Recensione
Non aprite quella porta: l'inizio

Non aprite quella porta: l'inizio: visiona la scheda del film Repetita ad nauseam: il genere horror viene disprezzato dai critici mainstream non per loro puzza sotto il naso bensì perché il 90% della sua produzione è di livello infimo. I fans vi dicono che bisogna saper apprezzare meccanismi e contenuti che afferri solo se diventi un fan nerd come loro: non credeteci o finirete a vedere quotidiane montagne di spazzatura come il sottoscritto.

Alcuni fra voi, perlomeno quelli che girano intorno ai 30 anni, ricorderanno sicuramente i fumetti Marvel editi in Italia dalla Corno. Al tempo Stan Lee e i vari sceneggiatori alle sue dipendenze avevo un modo infallibile per risolvere il problema della genesi del mostro. Vi faccio due esempi: L’Uomo Sabbia non era altri che un criminale sfigato che incappò in un esperimento nucleare proprio mentre stava sulla spiaggia mentre Electro era un operaio dell’Enel (o come la chiamano loro nella land of the free…) che mentre stava riparando una linea elettrica venne colpito da un fulmine.
Afferrato il concetto? Cascavate in una betoniera radioattiva e immancabilmente diventavate l’Uomo Cemento e così via. Solo in seguito arrivarono i geni mutanti, i costumi simbionti, gli esperimenti alieni e tutto il resto. Per fortuna che Peter Parker non è stato morso da un pangolino radioattivo…

Ecco, questo è il feeling che si ricava dai primi minuti di questo tremendo Non aprite quella porta: l'inizio (The Texas Chainsaw Massacre: The Beginning): dentro un macello che sfida ogni possibile legge sanitaria una donna che più grassa e brutta non si può sgrava direttamente sul lavoro il piccolo Thomas also known as Leatherface/Faccia di cuoio. Oddio, più che sgravare il neonato le viene quasi strappato di grembo e quindi buttato nella spazzatura. Nulla vogliamo sapere del padre oltre al fatto che ha avuto comunque un coraggio extraumano a donare il suo seme dentro quel recipiente…

Immaginate un po'? Un'altra tipa, di nuovo brutta come la fame che attanaglia lei e la famiglia, non contenta di non avere di che mangiare, raccatta l’infante e si carica sulle spalle un’altra bocca da nutrire. Capito? Nasci in un posto dove si macellano le carcasse, è chiaro che diventi l’Uomo Macellatore, sarebbe contento il più cretino dei due vecchi ricchi in Una poltrona per due...

Il tutto naturalmente narrato dall’inadeguato Jonathan Liebesman (Al calare delle tenebre) con la leggerezza di un elefante: suppongo non sia tanto colpa sua quanto di una malatendenza che ha sempre contaminato il cinema statunitense ma che negli ultimi anni si è aggravata, quella dello spiegone.

Un tempo in quei film dove i laboratori del cattivo erano pieni di alambicchi, storte e lettini di tortura, di solito lo scienziato pazzo legava il mascellone buono e gli spiegava la rava e la fava del suo piano malvagio in 3 tediosi minuti poco prima del finale, giusto per dare tempo al Charlton Heston di turno di liberarsi dalle cinghie e far vincere il Bene in blu, rosso e bianco (con tanto accento sul bianco).

Ora no. Ora cominciano a spiegarci tutto il film fin dall’incipit, prima dei titoli e non paghi di spiegarcelo, ci afferrano per le orecchie e urlano il tutto almeno una ventina di volte perché siamo dei consumatori affetti da sindrome da deficit di attenzione: l’horror moderno come Ritalin di celluloide…

Prendete sempre i primi minuti di questa spazzatura: la sfigata porta a casa il bimbo mostro, il tizio lo guarda e dice chiaramente che è la cosa più disgustosa che abbia mai visto (ma se la tiene, boh…), partono in ritardo i titoli di testa che fanno il verso a quelli de Le Colline hanno gli Occhi (il remake!), spiegandoci nuovamente con tanto di lastre ai raggi x e referti psichiatrici fatti passare velocemente che sto ragazzino oltre a essere orrendo ha anche problemi di comportamento mica da poco. Non so voi, ma io trovo questo tipo di atteggiamento sia insultante che poco efficace dal punto di vista narrativo. Lo spettatore dovrebbe portare del suo in sala e arricchire il film con una personale interpretazione mentre sceneggiatori e registi contemporanei sembrano giocare continuamente contro, non ci permettono nemmeno più di unire i vari puntini numerati, fanno tutto loro e noi zitti a comprare settimane enigmistiche già usate (pagandole, state bene attenti, come nuove!)...

Ci siete ancora?
Ok.
Il film dovrebbe intrattenerci con le traumatiche e traumatizzanti origini di Faccia di Cuoio mentre in realtà sembra una copia carbone del remake del 2003, creando sia un bel cortocircuito che un piccolo record di remake>remake>remake… Ci sono i soliti ragazzi pescati da qualche programma televisivo e vestiti come si vestivano nei settanta (ma con muscoli e fattezze che ai tempi erano aliene, pazienza…) che combinano la solita serie di cose poco logiche e furbe e finiscono massacrati per il piacere di un pubblico che, produttori e registi ormai l’hanno capito, è diventato una lercia massa di onnivori pronta al brividino scopofilico di bassa lega.

In Non aprite quella porta: l'inizio la motosega urla assai poco e Leatherface viene trascurato per puntare il riflettore, giocoforza, su un R. Lee Ermey dai mezzi espressivi limitati ma persuasivi. Le tematiche forti vengono o sbrigate evasivamente o di nuovo urlate senza un minimo di attenzione nei confronti dell’argomento (vedi il cannibalismo).

La fotografia è l’ormai solita fanghiglia desaturata che ha stufato da qualche anno e non esiste un singolo momento di genuino, puro orrore o terrore. Ecco quindi che ci si rifugia scodinzolando nel gore, nel disgusto e nel sadismo superficiale ed è tutto di plastica, più finto di un hamburger da due soldi.

Il livello zero lo si raggiunge naturalmente durante la "cena" che riporta inevitabilmente confronti a quella messa in atto da Tobe Hooper più di 30 anni fa nell'originale Non Aprite quella Porta ed è meglio stendere un velo pietoso su un confronto così impari.

In Non aprite quella porta: l'inizio se ne vedono poi di tutti i colori, gente che viene catapultata a dieci metri di distanza nei cespugli e sassi da una macchina in corsa senza un singolo graffio, ragazzi che mettono un piede in una tagliola da orso, urlano un po’ e poi ripigliano a correre come centometristi, canzoni trasmesse dalla radio un anno prima della loro nascita (il buon Liebesman potrà scamparsela dicendo di aver voluto omaggiare lo stesso errore compiuto da Marcus Nispel nel 2003…) e così via, in una stanca processione di inseguimenti, torture MTV oriented e noia, noia e ancora noia.

Remake di gomma di un remake di gomma di un film straordinario, inutile auspicargli pochi incassi o stroncature da parte della critica: il pubblico adora ormai affondare i dentini da latte nella gomma prevedibile almeno si riesce a masticare il popcorn, la critica deve mettere il pane in tavola e si arrampicherà quindi su argomenti quali “rilettura e aggiornamento di un caposaldo del genere”, “i seventies visti attraverso la lente ipercinetica e deformante del nuovo millennio”, “un sano pugno nello stomaco al cinema buonista” e chissà quante altre cose, sperando che non vadano a cascare nella palude del metacinema e delle citazioni altrimenti non ne usciremo vivi.

Non aprite quella porta: l'inizio: non date loro i vostri soldi, lasciateli da soli a fare come la famiglia di Faccia di Cuoio, fateli sbranare l’uno con l’altro finche non rimarrà nulla e potremo cominciare a ricostruire qualcosa di serio.


[recensione apparsa originariamente online il 10.11.2006]


Titolo: Non aprite quella porta: l'inizio
Titolo originale: The Texas Chainsaw Massacre: the Beginning
Nazione: USA
Anno: 2006
Regia: Jonathan Liebesman
Interpreti: R. Lee Ermey, Jordana Brewster, Andrew Bryniarski, Taylor Handley, Matthew Bomer, Diora Baird, Heather Kafka, Lee Tergesen, Marietta Marich, Terrence Evans

Recensione del film Non aprite quella porta: l'inizio
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 29/05/2012


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