Introduzione al fenomeno dell'omicidio seriale (pagina 3)

Serial Killer Organizzati

Pianificano con cura i delitti, scegliendo le vittime e il luogo del delitto. Utilizzano un'arma propria e non lasciano tracce. Sono individui apparentemente normali, socialmente inseriti, spesso coniugati e ciò rende molto difficile individuarli. Inoltre siccome posseggono mediamente un alto quoziente intellettivo mettono a punto tutta una serie di accorgimenti che rendono difficile alla polizia la loro individuazione e cattura.

Per esempio riescono a uccidere diverse persone in luoghi anche molto distanti fra loro, stanno attenti a non lasciare tracce sul luogo del delitto, cambiano volutamente Modus Operandi per confondere gli inquirenti, seguono attentamente lo svolgersi delle ricerche e spesso anticipano le mosse della polizia.

Inoltre sono gratificati dall'attenzione data loro dai mass-media perché ciò rafforza l'identità negativa che si stanno costruendo e spesso sfidano le autorità inviando messaggi denigratori di sfida o rivendicando con qualche macabro particolare la paternità dei propri misfatti. Infine sono capaci di intendere e volere, pur presentando disturbi della personalità, di carattere sadico e sessuale.

Serial Killer Disorganizzati

I serial killer disorganizzati uccidono invece perché colti da un impulso improvviso, senza scegliere la vittima e senza curarsi di lasciare tracce, utilizzando talvolta un'arma trovata sul posto.

Il luogo del delitto si trova spesso nei pressi della loro abitazione e si presenta come disordinato, lasciato così com'è.

I delitti sono efferati e a volte sono costellati da atti sessuali e di cannibalismo verso la vittima.

Tali assassini seriali sono mentalmente malati, per lo più affetti da psicosi. Infatti c'è da dire che molti di queste sequele di violenza sarebbero potute essere evitate se i malati fossero stati adeguatamente curati e monitorati da uno specialista soprattutto nelle fasi a sfondo delirante-persecutorio.

Infatti il cosiddetto "raptus" dello schizofrenico sembra non esistere, dato che l'atto violento di quest'ultimo avviene dopo tutto un crescendo di segnali, di sintomi sempre più gravi e frequenti cui non si è posto tampone con un aiuto farmacologico o psichiatrico.

Serial Killer: motivazioni

Considerando più specificamente le tipologie di assassino seriale si possono distinguere a seconda della motivazione che li spinge a uccidere tre categorie: gli psicotici, gli edonisti, i missionari.

Gli Psicotici (schizofrenici, paranoici) uccidono perché guidati da allucinazioni uditive (voci imperative) e da deliri mistici o di grandezza.

Gli Edonisti, che uccidono per il "gusto di uccidere", per l'emozione e il piacere che provocano la soppressione di un essere umano, per il senso di onnipotenza che deriva dal poter disporre totalmente della vita di un uomo. Una sottocategoria è costituita dai "Lust-Killer", ossia "assassini per libidine", per i quali l'omicidio riveste il valore di gratificazione sessuale, perché per raggiungere l'orgasmo devono uccidere.

I Missionari, che uccidono sulla base di "motivazioni morali": le vittime sono prostitute, omosessuali, neri, barboni, drogati, ossia quelle categorie di persone che essi considerano la "feccia" da cui ripulire il mondo.

Serial Killer: impulsività comportamentale

Infine a proposito del comportamento violento del serial killer vale la pena ricordare la considerazione dello psicoanalista Frank M. Lachmann. Secondo Lachmann vari fattori, storici, ambientali, genetici e psicologici, tra cui anche gli abusi e le violenze subite, porterebbero il futuro serial killer a sviluppare un'aggressività di tipo "eruttivo, vulcanico". Un'aggressività cioè che invece di essere una reazione comportamentale a un ambiente che non è in grado di soddisfare i bisogni (come nelle persone normali) e quindi "reattiva", eromperebbe senza bisogno di nessuna sollecitazione dal contesto in cui è immersa la persona.

Il serial killer spesso non è consapevole di questa impulsività comportamentale, ed è per questo forse che conducono una doppia vita, una magari banale e anonima ed un'altra drammatica che li porta ad uccidere.

Nel caso di violenze subite nell'infanzia da un bambino, Storolow (un'altro psicoanalista) afferma che dopo averne subito la conseguente reazione emotiva dolorosa, il bambino desidera intensamente da parte di qualcuno una risposta sintonizzata che possa modulare, contenere, migliorare il suo stato affettivo reattivo e doloroso.

Quando invece (come nel caso dei serial killer) il dolore affettivo del bambino incontra una consistente mancanza di sintonia, allora egli percepisce che quei sentimenti reattivi dolorosi non sono bene accolti da chi si occupa di lui, e devono essere sequestrati in modo difensivo per poter sostenere il legame di cui egli ha necessità. Questo affetto abortito diventa fonte di conflitto e vulnerabilità agli stati traumatici e dura tutta la vita. Inoltre spesso il bambino acquisisce la convinzione inconscia che gli stati affettivi dolorosi e terrorizzanti sono le manifestazioni di una sua tara disgustosa, oppure di una sua cattiveria interiore intrinseca.

Si viene così a formare internamente una identità in negativo, un Sé cattivo e tutte le volte che l'individuo ritiene di non essere stato compreso, "contenuto" dall'altro, reagirà con rabbia e violenza per aver visti ancora una volta frustrati i suoi bisogni di rassicurazione e di sintonizzazione emotiva.

Dott. Sergio Antonini
Roma, 03 agosto 2001.

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Articolo scritto da:
Dr. Sergio Antonini

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