Libri > Recensioni > I Gemelli Fahrenheit, di Michel Faber, edito da Einaudi nel 2007 al prezzo di 14.80 euro. Leggi la trama.
A dispetto del fatto che mi occupo principalmente di letteratura e cinema “horror” non mi è mai interessata l’affannosa e avvilente questione mainstream vs genere e mal digerisco i vari hooligans della critica che, come banderuole, sanciscono l’importanza di una sull’altra salvo poi cambiare idea a seconda di quel che producono.
Essendo il “genere” una questione che riguarda più che altro la disposizione della merce sugli scaffali e quindi i pubblicitari da un lato e i consumatori dall’altro, riesco a ignorare il tutto. Con qualche fatica, chiaramente.
Ciò non toglie che, in tempi di gialli, noir, nerissimi e altre categorie strettamente merceologiche, incappare in una raccolta di racconti come quella di Michel Faber mi faccia piacere doppio, vuoi per la qualità intrinseca della sua narrativa vuoi perché l’autore olandese raccoglie sotto un unico tetto una moltitudine di supposti generi tale da rendere difficile la classificazione di questa antologia anche al più ferrato degli entomologi della letteratura.
I 17 racconti qui contenuti sono un autentico viaggio nel tempo, negli stili, nelle situazioni, nei contenuti, nei Paesi e se si deve tentare di trovare un minimo denominatore comune allora si potrebbe indicare l’ossessiva, scrupolosa attenzione di Faber nel cogliere i suoi personaggi nei momenti più importanti della loro via, siano essi delle epifanie, delle catastrofi assolute o delle esitanti rinascite.
Lo scrittore ritrae e congela i momenti di svolta con una abilità che ha del miracoloso, il tutto rafforzato da certi accostamenti che tutto paiono fuorché involontari o casuali.
Si passa quindi da giovani madri che lasciano cadere con disperata noncuranza i loro figli per terra a madri ex-tossicodipendenti che tentano altrettanto disperatamente di ricucire i rapporti con i figli “lasciati cadere” qualche anno prima, attraversando le fantasie di vendetta di giovani controllori anti-taccheggio frustrati fino alla catastrofica gestione di un incidente domestico da parte di un marito inetto e ubriacone.
Ci sono coppie rodate "pronte" a perdere tutto quanto per un gatto selvatico e topi che, al contrario, fanno scoprire a ragazzi semi-autistici l’esistenza di qualcosa di più grande e misterioso del loro ultimo videogame.
Si salta quindi di stile in stile, di nazione in nazione, in una sarabanda talvolta imprecisa e fiacca (ma sono relativamente pochi gli episodi minori), spesso di rara potenza espressiva, capace di spaventare e commuovere, una raccolta che gran parte dei nostri giovani autori dovrebbero studiare e mandare a memoria quale primo passo per slegarsi da moccismi e quasiromanzismi vari (due facce della stessa medaglia, ahimè).
Vi è, naturalmente, il piccolo capolavoro, il cuore pulsante della raccolta che è, perlomeno per il sottoscritto (ma ho notato reazioni forti anche in altre persone cui l’ho letto ad alta voce), Vaniglia sgargiante come Eminem, un gioiello di manipolazione, capace di portare il lettore fino alle vette della felicità (il racconto narra proprio del momento più felice nella vita di un uomo) per poi disporne come meglio crede con un artificio finale tanto semplice quanto efficace. Varrebbe da solo il prezzo dell’intera raccolta, da leggere e rileggere per apprendere qualche espediente sul corretto timing e sulla scelta delle parole.
Devastante e necessario, tanto per scimmiottare critici ben più importanti del sottoscritto…
Articolo originale apparso su Mal-Pertuis, il blog ufficiale di Elvezio Sciallis.
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