Avete presente i vecchi cartoni animati di Willy il Coyote, Tom e Jerry o qualsiasi altro? C’è sempre, almeno una volta ogni qualche puntata, questa situazione: trappolona che funziona male, il masso comincia a rotolare verso il malcapitato che prima guarda terrorizzato la finta morte piombargli addosso e poi comincia a scappare… in linea retta!
Io da bambino (ma, eh, anche adesso) mi divertivo un sacco, li guardavo e li riguardavo, però pensavo anche “Belin, ma basterebbe spostarsi un metro a lato!”. Questo ragionamento non mi levava un grammo di divertimento, sia chiaro, ma pian pianino diventava una zecca fastidiosa e dovevo grattarmi il cervello.
Rest Stop soffre proprio di questa sindrome da mancata visione laterale che in un film, lo capirete, diventa uno scoglio logico più pesante da digerire.
Penso sia colpa del senso di onnipotenza che prima o poi colpisce tutti quelli che hanno una carriera come John Shiban; produttore e scrittore di buon mestiere riesce a funzionare in modo egregio quando è posto all’interno di un meccanismo oliato (roba comunque televisiva: The X-Files, Enterprise, Supernatural) mentre le cose vanno meno bene quando decide di fare il grande salto, passare al cinema e giocare al one-man-show scrivendo, producendo e dirigendo.
Intendiamoci, a tratti il regista, complici lo scenografo e il bravo direttore della fotografia Mark Vargo (Nine Dead), mette in scena con ottima visione claustrofobica e alcuni passaggi weird efficaci, ma per la maggior parte del tempo non facciamo altro che assistere al tragico e folle gironzolare della povera Nicole - una brava e bella Jaimie Alexander (Thor, Hallowed Ground) - che, come spesso accade, compie tutta una serie di scelte una più sbagliata dell’altra finendo per facilitare costantemente il compito del killer.
Quel che quindi potrebbe far rivalutare l’opera (la figura dell’assassino giocata sui toni di un Haute Tension o Wolf Creek, il momento ultra-lynchiano della strana famiglia di freak a bordo del camper, l’assedio nei bagni con l’intromissione del fattore soprannaturale) viene in parte rovinato da uno script circolare, incapace di affrontare con coraggio le falle logiche e i banchi di sabbia delle motivazioni e reazioni plausibili.
Rest Stop è un'opera mista quindi, che alcuni riusciranno ad apprezzare solo, appunto, se riusciranno a sedersi sulla poltrona e ricordare quanto li faceva ridere il povero Willy. In fondo, it’s only a movie!
|