Recensione
The ABCs of Death

The ABCs of Death: visiona la scheda del film The ABC’s of Death raccoglie i migliori registi indipendenti del circuito horror internazionale (come accadeva recentemente con il pessimo V/H/S), affida una lettera dell’alfabeto a ciascuno di loro e li sfida a creare un corto senza alcun paletto, senza alcuna restrizione, senza alcun limite, salvo il tema centrale della morte che fa da collant nell’antologia.

Ma se la totale carta bianca permette di spaziare in lungo e in largo tra i generi rimbalzando tra grottesco, pulp, post-apocalittico, commedia nera e tanto altro, a mancare clamorosamente è la materia prima, un minimo indispensabile di lavoro cerebrale per offrire qualcosa di anche solo accettabile.

Ho sempre creduto che un autore abbia bisogno di idee: sono queste che esprimono le sue intenzioni, aspirazioni, capacità e cognizioni. Soprattutto durante i faticosi primi passi devono essere sempre e solo le idee a trainare e a mostrare realmente le qualità di chi, come in questo caso, si mette dietro la macchina da presa.

In 26 corti, salvo una manciata, ma giusto una manciata, di episodi interessanti, la qualità complessiva non riesce mai ad alzarsi oltre il livello di un’indecenza irritante e fastidiosa, e non si parla chiaramente della crudeltà inscenata, delle immagini mediamente forti e dello spropositato uso emoglobinico, è proprio una questione di idee, che a questi registi indipendenti più o meno conosciuti, dimentacata la creatività, sembrano non interessare, troppo concentrati e così arroganti nello sperimentare, nell’ironizzare o nel delirare, neanche disponessero di curriculum lunghissimi e carriere sfavillanti che li autorizzano a prendersi simili libertà.

La media qualitativa di The ABC’s of Death è complessivamente improponibile, siamo davvero dalle parti dell’immondizia più becera e lurida. Rubo giusto un po’ di spazio per alimentare, ancora, quanto sia lacunoso il lavoro degli autori che quantomeno tentano di fare qualcosa.

La claymation splatter di Lee Hardcastle fa sanguinosamente ridere, ma i suoi modellini sono proprio impresentabili.

I gatti nazisti di Thomas Cappelen Malling mostrano simpatiche armi da guerra, ma la storia che li vede affrontarsi non ha sinceramente alcun senso.

La cacca vendicativa di Anders Morgenthaler è caruccia ma lo spunto che la motiva è piatto e incolore.

Il POV del vampiro di Ben Wheatley (Kill List) è un mockumentary inverso, ma pur sempre di un vampiro spento si parla.

Il pappagallo rivelatore di Banjong Psanthanakun (Shutter, Alone, Phobia 2) è divertente ma in fondo è soltanto una barzelletta…

Non si cerca l’originalità, l’innovazione è in fondo pretenziosa e spesso dannosa – basta vedere a che risultati porta con il contributo giapponese di Noburo Iguchi e Yoshishiro Nishimura, episodi francamente inguardabili per l’assurda e letteralmente scoreggiona esagerazione del primo e per l’inconsistente e inconcludente delirio culinario-sessuale del secondo.

Si chiede soltanto un po’ di sostanza, una sorta di umile sudore nel costruire, sempre e prima di tutto, qualcosa di significativo – mentre, che so, la superbia comica di Adam Wingard o Jon Schneep porta solo la voglia di prenderli a schiaffoni.

Restano allora due momenti dignitosi e tre, qui bisogno dirlo, eccellenti: simpaticissimo Yudai Yamaguchi, che dei pazzi della Sushi Typhoon è sempre stato il più ragionato e coerente, con il suo harakiri deformizzante, e il clamorosamente onesto Kaare Andrews, che aveva regalato quell’aborto di Altitude, con i suoi robottoni killer e gli splatter ESP, mentre paragrafo a parte meritano i tre migliori.

M is for Miscarriage di Ti West (The House of the Devil, The Innkeepers, Trigger Man, The Roost) è un calcio sui denti terrificanti, un minuto ferocissimo e doloroso che lascia un enorme disagio addosso.

X is for XXL di Xavier Gens (The Divide, Frontiers - Ai Confini dell'Inferno) è un delirio ultrasanguinoso e crudele come pochi, una continua sofferenza, mentale e fisica, che si trasforma in una serie di immagini disgustose e di difficile sopportazione.

L is for Libido di Timo Tjahjanto (Macabre), sicuramente l’episodio più bello, un torture porn che prende le peggio depravazioni umane e le mette in una sequenza tanto disturbante quanto raffinata perché capace di mostrare poco e suggerire tantissimo, uccidendo e mortificando chi guarda secondo dopo secondo.

Ma è poco, poco, davvero troppo poco per salvare The ABC’s of Death, un progetto che avrebbe dovuto mettere in mostra tanti talenti ma che in realtà conferma soltanto il tiepido stato del cinema di genere.


Recensione originale apparsa il 19/02/2013 su Midian, il blog ufficiale di Simone Corà.


Titolo: The ABCs of Death
Titolo originale: The ABCs of Death
Nazione: USA
Anno: 2012
Regia: Banjong Pisanthanakun, Angela Bettis, Adrian Garcia Bogliano, Jason Eisener
Interpreti: Ingrid Bolsø Berdal, Kyra Zagorsky, Dallas Malloy, Erik Aude, Peter Pedrero, Darenzia, Fraser Corbett, Xavier Magot

Recensione del film The ABCs of Death
Recensione scritta da: Simone Corà
Pubblicata il 20/02/2013


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