Recensione
Jeepers Creepers 2 - Il Canto del Diavolo 2

Jeepers Creepers 2 - Il Canto del Diavolo 2: visiona la scheda del film Con questo Jeepers Creepers 2 il buon Victor Salva ci prende per mano e ci fa capire, proseguendo la lezione di Final Destination 2, che il mostro non vive più di notte, in anguste cantine metropolitane, bensì può emergere dalla minima crepa che gli lasciamo aperta. Basta un piccolo screzio, un ragazzino che litiga con padre e fratello maggiore e che rimane, annoiato e solo, in un campo di granoturco arso dal sole.

La messinscena è fenomenale e basta un secondo per spazzare via qualsiasi Children of the Corn di televisiva memoria.

Don FauntLeRoy (Jeepers Creepers: Il Canto del Diavolo, Anaconda 3 - La nuova stirpe) abusa dei filtri caldi e dipinge la tensione di arancione e nero: tre croci, tre spaventapasseri, uno di loro prende vita, il granoturco è l’oceano e il Creeper è uno Squalo (una mascella? una balena non tanto bianca?) volante che ghermisce la preda e scompare in cielo, incurante della furia del padre.

Pochi minuti e tutto è finito, la campagna torna silenziosa, il cerchio nel grano è ancora più simbolico e disperato di quelli di shyamalaniana memoria.
Esce di scena l’orco e entrano gli agnelli sacrificali a bordo di un bus giallo che tanto ci ricorda gli incubi di Wes Craven.

E, dopo l’incipit strepitoso, la vicenda continua a tenere alta la tensione, anche se di un tipo ben differente.

Victor Salva è regista coraggioso (o inconsciente): chiunque altro, dopo aver passato qualche mese in prigione per aver fatto sesso orale con un bambino ne sarebbe uscito a pezzi e si sarebbe messo a girare documentari sui fiori e le farfalle.
Salva invece riempie l'autobus del suo personale fiore proibito, lo affolla di tanti bei ragazzoni prestanti lasciando poco spazio alle femminucce: non contento di aver rovesciato il gender di una delle basilari regole dell’orrore nel primo Jeepers (il mostro non inseguiva una donna bensì un maschietto) prende forza e moltiplica i corpi in questo secondo episodio.

Si respira atmosfera tesa, pesante, morbosamente affascinante: le poche donne hanno più attributi dei maschi (una è l’autista del bus, le altre spietate Cassandre o tremende impalatrici di mostri) che sprecano tempo e testosterone a litigare fra loro come tanti galletti.

Salva calca sull’acceleratore e mette in gioco una serie potente di contrapposizioni: fra maschi e femmine (che si siedono distanti dal pack, scarsamente interessate agli schiamazzi festanti), fra neri e bianchi (ognuno a rinfacciarsi il proprio colore), fra adulti e ragazzi (dei primi il Creeper-Salva fa piazza pulita in pochi artigliosi minuti, senza curarsi di mostrare più di tanto), fra morituri e survivors, in una frizione che genera un calor bianco di chiara marca omo.

Pochissimi autori avevano saputo filmare corpi maschili in maniera così interessante, inevitabile richiamare alla mente Gus Van Sant e William Friedkin quando la corriera si ferma e i ragazzi si stendono sul tetto a prendere il sole con addosso solo i jeans o quando continuano a stuzzicarsi persino durante il rito del territorial pissing di gruppo.

L’esposizione ha doppia funzione, da un lato puro piacere estetico del filmare (del guardare?) dall’altro lato assistiamo all’invisibile macellaio che prepara i corpi sul bancone, ben in vista al babau di turno che, attratto da tanto ben di dio, non tarda a planare sul posto.
I momenti di crisi, si sa, portano allo scoperto i veri caratteri (e infatti la visionaria del gruppo paragona quegli istanti al vino veritas in un accostamento conciso quanto azzeccato) e il mostro ha gioco facile nel dividere il gregge mettendo in mostra una resistenza così tenace a ogni tipo di violenza che scoraggerebbe anche il Terminator. Ogni volta che il demone viene ferito gli basta predare un corpo e sostituire la parte lesa con un ricambio nuovo di zecca in un innesto/sovrapposizione che supera Cronenberg a sinistra.

Se nel maestro canadese la mutazione era in noi che avevamo dentro il seme del potenziale nuovo mostro (o dio) in Salva la nostra debolezza ci rende fragili e predabili da una creatura che è tanto più mostruosa in quanto composta da infinite nostre parti. Non è più “noi siamo il mostro” quanto “il mostro è noi” in un gioco dialettico-semantico che apre le porte al nuovo horror dopo anni di “urlante” attesa, il tutto reso ancora più pregevole dal basso (finalmente, dopo le abbuffate williamsoniane) tasso di metacinema, autoriferimenti, citazioni e omaggi vari.

Ci sono due momenti così importanti e affascinanti che, pensando ai primi, mediocri film del regista viene quasi impossibile non sospettare la presenza di Francis Ford Coppola anche in sede di script o di girato: mentre la creatura studia le prede dal vetro del finestrino, annusando l’aria (e qui Salva oltrepassa l’ormai stanco tema della visione come atto fondamentale dell’horror, cercando di dar corpo e sostanza a una cosa intangibile come l’olfatto psichico) a un certo punto guarda fisso in camera, osserva il pubblico, ammiccando e coinvolgendoci senza possibilità di fuga nel gioco al massacro, consapevole della nostra presenza.

E ancora, poco dopo, l’ala membranosa (una pellicola nella pellicola?) del Creeper casca da uno squarcio del tetto del bus e divide gli studenti in due gruppi, in una sorta di atto contrario al sollevamento del velo di maya. E infatti chi cercherà di passare oltre quella membrana, chi cercherà di squarciare il velo verrà catturato e portato altrove, privato letteralmente della testa (della ragione?).

Ottima prova per Jonathan Breck (il creeper) che praticamente recita solo con gli occhi.

Impossibile, per motivi di spazio, elencare gli ulteriori, numerosi meriti di una pellicola fondamentale del genere.

Dove non funziona, allora, un film come questo? Dove cercare eventuali pecche e difetti?
Paradossalmente i momenti meno pregevoli si annidano proprio nelle sequenze più smaccatamente tradizionali e grandguignolesche, nelle fughe notturne e nella roboante battaglia a colpi di arpione (arma fallica per eccellenza all’interno di un sistema già oberato da simbolismi di questo genere).

Il film perde smalto nell’ultima mezz’ora dando corpo a un banale spettacolo dejà vu di fuggi-fuggi dall’assassino che nulla aggiunge a quanto Salva è riuscito a dirci nei primi tre quarti dell’opera.

E appare anche sacrificata e poco ponderata l’ossessione che il padre della prima vittima (un Ray Wise comunque efficace) sviluppa istantaneamente per il mostro, passando da Abramo a capitano Achab nel giro di pochi istanti, senza possibile elaborazione del lutto o sviluppo psicologico accurato.

Salva si dilunga anche troppo nel voler illustrare, spiegare, tassonomizzare la sua stessa invenzione, in un progressivo elenco di tempi, modi, caratteristiche fisiologiche che poco interessano: la paura è tutta compresa fra il sospettare e il rivelare e se si scopre troppo, si sa, si può scadere nella noia.

A tratti bruttina anche la colonna sonora ma questo è un difetto ormai comune a quasi tutto il cinema statunitense.

Va da sé che si tratta di carenze che non inficiano l’ottima resa del prodotto finale, probabilmente destinato a ulteriori propaggini scandite dall’implacabile orologio ventitrennale.
Jeepers Creepers 2: acuta scelta di produzione da parte della coppoliana Zoetrope, a conferma che nell’horror, ancora di più che negli altri generi, bisogna sempre stare attenti ai nomi dei produttori, spesso da soli indice di bontà dell’opera.


Titolo: Jeepers Creepers 2 - Il Canto del Diavolo 2
Titolo originale: Jeepers Creepers 2
Nazione: USA
Anno: 2003
Regia: Victor Salva
Interpreti: Ray Wise, Jonathan Breck, Eric Nenninger, Nicki Aycox

Recensione del film Jeepers Creepers 2 - Il Canto del Diavolo 2
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 24/06/2006


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