Intervista a Nicola Verde

Libri > Interviste > Facciamo due chiacchiere con lo stagionato autore di SA MORTE SECADA

Intervista a Nicola Verde Il torturato di questa settimana è Nicola Verde, recente vincitore della prima edizione del premio per racconti giallo/neri Lama e Trama e volto "noto" dei concorsi di narrativa italiani di genere, a breve al debutto con un romanzo per la collana Gialloteca della Dario Flaccovio Editore.

[La Tela Nera]: A breve uscirà il tuo romanzo “Sa morte secada” per la Dario Flaccovio Editore. Se non sbaglio è la tua prima “opera lunga” che viene pubblicata. Come ci si sente ed essere “esordienti” alla tua età?
[Nicola Verde]: Innanzi tutto voglio ringraziarti per avermi ospitato: spero soltanto di meritarmi l’attenzione dei visitatori del sito. E poi le risposte. A volte si usa il termine “emergente”, che mi dà modo di fare la solita battutaccia: “emerso” per adesso fino al naso; per la bocca e tutto quanto il resto c’è ancora tempo! Scherzi a parte, ho un’età in cui dovrei essere “vaccinato” a ogni tipo di entusiasmo, e invece … e invece mi sento eccitato come un ragazzino. E’ naturale?

[LTN]: Puoi raccontarci qualcosa del romanzo senza anticipare troppo ai lettori?
[NV]: Ti può andar bene quella che dovrebbe essere la IV di copertina? Eccola: Sul finire degli anni Sessanta, in una Sardegna in piena trasformazione, il nuovo che avanza si scontra con l’arcaicità di un mondo in agonia. L’omicidio di un bambino, il cui cadavere sarà “esposto” all’aperto come in un barbaro rito, assurge a simbolo di questo passaggio. E simboli sono anche le sorelle Natalia e Costantina Frau: una di quel nuovo divorante, l'altra di quel vecchio che si lascia divorare. Il maresciallo dei carabinieri Carmine Dioguardi, che investiga sul delitto, è un uomo pieno di cliché e di pregiudizi che considera la Sardegna una specie di confino. Le indagini, in un complesso intreccio di sentimenti e passioni, porteranno Dioguardi a incontrare personaggi ambigui e sfaccettati: un prete che ha più di una macchia, il direttore di una fabbrica in costruzione che ammalia con promesse vane la popolazione di pastori, un bandito la cui scelta di delinquere forse nasconde qualche buona ragione. E soprattutto le sorelle Frau, il cui legame di sangue con il bambino ucciso cela più di un segreto.Quando si tratterà di andare a fundu, finzas a sa morte secada, di andare, cioè, a fondo, fino a tagliare la morte, il maresciallo Carmine Dioguardi sarà davvero convinto di averlo fatto? E se, invece, qualcuno, con quell’”esposizione”, avesse avuto la pretesa di…. scarnificare la morte?

Nicola Verde[LTN]: Cosa ti aspetti che accadrà dopo l’uscita del romanzo? Proseguirai con il “lungo” o continuerai a dedicarti anche ai racconti?
[NV]: Che il passaparola faccia vendere tantissimo il libro, naturalmente (che poi è anche l’aspettativa dell’editore). E a parte la vendita in sé, il passaparola significherebbe che il romanzo ha conquistato per la sua qualità, il che sarebbe gratificante. E poi mi aspetto che bussino alla mia porta per chiedermi altre cose, magari accontentandosi dei fondi di cassetto (che io non consegnerò mai: che diamine, anch’io ho una dignità letteraria da difendere!). Ho un romanzo per ragazzi in lettura presso il mio agente letterario (a questo punto il mio personaggio Nunziatina Magliano esclamerebbe: “’o anema d’’a maronna, un agente letterario?” E io: “Sì! E per giunta Piergiorgio Nicolazzini, vi dice niente?”) per adesso spero in quello, poi chissà. Quanto alla questione “lungo” o “corto”, proseguire con il lungo è quasi d’obbligo (e naturalmente con una seconda storia del mio maresciallo), ma non abbandonerò il racconto, che, tra l’altro, amo moltissimo come lettore.

[LTN]: Qual è stato il tuo primo racconto pubblicato su una rivista o raccolta? Qual è “la volta” e la rivista a cui ti senti più legato?
[NV]: Be’, dobbiamo andare molto indietro nel tempo … preistoria, protostoria, mettila un po’ come ti pare. Il mio primo racconto sarebbe dovuto uscire sulla rivista “Verso le stelle” curata dal compianto Luigi Naviglio (cui va un mio pensiero di commossa riconoscenza), ma poi chiuse e un altro mio racconto (questo brevissimo) comparve nella versione fanzine della rivista. Forse è proprio “Verso le stelle”, versione rivista, che fa ancora battere il mio cuore (benché il mio racconto non sia poi stato ospitato, il fatto stesso che avrebbe dovuto esserlo, mi emoziona ancora oggi). Posseggo tutti i numeri usciti e ogni tanto mi piace far tornare a battere il mio cuore come allora. Poi c’è stata la rivista “Dimensione Cosmica”… e poi le antologie… e poi altre riviste… e poi … e poi …ma questo è il seguito della storia e siccome io sono una specie di Oblomov della scrittura è una storia, come dire, tranquilla, pacata, forse un po’ … pigra.

[LTN]: Nonostante l’abbondanza di ottimi racconti pubblicati (su raccolte o riviste) non hai mai pubblicato un’antologia personale. Perché? E cosa ne pensi delle case editrici “a contributo” che sembrano essere nate a migliaia in Italia?
[NV]: Perché nessuno me l’ha mai chiesto. Ma perché qualcuno te lo chieda, devi aver già pubblicato, è un po’ come il gatto che vuole mordersi la coda. E poi un’antologia, come presupposto, ha sempre un filo conduttore e io, finora, ho quasi sempre scritto per appuntamenti mirati, il che è significato scrivere fantascienza, fantasy, orrore, giallo e pure qualcosa mainstream; e cioè in un modo disordinato. Spero per il futuro prossimo. Anzi a questo proposito lancio un sasso: perché no un’antologia di racconti col mio maresciallo dei carabinieri? Alcuni racconti sono già scritti (e finalisti al premio Esperienze in Giallo) e altri se ne potrebbero scrivere. In fondo ho la presunzione (lungi da me…!) che il mio personaggio possa ancora dire molto e che l’ambientazione (fine anni ’60 e una Sardegna crogiuolo e simbolo dei cambiamenti) possa interessare a molta gente (non soltanto della mia età). Per quanto riguarda la seconda parte della tua domanda, io credo che si debba distinguere tra editori e stampatori: ai primi ci si rivolge se si vuole “pubblicare”, ai secondi se si vuole “stampare”. Io, finora, ho mirato a “pubblicare”.

Sa Morte Secada - Nicola Verde [LTN]: Puoi spiegare ai nostri aspiranti scrittori quali sono stati i passi “preliminari” che hanno portato alla pubblicazione del tuo romanzo? Come è nata questa collaborazione editoriale con la Dario Flaccovio? Tutto merito della tua vittoria al Lama e Trama del 2003?
[NV]: Oji, oji… dovrei sintetizzare in poche righe venticinque anni di gavetta. Venticinque anni! Per chiunque l’arco di una carriera, per me quello di una … gavetta! Ma io sono un Oblomov, l’ho già detto: pieno di buone intenzioni (con le quali si lastricano le vie dell’inferno) e paladino dell’inazione; momenti di pausa, più o meno lunghi, si sono alternati a momenti di attività, più o meno corti. Sarebbe una storia troppo lunga. Ho scritto un buon numero di racconti, ho avuto consensi, al “passo lungo” del romanzo ci sono arrivato con fatica, eppure non mi decidevo a darlo in lettura (Sa morte secada, in verità, è il penultimo tentativo di alcuni altri), l’ho fatto soltanto dopo mille ripensamenti. Neppure mi decidevo a darlo al “Grande Bernardi”, alla premiazione del Lama e trama sebbene durante tutto il tempo (del viaggio che mi ha portato a Maniago e della premiazione) continuassi a ripetermi: “Devo parlargliene! Devo parlargliene! DEVO PARLARGLIENE ASSOLUTAMENTE!”. Quella sera non gliene parlai. La mattina dopo lo incontrai di nuovo alla stazione: aspettava il mio stesso treno. Eppure ancora non mi decidevo a farlo; soltanto dopo un po’, dopo essermi guardato riflesso allo specchio del finestrino e essermi chiesto se, con quel secondo incontro, il destino non mi stesse spingendo a calci, mi sono deciso. “Adesso o mai più”. Così gliene ho parlato. E  Bernardi s’è rivelato quello che è: un grande. Mi ha ascoltato e mi ha invitato a mandarglielo per posta elettronica (il “mattoncino” di oltre 210 pagine non me lo ero portato dietro). Più o meno un mese dopo ho ricevuto la sua risposta. E il suo entusiasmo è stato il mio. Mi ha accompagnato per mano dalla Dario Flaccovio editore, e lì è nato un altro bellissimo rapporto: quello con Raffaella Catalano (a proposito, ho letto la sua intervista ospitata su questo stesso sito: grazie, Raffaella, finirai col farmi montare la testa!). Tutto qua. Non so se la mia risposta, benché assai lunga, abbia soddisfatto appieno la tua domanda, ma tant’è!

[LTN]: Lama e Trama a parte, in passato hai partecipato a numerosissimi concorsi letterari di prestigio, spesso imponendoti al primo posto. Cosa ti ha spinto a partecipare? Soddisfazione a parte, concretamente cosa ti hanno portato queste vittorie? Quali sono i concorsi letterari a cui un aspirante scrittore “di genere” dovrebbe partecipare?
[NV]: Credo basti una risposta sola: la pubblicazione, che poi è il fine di chiunque scriva (non credo molto a chi dice di scrivere soltanto per se stesso). E i premi, quelli seri naturalmente, sono certamente un mezzo importante. Danno modo di conoscere e farsi conoscere. Una palestra per la propria formazione, misurarsi con gli altri aiuta a migliorarsi. Molti possono essere gli “indicatori” di serietà di un premio, certamente lo sono: i promotori, la composizione della giuria (sarebbe bene che fosse sempre nota), la pubblicazione dei finalisti senza oneri da parte di quest’ultimi. Alcuni nomi di premi per i racconti: Lama e trama (naturalmente), Esperienze in giallo, Lovecraft, Alien, Giallo estate Mondadori, Arezzo Wave, e poi quelli legati all’Italcon. E, per fortuna, quelli proposti da alcuni siti come il vostro: fanno affilare le unghie. Per i romanzi: Calvino, Junturas, Premio Tedeschi. Ma cercando, cercando (magari nel sito Alice.it) se ne possono trovare degli altri.

[LTN]: Ti sei dedicato al fantasy, alla fantascienza, e all’horror, ma la tua produzione più recente è dedicata al “giallo”. E’ un’evoluzione istintiva o guidata da scelte editoriali? In un mercato italiano “impermeabile” alla produzione nostrana di sf, fantasy, e horror, ha ancora senso per un aspirante scrittore dedicarsi a questi generi?
[NV]: Né evoluzione né scelte editoriali, a meno che nella scelta editoriale non si includa il fatto di aver partecipato a premi di uno specifico “genere”, o la richiesta che a volte mi è stata fatta di far parte di “certe” antologie. Finora ho scritto in modo abbastanza “disordinato”. Per il futuro prossimo conto di scrivere ancora gialli perché hanno avuto una loro “fortuna”, mi sembra di essere riuscito, in questo ambito, a imporre una “mia voce”; ma non è detto che non scriverò ancora di fantascienza o di horror o di altro (che Dio mi assista, e, soprattutto, assista chi avrà la …ventura di leggermi) anche in questi ambiti mi piacerebbe imporre “una mia voce” (anche se qualcuno mi ha detto di esserci già riuscito in qualche occasione. E’ Consolante, ma qualche racconto non basta). Quanto all’impermeabilità del mercato italiano alla produzione nostrana, non vorrei rivangare una polemica ormai annosa, ma io credo che le responsabilità vadano equamente divise tra editori e autori. Ai primi va imputata la mancanza di coraggio, soltanto nella “ricerca” può esserci futuro, non vale la scusa che il “mercato rifiuta”, il mercato va guidato e l’obbligo ce l’hanno proprio loro, gli editori e i curatori, a costo di sacrifici e assumendo i rischi: il tempo, sono certo, li ripagherebbe. La grande Flannery O’ Connor diceva più o meno questo: “I gusti del lettore non vanno consultati: vanno formati”. Quanta verità in queste sue parole! Quanti insegnamenti dovrebbero trarre coloro che hanno responsabilità “nell’etica culturale” di una società, quelli che fanno i programmi televisivi, per esempio. E poi quel “certo” atteggiamento che è nel succo di un modo di dire passato alla storia e imputato alla coppia Fruttero e Lucentini a proposito della fantascienza (ma che per editori e curatori è valso per molti anni per  tutta la letteratura di genere italiana): “Un disco volante non potrebbe mai atterrare a Lucca”. Provincialismo! Fortunatamente segni, anche efficaci, di un’inversione di tendenza si colgono, sebbene per ora limitati al giallo e al mainstream. Me per tutto quanto il resto? Ho parlato di condivisione di colpe, e infatti anche ai secondi (agli autori) imputo la responsabilità di una mancanza di “ricerca”. La letteratura (tutta) ha bisogno di essere continuamente rinvigorita, occorre trovare i modi. Ne suggerisco uno: la “contaminazione”. Non è una parola magica: contaminazione dei generi. Non l’ho inventata io, ne fa cenno anche Alda Teodorani nella sua bella prefazione a “Duri a morire” sempre della Dario Flaccovio. Succede anche nelle razze: nel rimescolamento il genoma ci guadagna! Un esempio lampante di quello che voglio dire sta nella produzione di Valerio Evangelisti. Il senso, perciò, di scrivere fantascienza o horror rimarrebbe nella misura in cui un autore ha intenzione di non limitarsi a una pedissequa imitazione. I “Grandi” come meta da raggiungere, ma con spirito innovativo e non semplicemente copiativo. Quando si lavora con serietà e intelligenza (senza troppo piangersi addosso) sono convinto che i risultati prima o poi arrivino.

[LTN]: Hai frequentato diversi corsi di scrittura creativa. Cosa può effettivamente imparare un aspirante scrittore da questi corsi? E come distinguere un corso “serio” da uno di bassa qualità?
[NV]: Si impara innanzi tutto a confrontarsi. E’ bello parlare del tuo “interesse” con altri che lo condividono. Può accadere di parlarsi addosso, di parlare per sé e di sé, ma alla fine qualcosa rimane. Si è costretti a leggere cose altrui, e il più delle volte roba scadente, così ti chiedi perché è scadente e cerchi di evitare di fare gli stessi errori: tu impari dagli altri e gli altri imparano da te. Un buon maestro dovrebbe saper guidare tutto questo. E qui sta la differenza tra un corso “serio” e uno di “bassa qualità”: nel primo non vengono imposte pretese regole. Il buon maestro prende per mano l’allievo e lo guida negli itinerari che gli sono propri ma che per incapacità ancora non gli riesce di riconoscere: lo aiuta, insomma, e lo stimola a tirare fuori ciò che già ha dentro. Una via di mezzo fra scrittura e letteratura, filosofia e psicologia. Mica facile!

[LTN]: Quando hai cominciato a dedicarti seriamente alla scrittura? Quali sono stati i consigli più utili che tu abbia mai ricevuto riguardo allo scrivere? Cosa ti senti di consigliare agli aspiranti scrittori che vogliono cimentarsi col mondo editoriale?
[NV]: Non credo ci sia stato un momento “particolare” in cui ho cominciato a dedicarmi seriamente alla scrittura, l’ho fatto ogni volta che mi sono dedicato a essa, a prescindere dalla qualità che poi sono stato in grado di produrre in quel momento. L’ho fatto sempre lungo i miei venticinque anni di gavetta. (E a questo proposito: siamo davvero sicuri che io sia la persona più giusta per dare consigli e suggerimenti?). E’ il primo consiglio che mi sento di dare a chi voglia avvicinarsi a quest’arte: prendersi sempre seriamente e prendere sempre sul serio la scrittura! E poi quelli soliti: leggere, leggere e ancora leggere. Di tutto. Nello specifico, anche quei manuali che pretendono di dettare regole: masticare, ingoiare, digerire e … espellere! Tutto nutre e dà energia, purché il … ciclo vitale sia completo. Se vuoi invece titoli che dicono sul “mistero della scrittura” e che possono dare consigli meglio che non io, eccone qualcuno: “Lezioni americane” di Calvino (oh, quanta verità sulla leggerezza); “I libri degli altri” sempre di Calvino (quanti insegnamenti sulla “pazienza” in quelle lettere); “Nel territorio del diavolo” della Flannery O’ Connor (sull’accostamento “religioso” alla scrittura; ma anche sulla sua concretezza, né verità né filosofie da spacciare); “Il mestiere dello scrittore” di John Gardner, maestro di Carver (sull’onestà della scrittura– a questo proposito è bene leggersi anche quella bellissima antologia “Fiesta mobile” di Hemingway -). Altri suggerimenti? Scrivere, scrivere e ancora scrivere, fosse anche un solo rigo, purché ben meditato (non ricordo se sia stato Flaubert o Proust a dire che impiegava una mattina per mettere una virgola e un pomeriggio per toglierla). La scrittura ha bisogno di allenamenti quotidiani. Perciò disciplina. Sepulveda (buon ultimo) ha detto che la disciplina costituisce il 90% della scrittura. Vero. Il resto, dico io, è costituito da creatività, curiosità, edonismo (per sé e per gli altri, che sottintende pretenziosità e umiltà, coraggio e codardia, tutto e il contrario di tutto), sete di conoscenza, pazienza, puntigliosità eccetera eccetera. Tutto questo, naturalmente, vale per chi voglia cimentarsi nel mondo dell’editoria, per chi si accontenta di cimentarsi in quello degli stampatori, basta mettere mano … al portafoglio. Altri consigli? Rivolgersi esclusivamente a quelle case editrici che potrebbero essere interessate a ciò che si è prodotto (è inutile, per esempio, rivolgersi alla Sellerio proponendole un romanzo di Space opera, non per il romanzo in sé, ma perché la Sellerio – almeno fino a ora – non pubblica questo genere di cose). E poi saper accettare critiche e consigli, senza inalberamenti, con umiltà e serenità. Chiarezza e semplicità nella scrittura (soltanto con la riscrittura, paziente, molte volte si riesce a chiarire persino a se stessi ciò che si vorrebbe dire). E poi … e poi … ma cos’è, un manuale sulla scrittura?

[LTN]: Quanto conta “la famiglia” per uno scrittore? E cosa sacrifichi del tuo essere padre per “stare dietro” la passione della scrittura?
[NV]: Per uno come me la famiglia ha contato e conta moltissimo, mi ha dato l’equilibrio e la serenità necessari. Ma non è detto che per tutti sia così: c’è chi nell’equilibrio e nella serenità non vede che appiattimento. I ruoli di padre (o di madre) e di marito (o di moglie) sono difficilmente conciliabili con la scrittura, forse è anche per questo che in questi miei primi cinquant’anni non ho prodotto molto; confido nei miei prossimi cinquanta. Finora ho dato priorità a quei ruoli. A ogni modo nella dedica dico: “A mia moglie Raimonda e a mio figlio Claudio che hanno saputo sopportare con pazienza e amore le mie lunghe “assenze”.  Credi che basterà?

[LTN]: Un tuo “errore letterario” che non avresti mai voluto commettere…
[NV]: Nessun rimpianto, nessun ripudio, ci mancherebbe! Tutto è servito per la mia formazione. Tutto l’ho scritto al meglio di quanto potevo in quel momento, l’ho già detto. Tutto fa parte del mio percorso, anche quelle cose che adesso non darei mai in lettura.

[LTN]: Ringraziamenti particolari?
[NV]: Oh, sì, a un mucchio di gente, e sebbene per il dettaglio rimandi al mio libro, qui vorrei citare almeno alcuni nomi: Gianfranco De Turris, mio nume tutelare, il quale ha fatto sì che una flebile “fiammella sacra” divampasse in  un “fuoco sacro”; Luigi Bernardi, deus ex machina : lui sa cosa intendo quando dico che a volte il destino sembra spingere a calci (ma adesso lo sa anche chi avrà avuto la bontà e la pazienza di leggere questa mia intervista); Raffaella Catalano, che già molto sa sulle insicurezze degli autori; Errico Passaro, che ha saputo ravvivare il “sacro fuoco”; Dario Flaccovio editore: che il dio degli autori gliene renda merito! Mia moglie, Raimonda, che non soltanto mi ha sopportato, ma che ha fattivamente contribuito con le sue “traduzioni”, e perché amando lei, ho imparato ad amare la Sardegna, e adesso mi sento sardo! Completamente. Una specie di catarsi. Grazie, grazie a tutti di cuore.

[LTN]: Ringraziamo Nicola per la sua disponibilità...

Intervista a Nicola Verde
Intervista realizzata da: Alessio Valsecchi
Pubblicata il 26/05/2004

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