Ogni film di Park Chan-Wook lo si accoglie con curiosità e gioia cinefila. Nel più deleterio dei casi ci troveremo ad affrontare un pirotecnico esercizio di stile (Three…Extremes), nel più fortuito un capolavoro (Old Boy).
Dopo i toni surreali di I’m a Cyborg, but that’s OK, che non abbandona del tutto, Chan-Wook affronta con Thirst il genere horror e, come atteso e come sperato, lo stravolge confermandosi definitivamente un autore e rivoltandolo con la sua personale visione morale dei dilemmi umani, e il suo ipnotico stile, tanto controllato, quanto eccessivo, realizza il suo capolavoro direttivo e offre al grande schermo una lezione di regia che unisce una tecnica ormai perfetta alla magia del cinema.
Con un macroscopico e inevitabile difetto ideologico alla base che ne attutisce lievemente l’impatto e rischia di ridurlo a un prevedibile ed imbarazzante apologo morale, fortunatamente sopraffatto dall’estetica.
Assistere a una serie di calcolati, quanto apparentemente leggeri, movimenti di macchina, associati a una ricerca cromatica e a uno studio della fotografia eccellenti, fa brillare gli occhi dopo aver visto decine di film in cui tutto è creato al computer o l’occhio della telecamera sembra cieco.
Thirst, inoltre, è un film rilevante nel genere horror anche per il tema preso a pretesto per la trama.
In un’epoca in cui vampiri castrati e mormoni riscuotono un successo indecente, la prospettiva di Chan-Wook riconduce il mito vampiresco in territori sanguigni e passionali e il sesso, il fantasma che aleggia morbosamente nelle pagine della Meyer, è il primum movens di molti eventi e viene restituito alla sua dionisiacità liberatoria (almeno fino a un certo punto). Se d oggi l’unico colossale e dirompente oppositore della saga di Twilight era True Blood (la cui seconda serie è sintetizzabile con due sole parole: orgia e sangue), con Thirst ci troviamo di fronte a una terza ulteriore via.
Il film riesce nell’intento di intrattenere, appassionare, emozionare mescolando diversi toni in un equilibrio da geniale alchimista, passando senza soluzione di continuità dalla black comedy alla tragedia all’horror spruzzato di gore a toni struggenti e romantici (ma mai troppo leziosi o melodrammatici), dosando ogni elemento in modo certosino con un effetto di costante sorpresa.
Ed è in questo senso che Chan-Wook si rivela un autore enorme, perchè non si fa guidare dagli elementi del film di genere, ma li manipola e piega adattandoli alla sua forma mentis, iniettando nuova linfa alla figura ormai anemizzata del vampiro. Thirst è un esplosione di sensualità, risate amare, comicità, afflizioni interiori, rivestite di colori sgargianti, fino alla stilizzazione, ma sorrette da una sceneggiatura solida, quanto piena di piccole follie, in cui nessuna sequenza (e sono diverse quelle memorabili) è gratuita, ma necessaria alla costruzione psicologica dei due protagonisti.
Tutto il cast è notevole, e appare molto partecipe e divertito, con una menzione particolare per Ok-bin Kim, una giovane Tae-joo che nella furia bestiale del vampirismo trova un riscatto violento ed esaltante alla sua avvilente condizione personale.
La pellicola è una tale esibizione di talento nella gestione degli elementi visivi, quanto delle sensazioni più viscerali, da non lasciare spazio ad alcuna obiezione meramente cinefila.
Eppure un’ineludibile consideraziona a margine è d’obbligo.
I film di Chan-Wook sono caratterizzati da conflitti morali irrisolvibili da cui traspare chiaramente la sua matrice cattolica, la sua monolitica concezione di bene e male, pur risolta nelle sue storie in modo anche provocatorio e non convenzionale (in Mr. Vendetta la salvezza di una vita dipende dall’esito di un sequestro disastroso; la dolorosa perpetuazione dell’incesto in Old Boy, come unica possibilità d’amare, è comunque seguita dalla sua rimozione; in Lady Vendetta permane il bisogno irrisolto di purificazione dopo il tremendo atto collettivo di punizione).
Di fatto, l’assenza di redenzione per l’aver compiuto un atto moralmente condannabile, anche se giustificato (nel caso di Thirst dalla propria natura vampiresca) è un leitmotiv talmente radicato nella cinematografia di Chan-Wook che nonostante tutte le possibili e immaginabili deviazioni da una consueta storia d’eros e thanatos, nonostante la visionarietà dei minuti finali o l’ultima e poetica inquadratura, il disappunto di non venire sorpresi, di non trovarsi di fronte a un twist morale, pur in un’ottica ben definita in partenza, questa volta è fortissimo e infastidisce.
Nuovamente assisteremo a una scelta immorale che mira a impedire ulteriori morti, ma in quanto tale richiederà punizione, sacrificio e inferno.
Viene persino oltrepassata la Meyer, i cui vampiri semplicemente rinunciano al sangue umano.
Sostituite il vampirismo con qualsiasi comportamento considerato contro-natura e riceverete un messaggio agghiacciante.
Ideologicamente coerente, anche se ai limiti dell’eresia nella sua esposizione, quanto rivoltante.
Ma anche questo è il cinema. E questo è grande cinema.
Recensione originariamente apparsa su +LoveIsTheDevil+, il blog ufficiale di Lenny Nero.
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