di fantascienza stiano in qualche modo - com'è proprio di questi generi - cogliendo segnali d'allarme reali, oppure si tratta semplicemente di una tendenza del momento?
[Gigi Musolino]: Sì, non posso che essere d’accordo con questa chiave di lettura. Le tematiche apocalittiche hanno sempre fatto presa su scrittori e lettori, al di là dei generi. Perché l’orrore dell’Abisso Ultimo, dell’annichilimento della razza umana, affonda le sue radici nella notte dei tempi.
Ogni cultura ha due punti fermi: la Creazione e la Fine.
È impossibile non esserne affascinati, sono argomenti che ci portiamo dentro a livello inconscio, che toccano corde profonde dell’animo umano. Retaggio di un’epoca in cui i nostri antenati scagliavano frecce infuocate verso il sole durante le eclissi totali, per evitare che si spegnesse, precipitando la Terra nell’oscurità e nel Caos.
L’avvento del nuovo millennio, il famigerato Y2K, ha dimostrato che il timore dell’estinzione definitiva fa ancora il suo porco lavoro. Ovunque si sono registrate scene d’isterismo da Medioevo, da Mille non più Mille.
Mille anni dopo, però.
I giornalisti ci hanno bombardato per mesi con notizie sul Millenium Bug e conseguente collasso dei sistemi informatici ed elettronici da cui ormai dipendono le nostre vite.
In diverse parti del mondo la gente si è costruita veri e propri bunker sotterranei per scampare alla distruzione. Qualcuno ha immagazzinato incredibili scorte di cibo, altri ancora hanno preferito farsi saltare le cervella o imbottirsi di barbiturici prima che scoccasse la mezzanotte del 2000. Specie quelli che si aspettavano un’invasione aliena.
Non è accaduto nulla, nulla di eclatante perlomeno, e abbiamo tirato tutti un bel sospiro di sollievo.
Ma il 9/11 era in agguato per ricordarci con brutalità che nessuno è al sicuro, mai, e che nuove, immense minacce sono sempre dietro l’angolo.
Ipotesi rafforzata dallo tsunami del 2004.
E se le catastrofi naturali sono inevitabili e imprevedibili, le forme di Apocalisse che più ci fanno più paura sono quelle messe in moto dai nostri stessi comportamenti.
Non è da escludersi che l’estinzione, quando arriverà – e arriverà –, non sarà altro che un riflesso dei nostri errori.
Credo che la recente proliferazione di romanzi sull’Apocalisse e il crescente interesse del pubblico verso il genere siano anche una conseguenza delle paure che ci hanno accolto nel ventunesimo secolo.
Terrorismo su scala planetaria.
Armi biochimiche.
Esperimenti con acceleratori di particelle.
H1N1
Aviaria.
Effetti della manipolazione genetica.
Quante volte i telegiornali ci propinano lo spettro della Fine, affrontando questi argomenti? Di continuo.
Gli scrittori horror, da sempre capaci di leggere i mutamenti della società e l’avvento di nuovi timori collettivi, si trovano a loro agio nell’ambientare romanzi e racconti in prossimità del punto di non ritorno.
E poi, cosa può esserci di più divertente per un autore di narrativa fantastica che cancellare la civiltà così come la conosciamo?
Brian Keene è uno dei moderni cantori dell’Apocalisse, probabilmente il migliore. Ma prima di lui troviamo decine di esempi, specie nella narrativa fantastica. Da Mary Shelley a Shiel, da Richard Matheson a King, da Dick a Danilo Arona, il fascino dello sterminio su scala planetaria non ha risparmiato quasi nessuno.
Affrontato di volta in volta con modalità diverse, credo che il genere sia così prolifico e duraturo proprio per l’alto coinvolgimento che riesce a suscitare nel lettore. Perché in fondo sappiamo che la Fine è inevitabile, e che potremmo trovarci da un giorno all’altro nel bel mezzo di un olocausto nucleare, di un’epidemia, di uno sconvolgimento climatico senza precedenti.
Come agiremmo, noi, di fronte alla catastrofe? E se fossimo tra i pochi sopravvissuti, come affronteremmo la lotta per la sopravvivenza in un mondo radicalmente mutato?
The Conqueror Worms, che ho avuto il piacere di tradurre, porta questo genere di narrativa a nuovi livelli. Il romanzo si apre con un Diluvio, simbolo per antonomasia dell’Apocalisse. Peccato che la pioggia incessante che ha ridotto il mondo a un’immensa piscina all’aperto sia l’ultimo dei problemi.
Cose che dormivano da millenni si stanno risvegliando, sorgendo dal sottosuolo e dagli oceani. E gli ultimi rappresentanti della razza umana dovranno fare i conti con sé stessi e col Mito, una battaglia in cui è in gioco molto di più che la semplice sopravvivenza.
Brian Keene ci presenta il peggiore degli scenari impossibili, una catastrofe naturale affiancata da una minaccia soprannaturale.
L’Uomo riuscirà a reggere il confronto con la Bestia?
E cosa sarà disposto a fare per rimandare l’estinzione?
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