Caronte, il traghettatore delle anime dei morti

Nella religione greca e romana Caronte era il traghettatore dell'Ade: trasportava i nuovi morti da una riva all'altra del fiume Acheronte

Caronte, il traghettatore delle anime dei morti La morte. Chi non ne ha paura?
Mentre gli occhi si chiudono e si smette di respirare, mentre la coscienza invoca un altro po' di tempo, è la paura che ci costringe a sperare che non sia finita, che ci sia qualcosa. Oltre.

Non si può non essere attraversati da un brivido, pensando alla propria anima sola e nuda, sballottata nel buio. Ecco, allora, che occorre credere che nel passaggio dal presente appena concluso al futuro incerto nessuno rimarrà indietro, indeciso tra la vita terrena e l'aldilà e che ognuno, nel bene e nel male, troverà la sua collocazione.

Ogni religione ha i suoi psicopompi (dal greco ψυχοπομπός che letteralmente significa la "guida delle anime"), il cui compito è fornire un passaggio sicuro alla nostra parte immortale verso ciò che l'attende.

Nella mitologia greca, Caronte o Kharon (dal greco Χάρων, "ferocia illuminata") è il traghettatore dell'Ade. Sulla sua barca trasporta le anime attraverso l'Acheronte, il fiume che divide il mondo dei vivi da quello dei morti.

Figlio di Erebo (personificazione della notte nel mondo infernale) e della sorella Notte (personificazione della notte terrestre), il nocchiero è disposto ad accogliere sulla sua barca solo le anime che hanno un tributo da rendergli: da qui l'usanza (anche questa trasversale a molte religioni) di lasciare, nel ricomporre il corpo del defunto, un obolo sotto la lingua o due monete appoggiate sugli occhi.
Per le anime che non possano pagare il tributo solo un Limbo eterno e una via di mezzo tra la vita e la non-vita.

Per i greci e i romani questo eterno vagare senza meta era la peggiore tra le sorti e un corpo tumulato senza esequie era senz'altro destinato a un futuro di eterna afflizione.
Ciò spiega la scena straziante narrata nell'Iliade in cui l'anziano re Priamo implora Achille di restituirgli il corpo del figlio Ettore al fine di garantirgli un'adeguata sepoltura.

Le rappresentazioni di Caronte nell'arte della Grecia antica sono in molti casi coincidenti. Dai vasi funerari attici dei secoli quinto e quarto a.C. al vasellame più minuto di epoca successiva, in queste manifestazioni appare ruvido: un marinaio ateniese, trasandato, vestito di rosso-bruno, con un remo nella mano destra e la sinistra protesa a ricevere il defunto.

Le due opere letterarie più significative in cui si incontra la figura di Caronte sono l'Eneide di Virgilio e la Divina Commedia di Dante Alighieri.

Secondo Virgilio, Caronte è un vecchio barbuto ed emaciato con "gli occhi di fiamma" che spinge la barca con una pertica.
In Dante, invece, assume una connotazione meno neutrale e più "schierata". Il Caronte dantesco, infatti, sgrida le anime ("Guai a voi, anime prave!", Canto III dell'Inferno, v. 84) fino ad arrivare a picchiare con un remo coloro che si attardano sulla riva ("...loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s’adagia" Canto III dell'Inferno, v. 110-111”).

Ci accorgiamo, allora, che Caronte è mutevole nella sua rappresentazione iconografica: da semplice traghettatore, diventa, nell'accezione cristiana di cui il Poema è intriso, un essere furioso che per prima cosa odia sé stesso e che, di riflesso, odia coloro che accompagna, destinati ad avere una collocazione nel grande disegno divino.

Caratteristica comune sono, tuttavia, gli occhi: quelli di Caronte sono sempre feroci, lampeggianti, febbrili, di un colore tra il blu e il grigio (qualcuno sostiene siano gli specchi del suo compito: né chiari, figli della bellezza di Dio, né neri, rappresentativi del colore della Morte e del Diavolo).

Ci si potrebbe chiedere se Caronte abbia mai traghettato dei vivi.
In effetti alcuni sono riusciti a passare oltre il fiume e, in alcuni casi, persino a tornare.
Si tratta di eroi (Enea, Teseo, Eracle e Odisseo), divinità (Persefone), dell'indovino Orfeo, della Sibilla Cumana Deifobe, di Psiche e di due insospettabili: San Paolo e lo stesso Dante Alighieri.

Il primo avrebbe visitato il paradiso e l'inferno, guidato da Gesù, e raccontato il proprio viaggio nell'Apocalisse di Paolo Greca (metà III° secolo) con uno scritto che sarebbe stato poi considerato apocrifo.

Dante, invece, sarebbe stato traghettato nel corso del suo viaggio attraverso i regni ultraterreni, descritti nel Poema. A questo riguardo, tuttavia, non si ha la certezza che Dante sia proprio salito sull'imbarcazione di Caronte. Il poeta, infatti, proprio innanzi la riva dell'Acheronte sviene ("e caddi come l’uom cui sonno piglia." Canto III, v 136) terrorizzato da un terremoto. Il narratore si sveglierà dall'altra parte del fiume. In questo caso l'attraversamento avviene per volere diretto di Dio: solo perché Lui vuole Dante può contravvenire a delle regole ferree e immutabili nei secoli.

In chiave moderna, il noto psichiatra e psicoanalista Carl Gustav Jung ha riformulato il concetto di psicopompo e la figura mitologica Caronte. Il nocchiero di anime diviene, addirittura, l’Animus (archetipo del maschile nella psiche della donna, contrapposto all'Anima archetipo del femminile nell'uomo), figura centrale della sue teorie psicanalitiche, e mediatore tra conscio e inconscio.

In molte culture, lo sciamano svolge anche il ruolo di Caronte il quale, tuttavia, non solo accompagna l'anima dei morti, ma anche viceversa: per favorire la nascita, per introdurre l'anima del neonato al mondo. Non più, quindi una figura che spinge le anime a colpi di remo per lasciare il corpo mortale, ma qualcuno che aiuta la vita, invogliando l'anima raminga a indossare un nuovo corpo.


"Caronte custodisce queste acque e il fiume e, orrendo nocchiero, a cui una larga canizie invade il mento, si sbarrano gli occhi di fiamma, sordido pende dagli omeri il mantello annodato." (Eneide, Libro VI, vv. 298-301)

"E 'l duca lui: Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare".

(La Divina Commedia, Inferno, Canto III, vv. 94-96)

"Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s’adagia"

(La Divina Commedia, Inferno, Canto III, vv. 109-111)



Caronte, il traghettatore delle anime dei morti
Articolo scritto da: Antonino Alessandro
Pubblicato il 03/12/2010

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