Recensione
Hard Candy

Hard Candy: visiona la scheda del film In tempi di torture e violenze per il puro gusto di osare sempre di più con l’audience, un film come Hard Candy riconcilia con un particolare sottogenere dell’horror e ci spinge a essere ottimisti verso il futuro dei film horror. Niente sangue immotivato o denti cavati per il gusto di cavarli, ogni gesto e parola di questo film diventano funzionali alla trama e al tema trattato.

Una villa stupenda (gran lavoro da parte dello scenografo su un budget microscopico), due attori spinti ai limiti delle loro possibilità espressive, una serie di dialoghi che rasentano la perfezione (sono quasi fin troppo perfetti…) e una violenza spesso occultata che colpisce molto più di mille scene splatter.

Hard Candy gioca sui confini e sulle zona d’ombra, ribaltando spesso il ruolo di supposto carnefice, mischiando pedofilia a sadismo e forzando lo spettatore alla principale, unica vera e valida eredità lasciataci dalla Rivoluzione Francese, ovvero l’esercizio continuo del dubbio.

Ci sono vari momenti durante i quali siamo quasi convinti e pronti a schierarci con una delle due parti in gioco salvo poi ricrederci poco dopo. Basta una mezza frase, un sorriso fuori posto, un’allusione o un tono isterico di troppo che subito ci ricrediamo e non sappiamo che pensare.

Il regista David Slade (30 Giorni di Buio, Eclipse, The Last Voyage of Demeter) e lo sceneggiatore Brian Nelson (Devil, 30 Giorni di Buio) sanno rimanere distanti da entrambi i personaggi e giocano non solo con i ruoli ma con gli stessi valori morali e concetti espressi: da un lato possiamo trovare una decisa quanto originale accusa nei confronti della pedofilia ma, poco dopo, ci troviamo quasi forzati a sbavare allupati per una quattordicenne che balla seminuda su un divano e così via, in un gioco aritmico e ciclotimico che rasenta la schizofrenia senza MAI toccarla in realtà.

Slade, proveniente dal mondo della pubblicità e dei videoclip musicali, affronta un soggetto difficile evitando di cadere nei classici segni grafico-estetici che si accompagnano di solito a tematiche di questo tipo e disegna un terrrore diurno fatto di ambienti high tech e minimalisti, inonda il set di luce e menzogne e si lascia scappare la gestione della tensione solo durante rari momenti della seconda parte a causa di alcuni buchi logici difficilmente gestibili da chiunque.

Impossibile non innamorarsi di Ellen Page (X-Men - Conflitto finale, The Tracey Fragments, Peacock, Inception) se anche avete un solo testosterone in circolo, impossibile non tifare per lei se fate parte dell’audience femminile, duro il compito per un Patrick Wilson (Insidious, Passengers - Mistero ad Alta Quota, Watchmen) che, conscio dello straordinario talento recitativo della sua collega, si adatta a un ruolo di leggero rincalzo assecondando e facilitando il lavoro alla tremenda ninfetta.

Hard Candy: lungometraggio non raccomandabile agli amanti del thriller dove tutto fila liscio come un meccanismo di precisione ma visione obbligatoria per chi è ancora convinto che si possa gestire violenza, tortura e tensione senza per forza chiamare i tipi della KNB EFX a lanciare secchiate di sangue su ogni angolo del set.


Recensione apparsa anche su Malpertuis.org, il blog horror ufficiale di Elvezio Sciallis.


Titolo: Hard Candy
Titolo originale: Hard Candy
Nazione: USA
Anno: 2005
Regia: David Slade
Interpreti: Patrick Wilson, Ellen Page, Sandra Oh, Odessa Rae, G.J. Echternkamp

Recensione del film Hard Candy
Recensione scritta da: Elvezio Sciallis
Pubblicata il 07/04/2007


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