L'Uomo Selvatico: storia, folclore e psicologia

In tutte le culture del mondo incontriamo la figura del mezzo-uomo-mezzo-scimmia: inItalia le tradizioni popolari narrano dell'Uomo Selvatico...

L'Uomo Selvatico: storia, folclore e psicologia Dal Bigfoot del Missouri all’Almas della regione caucasica, un po’ in tutte le culture del mondo incontriamo la figura del criptide "mezzo uomo mezzo scimmia". In Italia – e in particolar modo nelle regioni alpine e appenniniche – le tradizioni popolari narrano l’esistenza dell’Uomo Selvatico.

Dall’apparenza animalesca, robusto, peloso, con una lunga barba e a volte esibendo una folta criniera, abita areali montagnosi o boschivi, lontano dalle zone abitate dall’uomo, seppur i contatti fra questi due siano stati nel tempo fonte di innumerevoli racconti e tradizioni folkloristiche.

Viene chiamato diversamente a seconda della regione. Solo per fare alcuni esempi: in Piemonte è conosciuto come Òm searvj, nel trentino come l’Om pelos, nel valtellinese è invece l’Homo salvadego.

Alle origini del mito possiamo identificare Pan, divinità ellenica, mezzo uomo e mezzo caprone, che incarnava alcune delle caratteristiche dell’Uomo Selvaggio (il cui viso viene a volte descritto con sembianze caprine).

Promiscui, incontrollabili, in alcuni casi pericolosi, entrambi sono associati con gli istinti più basilari della natura umana. Da una prospettiva junghiana, l’Uomo Selvaggio incarna l’Ombra, gli aspetti spesso oppressi dallo stato sociale che devono comunque essere elaborati se si vuole ottenere la realizzazione dell’individuo.

L’Uomo Selvaggio è quindi colui che è stato espulso dalla società, colui che non è conforme alle norme sociali, che per questo sceglie di allontanarsi – o in alcuni casi viene cacciato – dalla comunità conformista.

Un disegno dell'Uomo SelvaticoLe similitudini con Pan continuano, in quanto entrambi pur essendo spesso descritti come "selvatici" sono responsabili di aver insegnato all’uomo molte delle arti. L’Uomo Selvatico insegna infatti all’uomo l’arte casearia, mostrandogli come fare il burro, il formaggio, il calcio e la ricotta. Era anche maestro dell’arte della caccia, bravo nel far pascolare le capre e curarle dai loro malanni, e sapeva pure lavorare il ferro.
In un racconto l’Uomo Selvatico, lasciato andare via troppo presto, indirizzandosi agli uomini, dice: «Se mi ci tenevate anche un po’ vi c’insegnavo a levare anche l’olio.» Troppo spesso infatti la gente, accecata dalla propria ignoranza, lo deride. Per questo è lui a decidere di allontanarsi, non prima però di ammonire: «Se tu mi avessi chiesto ancora qualcosa, io ti avrei detto di più».

Forte e robusto, ci sono poche cose che l’Uomo Selvatico teme. Una di queste, però, è il vento. Il Val d’Aosta, quando c’era vento, «si nascondeva e nessuno sapeva dove fosse andato a rintanarsi».

Gli strani comportamenti non finiscono qua.
L’Uomo Selvatico era infatti solito piangere nel bel tempo e ridere nella pioggia.

Nell’Orlando innamorato, Matteo Maria Boiardo scrive:
E dicesi ch’egli ha cotal natura, Che sempre piange, quando è il cel sereno, Perché egli ha del mal tempo alor paura, E che ‘l caldo del sol li vegna meno; Ma quando pioggia e vento il cel saetta, Alor sta lieto, ché ‘l bon tempo aspetta.

L’Uomo Selvaggio è quindi colui che anticipa ciò che accadrà – il maltempo quando splende il sole e viceversa il bel tempo quanto c’è tempesta – insegnandoci che è importante mantenere sempre una certa saggezza, o equilibrio, sia nei momenti favorevoli che in quelli più difficili, dato che tutto è in costante cambiamento: a uno stato specifico delle cose – bello o brutto che sia – dovrà sempre susseguirsi quello opposto.

Per questo è simbolo di speranza nella disperazione, anche quella dell’amante non corrisposto.

Il poeta Chiaro Davanzati scriveva:
«Fé com’omo selvaggio veramente / quand’ha rio tempo, forza lo cantare / co lo sperare / ca ‘l buon venga, ch’abassi sua doglianza; Con sì dolce parlar e con un riso/da far innamorare un uom selvaggio.»

Un disegno dell'Uomo SelvaticoPer quanto L’Uomo Selvaggio sia oggi considerato solo alla stregua di creatura mitologica, nella tradizione e nelle usanze è sempre stato ritenuto, al contrario, del tutto reale. Veniva coltivato un certo rispetto nei suoi confronti. Durante la raccolta dei frutti, per esempio, si usava lasciare di proposito del nutrimento che gli sarebbe stato utile durante il difficile periodo invernale.

Nelle Alpi, l’Uomo Selvaggio era a volte feroce e crudele. Ma erano spesso le caratteristiche opposte a definirlo. Esso era nella maggior parte dei casi gentile, timido, schivo.

Quella dell’Uomo Selvaggio è un’altra ragione, un altro modo d’essere. In questa figura ambivalente si mischia la pazzia dell’escluso, dell’outsider di Albert Camus che non è parte della società che lo circonda, e la saggezza di colui che essendo diverso conosce cose diverse. I parallelismi con la divinità Pan qui si estendono fino a rievocare anche Prometeo e la sua azione educativa nei confronti dell’uomo.

L’Uomo Selvaggio porta la conoscenza, ma è del tutto indifferente nei confronti del denaro e dei beni materiali, simboli della società umana.

Altro parallelismo si può tracciare con la divinità assira Enkidu che: "«non conosce né la gente né il paese, è vestito d’un abito come Sumuqan. / Assieme alle gazzelle egli mangia le erbe, / assieme al bestiame accorre ai luoghi di abbeverata, / assieme al brulicame si compiace dell’acqua.»"

Descrizioni calzanti con quelle dell’Uomo Selvaggio le troviamo anche nella Bibbia:
Queste parole erano ancora sulle labbra del re, quando una voce venne dal cielo: «A te io parlo, re Nabucodònosor: il regno ti è tolto! Sarai cacciato dal consorzio umano e la tua dimora sarà con le bestie della terra; ti pascerai d’erba come i buoi e passeranno sette tempi su di te, finché tu riconosca che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo dà a chi vuole». In quel momento stesso si adempì la parola sopra Nabucodònosor. Egli fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo: il pelo gli crebbe come le penne alle aquile e le unghie come agli uccelli. (Daniele 4, 28-40)

Con l’avvento del cristianesimo, così come per altre figure di derivazione pagana, anche l’Uomo Selvatico assunse una connotazione negativa. Colui che prima era simbolo di virtù e naturalezza, ora agli occhi della Chiesa incarnava al contrario i vizi umani. Nel Medioevo divenne quindi un monito a non allontanarsi dalla civiltà.

L’illuminismo riscatta in parte la figura dell’Uomo Selvaggio, facendolo riecheggiare con quella del filosofo che riconosce la trivialità della vita sociale e di conseguenza preferisce la vita semplice. Diogene è l’esempio perfetto di questo genere di filosofo.

Plutarco in Vite parallele narra:
"Un concilio di Elleni, convocato all’Istmo, votò di compiere una spedizione contro i Persiani insieme ad Alessandro e lo nominò comandante supremo. Molti uomini politici e filosofi andarono a incontrarlo e a congratularsi con lui; sperò che anche Diogene di Sinope avrebbe fatto altrettanto, dal momento che viveva a Corinto. Invece il filosofo non faceva il minimo conto di Alessandro, standosene tranquillo nel sobborgo di Craneo; e Alessandro andò da Diogene. Lo trovò sdraiato al sole. Diogene, all’udire tanta gente che veniva verso di lui, si sollevò un poco da terra e guardò in volto Alessandro; questi lo salutò affettuosamente e gli domandò se aveva bisogno di qualcosa, che potesse fare per lui. «Scòstati un poco dal sole» rispose il filosofo.
Dicono che Alessandro fu molto colpito e ammirato dalla fierezza e dalla grandezza di quell’uomo. Al ripartire, mentre intorno a lui la gente derideva Diogene e se ne faceva beffe, egli disse: «Io invece se non fossi Alessandro vorrei essere Diogene»."


L’Uomo Selvatico è fuori dalla società – e in alcuni casi opposto a essa – perché come Diogene detiene una forma di conoscenza e saggezza che altri ignorano.

Malgrado ciò, alcuni aspetti negativi che furono affibbiati all’Uomo Selvatico durante il Medioevo gli sono rimasti attaccati. In certi casi, infatti, la sua figura sfocia in quella dell’Orco, come ad esempio nelle Fiabe italiane di Italo Calvino.

In conclusione, vediamo che l’Uomo Selvaggio è simbolo degli aspetti più naturali dell’animo umano, quelli che trascendono la domesticazione delle norme sociali. Per questo, può essere considerato sia come modello positivo che negativo, a seconda dei valori promossi da un determinato agente sociale o religioso.

In un mondo dove l’alienazione urbana è in costante aumento, l’Uomo Selvaggio può ricordarci quei valori innati che sono inscindibili dalla libertà dell’essere umano.


Fonti:
http://bibliotopia.altervista.org/zoologia/uomoselvaticoit.htm
http://www.duenote.it/Miti%20e%20Misteri/UOMO%20SELVATICO.htm
http://politicainrete.it/forum/religioni-filosofia-e-spiritualita/esoterismo-e-tradizione/63996-breve-elogio-delluomo-selvatico-2.html
C.G. Trocchi, Le più belle leggende popolari italiane: i racconti più antichi e nascosti della nostra tradizione culturale,(Newton & Copton editori, 2002)


L'Uomo Selvatico: storia, folclore e psicologia
Articolo scritto da: Matteo Servili
Pubblicato il 25/02/2013

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