Nel tentativo di svecchiare la classica ghost story di stampo orientale, Chao-Pin Su la contamina con dosi effervescenti di sci-fi e stimoli drammatici, senza riuscire però a far quadrare il cerchio.
Silk è un continuo saliscendi tra inaspettata perfezione visiva e pericolose ricadute nella pura immondizia narrativa. Viene infatti difficile da chiedersi come sia possibile un’alternanza tra momenti di sorprendente gestione del ritmo e sapiente uso del montaggio (la prima mezz’ora, straordinaria per costruzione e atmosfera) ad altri di inconcepibile leggerezza e mancanza di pathos (le varie morti disseminate lungo la pellicola, alcune aggravate da scelte registiche inammissibili).
Questo andamento a scatti porta alla luce uno script sgangherato, che mette in successione spunti sicuramente interessanti e bestialità scopiazzate dal pantheon dei fantasmi dagli occhi a mandorla. Aggrava il tutto un’incapacità di equilibrio nei dialoghi, dove tentativi di filosofia vanno a braccetto con deliranti escursioni ironiche fuori luogo.
Inspiegabile poi un evidente plagio nei confronti di Le bizzarre avventure di Jo-Jo (scena ripresa anche nella trilogia matrixiana) e, visto che siamo in vena di complimenti, il chiarimento sul modus operandi dell’aggeggio acchiappafantasmi, assolutamente privo di logica (e pensare che il film fa perno soprattutto su questo).
In Silk resta poi un comparto musicale sofferto, drammatico e sentito, e una fotografia tendente al buio con frequenti assalti di luce, che dosa la giusta atmosfera.
Diventa quindi arduo inquadrare Silk, apoteosi dell’innovazione e dell’ingenuità. Lodarlo per le clamorose buone intenzioni, o bocciarlo per le sue proverbiali promesse non mantenute?
Recensione originale apparsa su Midian
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