L’isola degli uomini pesce è un B-movie nostrano risalente al lontano 1978, prodotto da Luciano Martino per la Dania Film e diretto dal fratello Sergio. Si tratta di un adventure movie con forte caratterizzazione fanta-orrorifica affetto da numerosi limiti che alla lunga penalizzano inevitabilmente il risultato finale.
In primo luogo, la sceneggiatura, sebbene firmata da sceneggiatori di sicuro talento come Cesare Frugoni (Cani Arrabbiati, I guerrieri dell’anno 2019), Sergio Martino e soprattutto dall’ottimo Sergio Donati (C’era una volta il west, L’Orca Assassina, Almost Blue), ricalca in svariati punti gli script di film statunitensi anni ’60 e ‘70 in particolare L’Isola Misteriosa e L’Isola del dottor Moreau, ma anche altre opere tratte da romanzi di Verne.
Gli autori inseriscono, poi, alcuni riferimenti lovecraftiani con gli uomini che mutano in pesci, con strani riti religiosi (riti voodoo nello specifico) e con misteriosi templi subacquei, senza però sviluppare adeguatamente questi affascinanti spunti.
Ne deriva quindi una sceneggiatura che propone poco di nuovo e che, con il trascorrere dei minuti, tende ad appesantirsi, a discapito dell’azione, con dialoghi eccessivamente lunghi. Poco felice, inoltre, la scelta di non inserire scene piccanti sia sotto il profilo orrorifico - infatti non vi è quasi traccia di gore - che sotto quello attinente al lato erotico (non si registra neppure un topless).
Tali limiti di sceneggiatura penalizzano la regia di Sergio Martino che offre il meglio di sé nella prima parte del film dove riesce a creare un’atmosfera onirica regalando sequenze indubbiamente affascinanti (vedi quelle ambientate in mezzo alla paludosa vegetazione dell’isola). Nella seconda parte, poi, il progressivo venir meno dell’azione tende a soffocare l’estro del regista che finisce con l’essere imbrigliato.
in L’isola degli uomini pesce le interpretazioni degli attori, penalizzate tra l’altro da un doppiaggio mediocre, non sono particolarmente memorabili, con un Claudio Cassinelli (Assassinio al cimitero etrusco, Il fiume del grande caimano) poco ispirato e una Barbara Bach (The Unseen, La corta notte delle bambole di vetro, La tarantola dal ventre nero), futura sposa di un componente dei Beatles, carinissima, ma monoespressiva. Il migliore, sebbene si limiti a un cammeo, è il veterano e blasonato Joseph Cotten (Quarto Potere, Gli orrori del castello di Norimberga), benino anche Richard Johnson (Zombi 2).
Molto interessanti, invece, le scenografie del sempre bravo Antonello Geleng chiamato nuovamente a collaborare con Sergio Martino dopo aver debuttato con lui nel cannibal movie La Montagna del Dio cannibale. Geleng crea interamente gli interi set del film con un talento decisamente visionario, a riguardo sono molto belli il cimitero indigeno e il tempio azteco sommerso nelle acque marine. Lo scenografo provvede anche a disegnare la fisionomia degli "uomini pesce" ottenendo un risultato che visto il budget si può ritenere sufficiente.
Sono, invece, mediocri per non dire trash gli effetti sonori con gli "uomini pesce" che emettono dei versi simili a quelli di un elefante (!?). Non convince minimamente neppure l’anonima colonna sonora di Luciano Michelini, mentre la fotografia di Ferrando risulta piuttosto discontinua visto che si assiste a scene ben fotografate e altre in cui la luce filtra davvero poco rendendo il tutto eccessivamente scuro e poco visibile.
Il film avrà una sorta di seguito diretto nel 1996 sempre da Sergio Martino e intitolato La Regina degli Uomini Pesce.
Con L’isola degli uomini pesce siamo al cospetto di una produzione minore che si aggira ai margini della sufficienza e penalizzata, oltre che da una sceneggiatura poco propositiva, dall’assenza di "pepe". Si poteva e doveva fare meglio.
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