Recensione
Rest Stop 2

Rest Stop 2: visiona la scheda del film John Shiban, alla regia del primo Rest Stop, ritorna in Rest Stop 2: Don't Look Back a sorvegliare il suo pargolo in fase di script ma lascia il timone al nostromo Shawn Papazian, che lo aveva aiutato in precedenza. Quest'ultimo circumnaviga da qualche tempo il promontorio Raw Feed/Flame Ventures, binomio produttivo sul quale bisognerebbe prima o poi spendere qualche parola in quanto i tipi perlomeno ci provano sempre e ci credono.

Tornano quindi in Rest Stop 2: Don't Look Back alcune suggestioni che già avevano suscitato interesse in precedenza e mi pare che ci sia uno sforzo creativo, non importa se concertato/organizzato o meno, da parte di alcuni titoli degli ultimi tempi intorno a una nuova bestia orrorifica.

Splinter, Reeker - Tra la vita e la morte, Identity, Rest Stop, ci sono tratti di highway americane pronti a fagocitare individui predisposti a essere ingurgitati, tratti che diventano una creatura mutante a metà strada fra la Casa Maledetta, il Fantasma e il Crocevia Infernale, luoghi psicofisici dotati di particolari caratteristiche e segnali/simboli ben definiti che abbracciano sia la grammatica cinematografica (il personaggio ripreso in plongée in mezzo alla strada) che quella scenografica (il benzinaio/market, le piazzuole di fermata, il paesaggio naturale/ostile circostante) fino a toccare il sonoro (robuste dosi di rock).

Su questo terreno comune il duo Shiban-Papazian innesta una figura di serial killer soprannaturale figliata da Duel e filtrata da certo nuovo gotico del sud, un camionista vendicatore intento a colpire tutti coloro che peccano. Peccato per i malcapitati che il concetto di Peccato per il nostro killer sia molto, molto ampio…
A condire iconograficamente questo killer (con mossa azzeccata, in quanto la sua figura da sola livellerebbe e renderebbe anonimo lo sforzo fatto) vi è una delle famiglie più assurde e memorabili della recente storia dell’horror (e il campo ultimamente è agguerrito): padre predicatore redneck folle, madre ubriacona e dissoluta, due gemelli vestiti come dei piccoli lord, silenziosi e sempre intenti a succhiare oscenamente dei ghiaccioli rossi e infine il nano focomelico deforme che scatta fotografie a chiunque.

Abbastanza per tenermi buono in un angolo, sono uomo dai gusti molto semplici. Se a voi invece ancora non basta potete aggiungere al mucchio una buona dose di ironia che talvolta scade nel cattivo gusto (la memorabile scena del killer che investe il bagno chimico, con conseguente geyser fecale), l’obbligatoria dose di torture assortite e qualche inquadratura di tette e cosce e vi troverete di fronte al classico film da noleggio disimpegnato.

Per il sottoscritto dare invece un giudizio preciso diventa ben difficile perché pur sapendo bene di trovarmi di fronte a una pellicola a tratti banalotta e risaputa, piena di comportamenti da nosocomio e di falle logiche da chiamare un idraulico della continuity, è anche vero che certe scelte estetiche, alcune figure presentate e il senso di entropia psichica presente nella zona del Rest Stop sono sufficienti per diventare parziale e raccomandarne comunque la visione.

Produce, fra gli altri, Daniel Myrick. Esatto, quel Daniel Myrick che ha diviso la critica horror in due con il suo fondamentale the The Blair Witch Project. Lungi dall’essere finito, il personaggio ha messo recentemente le mani in pasta in alcuni titoli che a me paiono importanti: Rest Stop, Sublime, Believers, Otis. Certo, anni luce qualitativamente parlando dal suo folgorante esordio, ma pur sempre un gruppo di titoli che osa più della media e propone qualcosa di nuovo in un panorama asfittico.

La grandezza di un’epoca dipende dalla sua capacità mitopoietica? Possiamo giudicare lo stato di salute di un genere cinematografico anche in base a quanto e come riesce a produrre nuovi archetipi, nuovi totem e/o in che modo pasticcia, ammoderna, modifica quelli già preesistenti?

Se la vostra risposta a queste domande è sì, allora converrete che l’horror non se la stia passando granché bene e che per un (Jeepers) Creeper, un (Labirinto del) Fauno o un (mostro di) Cloverfield che nascono dobbiamo poi sorbirci ogni volta tonnellate di episodi dell'Enigmista di turno che finiscono con l’annacquare terribilmente il brodo mitologico di riferimento…

Ecco il motivo per cui una franchise come Rest Stop continua a piacermi anche nel secondo, ovvio e stanco episodio.


Titolo: Rest Stop 2
Titolo originale: Rest Stop 2: Don't Look Back
Nazione: USA
Anno: 2008
Regia: Shawn Papazian
Interpreti: Richard Tillman, Jessie Ward, Graham Norris, Brionne Davis, Steve Railsback, Joey Mendicino

Recensione del film Rest Stop 2
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 09/10/2008


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