Eisenberg, un estratto dal romanzo di Andreas Föhr

Libri > Notizie > Su LaTelaNera.com la prima tappa del blog tour dedicato da Fazi al romanzo Eisenberg di Andreas Föhr

Eisenberg, un estratto dal romanzo di Andreas Föhr Debutterà nelle librerie italiane il prossimo 29 giugno, per la collana DarkSide di Fazi Editore, Eisenberg, il romanzo scritto dal tedesco Andreas Föhr. Si tratta del primo volume di una serie che vede protagonista l'avvocato Rachel Eisenberg.

Föhr, che in passato ha lavorato come avvocato prima di dedicarsi alla scrittura di narrativa e sceneggiature per la televisione, ha vinto nel 2008 il Friedrich-Glauser-Preis (il premio più ambito dagli scrittori di gialli/thriller/crime di lingua tedesca) con il suo romanzo di debutto, Der Prinzessinnenmörder.

Per presentare ai lettori questa sua recente produzione, definita in Germania "un thriller giudiziario travolgente e pieno di colpi di scena", la casa editrice romana ha organizzato un blog tour coinvolgendo alcuni siti web dedicati alla narrativa "di genere", a cominciare da nostro LaTelaNera.com.

Si comincia oggi 26 giugno con l'incipit del volume, per poi passare a Peccati di Penna che presenterà domani i personaggi protagonisti del romanzo.

Il 28 giugno la Penna d'oro recensirà il romanzo, mentre il 30 giugno 50/50 Thriller rivelerà 5 motivi per cui vale la pena leggere questo libro.

Thriller Nord scriverà la parola fine a questo "tour promozionale" il 3 luglio, raccontandoci l'ambientazione dell'opera.

Ecco tutto il blog tour riassunto in una comoda grafica:
Le date del blog tour Fazi per il romanzo Eisenberg


Eisenberg: la trama

Una studentessa viene assassinata e mutilata in un parco di Monaco nell’aprile 2015. Tanto le indagini della polizia quanto il referto del medico legale sembrerebbero accusare un uomo di mezza età, senza fissa dimora, che Rachel Eisenberg – avvocato di grido e madre di una figlia adolescente – accetta di difendere nonostante l’iniziale riluttanza.

Ma quando si trova seduta davanti al suo cliente, Rachel resta allibita perché quell’uomo lo conosce bene: è il professor Heiko Gerlach, astro della fisica teorica con cui ha avuto una relazione diciotto anni prima.

Come è finito sulla strada? E soprattutto: è davvero uno psicopatico omicida?

Rachel si rifiuta di crederci e comincia a indagare per conto proprio, incalzata da una serie di domande tormentose: non c’era, già tanti anni prima, un’ombra inquietante nella personalità del suo partner?

Qual è il ruolo di Nicole, la giovane e affascinante senzatetto che per mesi ha accompagnato Heiko nei suoi spostamenti?

E chi è Max, che offre a Nicole aiuto e protezione proprio quando Heiko viene incarcerato?

Spostandosi in un’estate torrida tra Monaco e il lago di Garda in cerca delle risposte, presto Rachel si accorgerà che anche lei sta rischiando la vita.

Blog Tour Eisenberg


Eisenberg: un estratto

10 luglio 2015
Il referto dell’autopsia si atteneva ai fatti, senza addentrarsi in considerazioni. Ma le cose dovevano essere andate così, o in modo non troppo diverso: il primo colpo aveva raggiunto la vittima da dietro. La lama aveva attraversato un giubbino di piuma, un maglione di lana e una canottiera, poi era penetrata nella schiena della giovane donna a otto centimetri dalla colonna vertebrale. All’altezza dell’ultima vertebra toracica. Si era fatta strada tra la nona e la decima costola e aveva attraversato il lobo polmonare.
Difficile stabilire se in quell’istante la ragazza si fosse resa conto di quanto stava succedendo, ma presumibilmente si era girata e aveva visto negli occhi il suo assassino.
I quattro colpi seguenti erano arrivati da davanti e in rapida successione, per cui la donna era rimasta in piedi fino all’ultimo. La loro profondità indicava un esecutore robusto e un coltello straordinariamente affilato. Il filo della lama era rivolto verso l’alto, mentre venivano inferti i colpi. L’ultimo, quello mortale, era stato assestato dall’assassino sotto lo sterno. Al momento di estrarre il coltello aveva girato la lama verso destra e poi l’aveva spinta in alto, tagliando in due il cuore della giovane donna. Rachel aveva in testa quel referto mentre nell’afosa notte di luglio, paralizzata dalla paura, fissava un tavolino. Sopra c’erano un rossetto, due penne a sfera, dei fazzoletti di carta, delle caramelle alla menta, un telefonino, alcuni biglietti da visita (dott.ssa Rachel Eisenberg, avvocato penalista) e parecchie altre cose che si trovavano fino a poco prima nella sua borsetta. Spostò lo sguardo verso gli altri due oggetti che invece non erano là dentro: una Glock con silenziatore e un coltello dalla lama larga, di quelli usati dai soldati delle truppe d’élite. Prima che la notte giungesse al termine, con quel coltello qualcuno avrebbe trafitto Rachel finché non fosse più stata in grado di muoversi.
Poi – e a quel punto Rachel sperava di essere già morta – le avrebbe tagliato le mani.
Questo, in ogni caso, era accaduto alla giovane donna sottoposta ad autopsia, e lei aveva difeso l’uomo accusato dell’omicidio. Adesso Rachel sedeva in quella casa isolata, le mani e i piedi legati con del nastro rinforzato, e aspettava che il suo assassino varcasse la porta. Ascoltava i rumori. Nella stanza accanto sentiva due uomini che parlavano. Lo spessore della porta smorzava le loro voci, che suonavano tranquille e minacciose. Rachel respirò profondamente, fin giù nella pancia, per placare la paura che le serrava le viscere. Non voleva morire. Non così. Non senza avere tentato qualcosa…


21 aprile 2015
In piazza Sendlinger-Tor i platani gettavano il primo verde e la primavera era nell’aria quando il procuratore capo dott. Henrik Schwind girò sulla Nussbaumstraße. Erano le sette e un quarto e sentiva la valigetta in pelle di maiale pesargli appena nella mano. Mentre faceva colazione aveva trovato un sms mandatogli la notte prima dal sostituto procuratore in turno di guardia, che era stato chiamato nelle prime ore del mattino: un cadavere dalle parti del Flaucher. Vittima: una donna sui vent’anni. Presumibilmente un assassinio. Ignoto l’autore. L’sms non conteneva altre indicazioni, soltanto l’ora dell’autopsia: le sette e mezza. A rigore, la presenza di un procuratore capo non era necessaria, bastava che all’esame del cadavere assistesse un sostituto procuratore. Ma a Monaco non c’erano molti omicidi – quindici all’anno, ad avere fortuna. E per la maggior parte erano anche parecchio noiosi dal punto di vista criminologico. I colpevoli venivano rintracciati in fretta. La morta della notte precedente invece prometteva bene, poteva diventare interessante. Per casi come questo il procuratore capo aveva dato disposizioni affinché venisse informato immediatamente. Schwind sorrise soddisfatto al pensiero che i suoi sottoposti funzionavano bene, proseguì con allegre falcate e consultò l’orologio. Le sette e diciotto. Il professor Stang, direttore del reparto di medicina legale, non conosceva misericordia nel fissare gli appuntamenti. Le sette e mezza e non un secondo più tardi. Secondo Stang a quell’ora i sensi erano ben svegli, acuti. Oltre che dalla preoccupazione per la qualità del proprio lavoro, Stang era chiaramente mosso anche da quel certo anelito educativo che si può spesso osservare, in chi si alza presto, verso i propri simili più versati all’attività notturna.
«Allora? Arriviamo di nuovo all’ultimo momento?», venne salutato Schwind dal professore che insieme alla sua squadra si girava i pollici, presumibilmente, già da una ventina di minuti.
«A quanto pare c’è qualcuno che scalpita», pieno di buonumore Schwind tese la mano al professore e appoggiò la sua valigia vicino a un armadietto a rotelle, nel quale si trovavano gli strumenti. Poi salutò gli altri, tra cui Sabine Wittmann. Era la sostituta procuratrice competente per quel caso, e sembrava di malumore.
«Tutto a posto?», le domandò Schwind.
«Sinceramente preferirei che queste autopsie le facessimo alle otto e mezza. Devo portare la mia bambina all’asilo e non posso lasciarla alle sette, è troppo presto».
«Ma può portarla qui, insieme a lei», suggerì il professor Stang, che si girò poi verso il tavolo operatorio. «Allora, possiamo cominciare?».
Schwind cercò di rasserenare la sua collaboratrice con un gesto della mano. Il professor Stang aveva sessantasei anni, era testardo come tutti i vecchi e si considerava un dio. In questa vita le sue autopsie non si sarebbero tenute alle otto e mezza.
Il professore prese un portadocumenti a molla e con il dito inguantato – di blu – scorse la scheda per qualche riga mentre con la testa arretrava di qualche centimetro per leggere meglio attraverso le lenti bifocali:
«Consegna: 21 aprile, ore cinque e quarantotto. Il primo esame sul luogo del ritrovamento è stato svolto alle ore tre e cinquantacinque. La morta giaceva sulla pancia e ai fini del primo esame è stata voltata sulla schiena. L’ipostasi cadaverica, ben visibile, si è spostata sulla schiena dopo il trasporto del cadavere. Questo ci dice che cosa?», e senza distogliere lo sguardo dal portadocumenti Stang indicò una giovane dottoressa in camice.
«La morte si è verificata presumibilmente dalle sei alle dodici ore prima che venisse ritrovato il cadavere».
«Quasi corretto. Sostituisca il verbo “ritrovare” con il verbo “voltare” e avremo una formulazione più precisa», Stang non degnò di ulteriore attenzione la giovane donna e al di sopra del portadocumenti mandò un’occhiata al procuratore capo, che si trovava dall’altra parte del tavolo operatorio e fissava il cadavere ancora coperto da un lenzuolo. Era visibilmente turbato.
«Egregio procuratore?».
Schwind guardò il professor Stang.
«Sì, scusi. Mi sono accorto soltanto ora che…», disse accennando al lenzuolo.
Stang adorava dire qualche parola introduttiva prima di scoprire il cadavere, conferiva alla circostanza un tocco drammatico. E funzionava, anche perché generalmente i presenti non avevano ancora visto il cadavere e si preoccupavano di quanto li aspettava sotto il lenzuolo.
«Sì?», abbassando il portadocumenti, Stang sorrise interrogativo a Schwind.
Dalla parte di Schwind il braccio della morta si profilava sotto il lenzuolo e sembrava interrompersi improvvisamente all’altezza del polso.
«Sembra che non abbia le mani».
«Eh, qui però stiamo anticipando le cose».
«Le mani sono state trovate?».
Era una questione seria, Schwind non aveva voglia di aspettare la fine di quella prolissa cerimonia introduttiva.
«Insomma, perché è così impaziente?».
«Risponda alla mia domanda e basta. Le mani sono state…».
«Ritrovate sarebbe la parola sbagliata», lo interruppe Stang irritato, detestava che gli guastassero il rituale delle autopsie. Fece una faccia come se Schwind gli avesse rovinato la festa, mormorò: «Via, allora», e con un gesto imperioso ordinò alla giovane dottoressa di rimuovere il lenzuolo.
Era la sessantaquattresima autopsia per Schwind, e la vista dei cadaveri sfigurati suscitava in lui più interesse che ribrezzo. Tuttavia per un istante dimenticò di chiudere la bocca quando vide quella donna morta. La sostituta procuratrice Wittmann indietreggiò di un passo, come se qualcuno l’avesse tirata per la giacca.
«Come potete vedere…», con il portadocumenti dietro la schiena Stang si dondolava sulle punte dei piedi, «le mani ci sono ancora».


29 gennaio 2015 Alla luce degli abbaglianti si vedevano affiorare i primi fiocchi di neve. La strada era nera e luccicante, i fanali delle auto in arrivo dalla corsia opposta si specchiavano sull’asfalto bagnato. Sulla sinistra c’era un declivio coperto di neve già vecchia, a destra il guardrail oltre il quale si scendeva verso un torrente. Leonora si strofinò gli occhi e girando la manovella abbassò il finestrino per lasciarsi avvolgere dall’aria fredda della notte e scacciare la stanchezza. Un fiocco di neve le cadde sulla fronte e si sciolse. Da ore ormai guidava in mezzo a quelle montagne innevate, e non vedeva l’ora di arrivare in pianura. In fondo al cono di luce dei suoi fari emerse ora dall’oscurità un quadrato blu. Poi diventò più grande. In mezzo al blu danzava un cerchio di stelle dorate, nel mezzo c’era scritto: «bundesrepublik deutschland». Qualche metro più avanti c’era lo stemma ovale giallo con l’aquila della federazione. Leonora respirò profondamente e si sentì formicolare sotto lo sterno. Da quel momento in poi mancavano altri cento chilometri, che per la maggior parte avrebbe percorso in autostrada.
«Siamo quasi arrivate, Valentina», disse voltandosi.
La bambina di nove anni, agganciata al seggiolino, teneva gli occhi chiusi. La testa le era scivolata su una spalla, il braccio sinistro era abbandonato sulla pancia e con il destro reggeva un coniglio di peluche contro la gamba.
Superarono un segnale di località. Non erano più bianchi e blu come in Austria, ma gialli e neri. L’irregolare, sparsa zona residenziale annunciata da quel segnale portava il nome – impronunciabile per gli stranieri – di Schneizlreuth. Poco dopo Leonora giunse allo sbocco sulla statale 305 e girò a sinistra verso Inzell. Presto, superata la diramazione, vide un’auto nello specchietto retrovisore. Si avvicinava lentamente.
Leonora fu presa da una sensazione sgradevole, ma cercò di mantenere la calma. Non c’era nessun motivo di preoccuparsi. Era in Germania, a millecinquecento chilometri di distanza dal luogo in cui lei e la sua famiglia si erano dovute abituare a convivere quotidianamente con la paura. Chiuse in casa. A nord delle Alpi nessuno voleva fare del male a lei e a Valentina. Ma quell’inquietudine restava, una paura che le corrodeva le viscere come un’ulcera cancerosa. Mica se ne andava solo perché non aveva più ragion d’essere. Dopo tanto tempo la paura era diventata un’abitudine.
L’auto alle sue spalle si fece vicinissima, e a causa della pressione che sentì sul petto Leonora fece fatica a respirare. La sua mano destra cominciò a tremare, dovette stringere forte il volante per farla smettere. La strada era ancora piena di curve e impediva all’auto alle sue spalle di superarla – nel caso fosse stata questa la sua intenzione. Nell’abitacolo faceva freddo, ma il sudore le colava dalla fronte e dalle ascelle. Dopo un chilometro che sembrò infinito, l’auto alle sue spalle si spostò sulla sinistra e la superò. Per un attimo Leonora non fu del tutto sicura che non avrebbe frenato per costringerla a fermarsi. Poi invece l’Audi grigio scuro accelerò e sparì nella notte. Leonora allungò la mano destra verso la bambina e le toccò una gamba.
La bmw argentata era ferma da quaranta minuti sul sentiero che dalla b 305 si diramava nella foresta. I fari, spenti, erano rivolti verso Inzell, che si trovava a pochi chilometri di distanza. Nell’automobile sedevano due uomini. Il primo, Patrick, aveva una trentina d’anni e portava una giacca di pelle; l’altro, Arnold, era sulla quarantina e aveva un maglione norvegese. Dal giorno prima seguivano su un laptop il percorso della donna verso la Germania. La localizzazione dello smartphone si interrompeva solo quando Leonora si trovava in un tunnel o dentro un edificio. Ma il suo telefono era sempre acceso, per cui era facile seguirne gli spostamenti. L’ultima sosta, poi, aveva rivelato con ogni evidenza in quale punto intendeva oltrepassare il confine con la Germania. I due uomini aspettavano. Avevano di nuovo perso il contatto con il satellite, ma non c’era dubbio che nel giro della prossima mezz’ora l’auto sarebbe passata davanti al sentiero sul quale avevano parcheggiato. Da un thermos, Patrick si versò del caffè in un bicchiere di plastica. Era da parecchio che non parlavano. Poteva dipendere dal fatto che negli ultimi giorni avevano discusso accuratamente di tutti i dettagli della loro operazione, inclusi i pro e i contro. Ora che erano arrivati fin lì, nell’automobile regnava una tensione che aveva qualcosa di appiccicoso. Cercavano entrambi di concentrarsi. Arnold stava per prendere a sua volta il thermos quando attraverso uno spiraglio del finestrino che aveva lasciato aperto sentì un veicolo avvicinarsi sulla statale. Il rumore si fece più intenso, gli abbaglianti illuminarono – trenta metri più avanti sul bordo della strada – un segnale triangolare con un cervo che saltava. Pochi secondi dopo passò una station wagon della quale, nell’oscurità, era difficile riconoscere marca e colore. La vernice era opaca e in più punti ritoccata, quell’auto aveva almeno quindici anni. L’uomo più giovane, seduto accanto al conducente con il bicchiere di caffè ancora in mano, prese il binocolo che aveva appoggiato davanti a sé.
«È lei! Si comincia», nella sua voce risuonava un’eccitazione piena di attesa.
Arnold accese il motore mentre il suo compagno abbassava il finestrino per buttare il caffè.

La copertina del romanzo Eisenberg di Andreas Föhr


Andreas Föhr
Eisenberg
Darkside 2017
Pagine: 448
Prezzo: 16,00 euro (cartaceo), 6,99 euro (digitale)
Codice ISBN: 9788893251266
Codice ASIN: B071WKBTNT


Eisenberg, un estratto dal romanzo di Andreas Föhr
Notizia scritta da: Matteo Servili
Pubblicata il 26/06/2017
Fonte: LaTelaNera.com

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