Come scrivere un romanzo horror: Tecniche in Nero (Lezione 6)

Parte VI del corso di Giuliano Fiocco per imparare a scrivere storie horror…

Siete fortunati, lo sapete? Siete fortunati perché state leggendo queste righe dallo schermo del vostro monitor. Il che vuol dire che, molto probabilmente, siete i felici possessori di un computer. Ora, questo vi consente di fare in maniera veloce un sacco di cose che altrimenti vi porterebbero via una montagna di tempo. Non fingete di non capire di cosa sto parlando: sto parlando della revisione del vostro testo. Nella scorsa chiacchierata abbiamo cercato di analizzare "Il perché" sia necessario procedere ad una revisione della vostra fatica letteraria: in questa puntata di leggero approfondimento, cercheremo di capire "il come".

Siete fortunati, vi ho detto innanzi: a voi non toccherà, presumibilmente, lo sforzo richiesto a Tolstoj, che prima di pervenire alla versione definitiva di Anna Karenina dovette riscriverla diciassette volte, e senza potersi avvalere di altro strumento che la sua mano. Voi avete il computer, e questo fatto dovrebbe rappresentare per voi un ulteriore stimolo a rivedere quello che avete scritto.

Teniamo presente che la revisione può anche non essere la brutta bestia che è stata descritta finora: può anche essere un motivo di piacevole intrattenimento con il vostro testo, alla ricerca di motivi nascosti sotto la superficie delle parole, di nuovi collegamenti tra i personaggi, consentendovi di scoprire di elementi impropri o ridondanti che ne snaturano la facilità di lettura. Inoltre, dopo una revisione, il testo è sempre più leggibile, e questo non può che far felice un autore che in quel testo, volente o nolente, ha messo un po’ di se stesso. Nuove melodie prendono forma, e l’armonia dell’insieme riesce a darla la revisione. Lasciate sedimentare il vostro componimento, però, prima di revisionarlo. Se è un racconto, vi suggerisco di lasciar passare alcune settimane prima di riprenderlo in mano (lo so, lo so, che è difficile, ve l’assicuro, ma nessuno vi impedisce di darci una sbirciatina una volta ogni tanto, dentro al cassetto….), mentre i tempi dovrebbero allungarsi se avete scritto un romanzo, proprio per permettervi in seguito di cogliere tutte le correlazioni che nella foga e nell’entusiasmo della fine vi eravate lasciati sfuggire.

Un consiglio: cercate di rintracciare nel vostro testo, la promessa implicita che avevate fatto al lettore. Vi ricordate la prima lezione, quando vi dicevo che quando scrivete fate una promessa:

"Quando cominciate a scrivere, voi vi state impegnando. Impegnando non nel senso di applicarvi nella scrittura, ma nel senso che state facendo una promessa. In pratica, voi dite:
Caro lettore, eccomi qui, con la mia storia da raccontare. Ascoltala, ne varrà la pena, e il tuo sarà tempo speso bene."

A freddo, la vostra storia mantiene questa promessa? Avete rispettato quello che le prime pagine (o le prime righe) suggeriscono? Vi assicuro che la risposta, spesso, è NO. Cosa vuol dire, che dovete riscrivere da capo tutto? L’eventualità c’è, ma è un’eventualità remota. Significherebbe che siete partiti con l’idea di scrivere una storia, e ne avete scritta un’altra. Il che, in soldoni, vuol dire che l’idea di partenza non era buona, o meglio, non era quella che vi era congeniale.

È più facile, invece, che la storia abbia solo bisogno di alcuni aggiustamenti, qualche piccolo ritocco. Dovreste riuscire (da soli o con l’aiuto di un lettore esterno) a capire in quale punto la storia si allontana dal sentiero.
C’è quel punto, ve l’assicuro.
Proprio da lì dovrete iniziare per cercare di prendere il testo per le redini, e farlo sterzare decisamente verso la direzione giusta.
Per potervi dare qualche esempio pratico, sono costretto ad auto-citarmi. Non è abitudine dei vari autori divulgare le loro opere pre-revisione, vista la forzate "provvisorietà" delle stesse, e pertanto vi dovrete accontentare dei poveri frutti del mio lavoro. Se volete saltare a piè pari questa parte, vi giuro che non ve ne farò nessuna colpa.

Il racconto che prenderemo in esame è quello pubblicato nell’antologia Spettri Metropolitani, edita da Addictions, e di cui non parlerò oltre visto che è giocoforza che tutti voi ne abbiate almeno una copia. S’intitolo, il racconto, "Con gli occhi dei bambini", e vuol essere un piccolo omaggio al libro "Il giro di vite" di Henry James. È stato scritto in tre giorni, lasciato riposare per due settimane, e corretto e modificato, al fine di ottenerne una versione pubblicabile, nell’arco di cinque giorni.
Il primo capoverso della prima versione era questo:

"Alma impazzì alla tenera età di cinque anni. Per i successivi diciotto, nessuno se ne accorse."

L’incipit è di quelli violenti. Una bambina che impazzisce a cinque anni non è cosa comune. Per che cosa è impazzita? Il lettore non lo sa. Questo inizio potrebbe funzionare, però… però implica l’utilizzo di un narratore esterno alla storia. Un narratore onnisciente: sa che la bambina è impazzita, sa a quanti anni, sa che nessuno se n’è accorto per altri diciotto anni; forse, a pensarci bene, sa troppe cose. Mi sembrava che non sarei riuscito a mantenere il necessario pathos, se avessi continuato a usare questa figura scissa dalla storia. Pertanto, optai per una completa revisione dell’incipit, cambiando la voce narrante dalla terza persona singolare (impersonale) alla prima persona (versione personale della storia).
Ecco il risultato:

"A cinque anni, ricordo distintamente di avere visto il Cappellaio matto che mi aspettava seduto ai piedi del letto. Era nudo, con il pene che toccava la pancia, e vomitava sangue dalla bocca. Non l’ho mai detto a nessuno, perché il Cappellaio matto aveva la faccia di papà."

Adesso, il lettore ha chiare tutte le informazioni che avrebbe potuto fornirgli il primo incipt (una forma latente di pazzia a pochi anni d’età) ma ha in più una serie di elementi che aumentano l’effetto melodrammatico della scena: la figura del padre, nudo, e dell’organo sessuale dello stesso esibito, che noi sappiamo non essere compatibile nella sfera morale del rapporto padre-figlia. Gli altri elementi (il sangue dalla bocca, il letto) servono a colorare di cupi presagi la scena.
Vediamo un altro brano, che descrive l’arrivo in una casa della media borghesia di una baby-sitter:

"La casa è una villetta con un piccolo giardino, spazzolato con cura come la pelliccia d’un barboncino nano, confinante con altre tre abitazioni identiche. Il rumore dei suoi passi sull’acciottolato si confondono con lo stormire nervoso delle foglie. Il campanello con scritto "Giames" fa una luce tremula.
Suona.
La donna che apre, vestita di scuro, ha i capelli screziati di bagliori rossi.
- È in anticipo, lei è una nuova vero, ha una lettera dell’agenzia, sì, vero, ah, ecco, bene, venga pure dentro, Enrico muoviti, sono già pronta, non è facile trovare qualcuno a capodanno, del duemila poi, ecco questi sono i due terremoti, avanti Nicola, dai Andreina salutate la signorina...come ha detto che si chiama, ah ecco, sì, scusi, salutate la signorina Alma... ma non ha nessuno con cui uscire stasera, eh no, evidente, meglio così per noi, cioè no, volevo dire, sì, comunque mi ha capita Enrico muoviti, una volta che possiamo arrivare puntuali, lì ci sono le loro cose, dio, ah sì, questo è il numero del cellulare, ma non ce ne sarà bisogno, vero, CAZZO Enrico, vuoi muoverti o no, insomma, mi scusi, è sempre un casino quando si deve uscire, ANDREINA mettì giù l’ombrello, stia attenta alle scale, si scivola, là c’è il forno a microonde, la cena è dentro, basta scaldarla due minuti al due, ENRICO mi raccomando eh, noi torniamo per mezzanotte, Nicola da un bacio alla mamma , vero che fate i buoni bacino bacino buonanotte notte eh fate i bravini...-
Poi il marito ciabatta giù dalle scale, una figura avvolta in un cappotto blu scuro, saluta di fretta con voce afona, bacia i bambini salivando appena e non passano neanche due minuti che il rumore della Mercedes 190 Elegant fa vibrare le assi della veranda.
Lei si toglie il soprabito e guarda i bambini.
I bambini guardano lei.
Poi, Nicola dice - Tu sei vuota -, e lei si mette a ridere.
"

Ora, il brano ha diversi cripto-significati. Il racconto era scritto su commissione: pertanto, io mentre lo scrivevo sapevo che sarebbe dovuto essere pubblicato su un’antologia di storie di fantasmi. Avendo amato sia Ghost Story di Peter Straub, sia "Il giro di vite" di Henry James, volevo che il racconto risltasse un omaggio a questi due autori: pertanto, la protagonista del racconto si chiama Alma (come la protagonista del romanzo di Straub), la bambina si chiama Flora, come quella del libro di James, e Alma è una baby-sitter, così come nel libro di James la protagonista era una governante che doveva seguire i due bambini. Chi legge questo brano nota alcune cose: Alma non parla mai, la donna che l’accoglie è animata da una frenesia innaturale (figura stereotipata della signora-bene isterica), il marito è una figura atona e incolore. La cosa non funzionava. In questo racconto, gli uomini (intesi proprio come genere sessuale) dovevano seguire un copione comportamentale ben definito, se volevo dare una coerenza interna alla storia. Inoltre, sarebbe dovuta essere la bambina la figura centrale del racconto, e non il bambino. Pertanto, misi mano alla parte con una stesura successiva.
Il risultato è questo:

"La casa è una villetta con un piccolo giardino, spazzolato con cura come la pelliccia d’un barboncino nano, confinante con altre tre abitazioni identiche. Il rumore dei suoi passi sull’acciottolato si confonde con lo stormire nervoso delle foglie. Il campanello con scritto "Giacomi" emette una luce tremula.
Suona.
La donna che apre, vestita di scuro, ha i capelli screziati di bagliori rossi. Lo sguardo tradisce una timidezza prudente, che la spinge ad abbassare gli occhi subito dopo aver aperto la porta.
- È in anticipo - dice, con un filo di voce.
Lei resta in silenzio per un istante, poi dice:
- Avevo paura di restare imbottigliata nel traffico, visto il movimento che c’è questa sera. Ho preferito anticipare di qualche minuto -, e la voce si perde nell’aria come un fruscio.
La donna sorride, con una smorfia nervosa, e si sposta per farla entrare, chiudendo la porta alle sue spalle.
- Lo so, a Capodanno c’è sempre questa confusione per le strade. Del resto, non è neppure facile trovare qualcuno disponibile oggi... ah, ecco i due terremoti: Michele, Flora, salutate la signora... signorina... non ricordo il suo nome, scusi? -
Lei sposta un ciuffo di capelli, e si toglie i guanti.
- Non gliel’ho detto, infatti. Mi chiamo Alma. -
La donna allunga le mani, a prendere il suo cappotto.
- Bel nome, davvero. Sa di poesia... scusi, ho detto una sciocchezza -, e riabbassa gli occhi, poi il marito, una figura avvolta in un cappotto blu scuro, ciabatta giù dalle scale facendo scricchiolare pericolosamente il legno brunito, mentre i due bambini si spostano istintivamente dalla traiettoria dei suoi passi, addossandosi al muro.
- Ma che cazzo, non sei ancora pronta?- è il saluto che rimbomba nell’ingresso.
La donna si fa minuta, e sembra volere scomparire tra gli arabeschi del tappeto.
- Mi metto le scarpe e sono pronta, Enrico - biascica, mentre lui esce, senza degnarla di uno sguardo e sbatte la porta.
Con la voce che trema appena le dice - Flora non la disturberà, è una bambina autistica, ma Michele è un vero demonio -, poi le fa scivolare le istruzioni per la cena della sera, sibila le poche raccomandazioni di rito, saluta di fretta con voce afona, bacia i bambini sfiorandoli appena e non passano neanche due minuti che il rumore della Mercedes 190 Elegant fa vibrare le assi della veranda.
Lei si toglie il soprabito e guarda i bambini.
I bambini guardano lei.
Flora dice - Tu sei vuota - e lei si mette a ridere
"

I protagonisti adesso sono delineati in maniera migliore: Alma parla, ma la sua voce "si perde nell’aria come un fruscio", la donna che la riceve è palesemente "vittima" di un marito manesco e volgare e Flora, la bambina, è autistica, ma è l’unica in grado di vedere Alma per quella che è realmente. Il campanello non "fa" una luce tremula, ma "emette" una luce tremula.
Tutti elementi che nella prima stesura rovinavano l’effetto complessivo (e devo dire che non li ho rilevati tutti autonomamente: è per questo che è importante avere un lettore esterno che vi dia una mano).
Non vi tedierò oltre. Analizziamo solo un ultimo brano, situato circa alla metà del racconto. In questo pezzo assistiamo alla descrizione di un ulteriore avvenimento drammatico nella vita di Alma e più in particolare alla morte di sua madre e alle modalità in cui questa morte è avvenuta. Nel primo pezzo, scritto in terza persona singolare, ci sono una serie di passaggi che in realtà non sono corretti sia come contenuto sia come stile. Come contenuto perché, ad esempio, viene narrato che la madre s’impicca buttandosi giù dalla tromba delle scale e viene trovata da un inquilina del palazzo. Noi abbiamo iniziato a descrivere una vicenda ambientandola in una casa singola, mentre in questo caso noi parliamo evidentemente di un condominio, e questo spiazza il lettore, eliminando uno dei fili conduttori del racconti, la casa in cui avvengono gli avvenimenti (Alma infatti nasconde nel giardino di quella casa un coltello, che ritroveremo alla fine del racconto).
Pertanto, non è corretto, per non ingenerare confusione nel lettore, cambiare lo scenario in cui avviene l’azione.
Vale anche in questo caso la scelta di usare la prima persona singolare come voce narrante per imprimere una maggior drammaticità al racconto.
Vediamo la prima versione:

"La madre di Alma, Maria, era alcolizzata dall’età di tredici anni, e fino ai trent’otto la cirrosi non fece grandi danni. Poi, non ne ebbe il tempo. Maria si suicidò nell’aprile del 92, legandosi una bava da pescatore intrecciata con pazienza attorno al collo, e saltando giù dalla tromba delle scale. La trovò la signora Lanzetti, una vedova di quarantacinque anni, uscita dalla porta dopo aver sentito il rumore del corpo che rotolava. La bava aveva decapitato Maria dopo due ore dal momento dell’impiccagione. Alma aveva quindici anni, ed erano passati due giorni da quando la madre l’aveva trovata a letto con il padre. Alma pianse, baciò la bara e si comprò un cappello nuovo."

Questo è il testo, dopo la sessione di revisione:

"Mamma si chiamava Maria. Era alcolizzata dall’età di tredici anni, e fino ai trentotto la cirrosi di cui soffriva non le aveva provocato grandi danni. Poi, non n’ebbe il tempo. Mamma si tolse la vita nell’aprile del 92, legandosi una bava da pescatore intrecciata con pazienza attorno al collo, e saltando giù dalla tromba delle scale. L’ha trovata la signora Lanzetti, una vedova di quarantacinque anni, passata a trovarla. La porta di casa era aperta. La bava aveva decapitato mamma dopo due ore dal momento dell’impiccagione. Io avevo quindici anni ed erano passati due giorni da quando mamma mi aveva trovata a letto con il Cappellaio Matto. Ricordo che ho pianto, ho baciato la bara e mi sono comperata un cappello nuovo."

Adesso, il testo esprime esattamente quello che io volevo dire.

Per riassumere brevemente:
Una revisione è fondamentale per la riuscita di un buon testo. Possono esserci sicuramente autori che non sottopongono i loro testi ad un lavoro di revisione, ma vi posso assicurare che sono la famosa eccezione che conferma la regola. Quello che si può dire è che in ogni caso la revisione è utile sia come esercizio letterario (riscrivere è come scrivere: allena la mente, oltre che la mano), sia come viaggio nel nostro testo, che ci fa scoprire che ci erano sfuggiti, sia perché consente al testo stesso di assumere una forma il più possibile fruibile da parte di un lettore.
C’è da dire che non bisogna cadere nella trappola delle revisioni continue: ad un certo punto bisogna abbandonare il testo. È facile per un autore fare fatica a staccarsi dallo stesso, soprattutto se la stesura dello stesso ha richiesto molto tempo, facendo che il lettore si identifichi nel mondo da esso stesso creato.
Quand’è che il testo si può considerare finito?
Umberto Eco dice che è quando "mi accorgo che, a continuare ancora, lo peggiorerei". Ognuno avrà i suoi parametri, ma essenzialmente quando il testo è perfettamente corretto nella sintassi, della grammatica e della forma, e quando i contenuti sono esposti di agevole lettura da parte di un lettore esterno. Nietzsche, nel libro Umano, troppo umano dice che "è cosa che non finisce mai di sorprendere lo scrittore il fatto che il libro, non appena si è staccato da lui, continui a vivere una vita per conto proprio".

Quando il vostro libro o il vostro racconto comincerà a vivere di vita propria "come la parte distaccata di un insetto che proseguisse il suo cammino" allora vorrà dire che per quel racconto, che per quel libro, voi avete finito.
Per il momento…

Tecniche in Nero
Copyright © 2003 by Giuliano Fiocco

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sulle pagine del sito Horror.it, ed è stato riprodotto qui col consenso dell'autore.

Articolo scritto da:
Giuliano Fiocco

Come scrivere un romanzo horror: Tecniche in Nero (Lezione 6)
Articolo pubblicato il 01/02/2004


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