Jeffrey Dahmer, la storia del serial killer

Nome Completo: Jeffrey Lionel Dahmer

Soprannome: Il cannibale di Milwaukee

Nazionalità/Paese: Stati Uniti d'America

Data di Nascita: 21 Maggio 1960

Segno Zodiacale: Gemelli

Data di Morte: 28 Novembre 1994

Vittime Accertate: 15

Omicidi Confessati: 17

Modus Operandi: Portava le sue vittime a casa dove venivano drogate per poi essere violentate, uccise, nuovamente violentate (necrofilia) e poi fatte a pezzi. Alcune parti dei corpi venivano mangiate (cannibalismo) e altre tenute come souvenir o sciolte nell’acido.


Nel luglio del 1991 Jeffrey Lionel Dahmer consegna al mondo il suo biglietto da visita nel più sconvolgente dei modi. Si lascia sfuggire Tracy Edwars che viene fermato da una volante della polizia di ronda, ancora ammanettato e seminudo mentre corre per le vie di Milwaukee. Edwars, in evidente stato di choc, racconta agli uomini in divisa di essere sfuggito per miracolo a un pazzo che lo aveva torturato e tenuto sotto la minaccia di un coltello in un appartamento non molto distante.

Le forze dell’ordine, pur essendo preparate a tutto al momento della cattura, non immaginavano nemmeno quello che avrebbero trovato nell’abitazione di Dahmer: cose talmente raccapriccianti da fargli valere il soprannome di “mostro di Milwaukee” o, come lo chiamò qualcuno, il "cannibale di Milwaukee".

Quando fecero irruzione nell’appartamento, il mostro non oppose la ben che minima resistenza rimanendo seduto sul letto, in silenzio, mentre oscillava in modo ritmico, completamente assente.

In grossi bidoni pieni d’acido vennero trovati dei corpi parzialmente liquefatti. Tre teste sotto spirito erano in bella mostra sull’armadio, mentre altre tre teste giacevano in frigorifero. E ancora pelli e pezzi di carne umana, mani e genitali sparsi tra il salotto e la cucina. Una scena che rimarrà impressa per sempre, oltre che negli annali della medicina legale, anche nelle menti di chi penetrò in quella casa-mattatoio.

Anche se cercò di negare il suo coinvolgimento con i ritrovamenti, Dahmer confessò quasi subito tutto quello che aveva fatto, portando alla luce ben diciassette omicidi. Di fatto però, al processo fu condannato per quindici di essi, perché due corpi non vennero mai ritrovati.

Quel giorno di fine luglio del 1991, il cannibale di Milwaukee, al secolo Jeffrey Lionel Dahmer, regalò al mondo, in tutta la sua efferatezza, gli omicidi che per tredici anni della sua esistenza lo avevano accompagnato.


Jeffrey Dahmer: l’infanzia e la famiglia

Jeffrey Dahmer nasce nel 1960 a Milwaukee, da qui si trasferisce in Ohio, all’età di sei anni. I medici che l’ebbero in cura evidenziano già in questo periodo i primi sintomi di una mente turbata. Anche se ha sempre negato questo tipo di collegamento, non si può negare che nella sua infanzia Dahmer abbia subito dei traumi tali da portarlo a trasformarsi in quello che poi è diventato.

All’età di otto anni viene infatti molestato sessualmente da un vicino di casa. Dahmer non racconterà a nessuno questo episodio, fino ai giorni del processo.

Per capire perché sia diventato un mostro, bisogna però tenere conto anche dell’ambiente familiare in cui è cresciuto.

La sua famiglia era di ceto medio borghese, formata da genitori non sempre in completa sintonia. Continuavano a litigare, anche violentemente, creando una situazione ambientale molto difficile. Il padre, per evitare i continui alterchi con la moglie, iniziò a rimanere fuori casa per andare a bere con gli amici. Quel poco di tempo a casa lo passava quindi da ubriaco.

La madre non era da meno. Costantemente depressa, trascorreva le giornate, comprese quelle in cui era incinta di Jeffrey, a prendere pillole per cercare di guarire dalla sua malattia immaginaria. Proprio durante la gravidanza la fobia peggiorò. A causa delle continue emorragie, mal di testa e ipersensibilità verso odori e rumori, si convinse di essere malata gravemente e arrivò ad assumere decine e decine di pillole in una singola giornata. A nulla valsero gli sforzi dei medici per convincerla a curare la sua nevrosi acuta, dovuta anche al fatto che inconsciamente non desiderava la gravidanza.

Con la nascita di Jeffrey le cose non migliorano.

Dopo aver avuto il secondo figlio, la depressione della donna peggiora ancora e si arriva al divorzio. Segue una lunga causa legale per l’affidamento del figlio minore, che ella porta via con sé, abbandonando in casa Jeffrey solo e senza cibo. Quest’ultimo viene trovato dal padre solo due giorni dopo l’abbandono, seduto in mezzo a un pentagramma disegnato con il gesso sul pavimento della sua cameretta. Dahmer, in stato di choc, completamente assente, aveva cercato di fare una seduta spiritica per poter parlare con i morti.


Jeffrey Dahmer: gli omicidi

A differenza di quello che si possa pensare, Dahmer non era un serial killer metodico e costante. Compie il primo omicidio all’età di diciotto anni, ed esattamente nel 1978.

Fa salire in auto un autostoppista di nome Steven Hicks (19 anni), si intrattiene con lui per un poco, fino a convincerlo a seguirlo a casa. Bevono birra e fanno sesso.

Quando però Steven vuole andarsene, la mente di Dahmer crolla a causa di una forte sensazione di abbandono, e scatena tutta la sua rabbia sul povero malcapitato. Lo colpisce in testa, stordendolo, per poi strangolarlo fino a farlo morire. Agisce in modo rapido e concreto, facendo a pezzi il corpo del ragazzo e seppellendolo in giardino in diverse buste di plastica.

Forse colto dal rimorso, o dalla paura di essere scoperto, Dahmer si arruola volontario nell’esercito e viene mandato in una base U.S.A. in Germania. La sua carriera dura circa due anni, fino a quando non viene espulso con disonore a causa di ripetuti episodi di alcolismo molesto.

Quando rientra in America si stabilisce in Florida per qualche tempo, per poi tornare a casa, dove, prudentemente, disseppellisce i resti del povero autostoppista per sciogliere quello che ne rimane nell’acido e spezzettare le ossa per spargerle nei boschi.

L’alcolismo lo rende intrattabile e maleducato. Nel 1982, il padre decide quindi di mandarlo a vivere con la nonna, a West Allis, nel Wisconsin, ma la situazione non cambia.

Viene quasi subito arrestato per atti osceni in luogo pubblico durante una fiera di paese. La cosa si ripete quattro anni più tardi: viene condannato a un anno di reclusione, mai scontato per l’obbligo di frequentare una clinica psichiatrica. Proprio questa sua libertà gli consente di uccidere nel 1987 la sua seconda vittima.

Questa volta lo fa in una camera d’albergo, ma non si sa bene come abbia fatto. Dahmer racconterà di essersi svegliato a fianco di Steven Tuomi (24 anni), morto e con la bocca piena di sangue.

Anche in questo caso, comunque, agisce in fretta. Dopo aver acquistato una grossa valigia, trasporta il cadavere fino alla cantina di sua nonna. Qui lo violenta ripetutamente, per poi farlo a pezzi e gettarlo tra i rifiuti.

Con questi gesti Dahmer mette in pratica un sogno ricorrente di gioventù, nel quale vedeva se stesso uccidere una persona per poi violentarla e farla a pezzi.

Tra il gennaio 1988 e il marzo dello stesso anno, Dahmer massacra James Doxtator (14 anni) e Richard Guerriero (23 anni), entrambi con le stesse modalità: li droga, li violenta, poi li uccide, li fa a pezzi ed elimina i corpi nell’acido.

A causa del suo comportamento e dei suoi continui e "rumorosi festini", la nonna lo caccia di casa. Dahmer torna, nel settembre 1988, a Milwaukee e va a vivere nella parte nord della città in un appartamento sulla 25sima Strada, nell’appartamento che diventerà famoso come "il mattatoio".

Bisogna però dire che prima di essere mandato via da sua nonna Dahmer uccide altre due volte.

Il giorno successivo al trasloco, viene arrestato nuovamente per molestie sessuali: con la scusa di fare qualche foto, porta un ragazzino di quindici anni nel suo appartamento, però scoppia una furiosa lite. I vicini, sentendo lo strano trambusto, chiamano la polizia. Viene condannato nel gennaio del 1989 ma viene rilasciato fino alla sentenza esecutiva nel maggio dello stesso anno.

Proprio mentre è in attesa della sentenza, nel marzo del 1989, il mostro torna all’opera, questa volta massacrando Anthony Sears (26 anni).

Viene rilasciato dopo dieci mesi di prigionia, per buona condotta.

Nel giugno del 1990 inizia l’escalation di omicidi. I tempi tra un assassinio e l’altro si restringono sempre di più fino ad arrivare, poco tempo prima di essere fermato, a uccidere una volta alla settimana.

A giugno uccide Edward Smith (27 anni), mentre a luglio è la volta di Raymond Smith (33 anni).

Passa l’estate e a settembre uccide David Thomas (23 anni) e Ernest Miller (22 anni). Nel febbraio del 1991 massacra Curtis Straughter (19 anni) per poi passare a Errol Lindsey (19 anni) nell’aprile dello stesso anno e ad Anthony Hughes (31 anni), un mese dopo.

Sempre a maggio avviene l’episodio più inquietante della storia del mostro di Milwaukee. Viene ucciso Konerak Sinthasomphone (14 anni) e a consegnare la vittima a Dahmer è proprio la polizia.

Konerak riesce a liberarsi dopo le torture e si rifugia alla polizia, cui racconta tutto. Jeffrey però convince gli agenti del fatto che il ragazzo è il suo amante e che, a seguito di una litigata tra innamorati, ha inventato ogni cosa per fargli un dispetto e metterlo nei guai.

Dal canto suo il giovane fa fatica anche a difendersi, a causa delle droghe che Dahmer gli aveva iniettato prima della fuga. Le forze dell’ordine, non volendosi immischiare nelle vicende di due omosessuali, riconsegnano Konerak a Dahmer, che lo riporta nel suo appartamento e finisce il lavoro.

Quando si verrà a sapere di questo fatto, durante il processo, la polizia di Milwaukee provvederà a espellere i poliziotti: un atto forse inutile e certamente tardivo, dal momento che diedero al mostro il tempo di proseguire con i suoi omicidi.

Anche dopo essere stato vicino alla cattura Dahmer non si ferma, né si intimidisce, ma anzi accelera nel suo operato e a giugno uccide Matt Turner (20 anni), seguito da Jeremiah Weinberg (23) a luglio, e da Oliver Lacy (23) solo otto giorni dopo.

Il 19 luglio del 1991 il “mostro di Milwaukee” uccide la sua ultima vittima: Joseph Brandehoft (25 anni).

Tre giorni dopo tenta di uccidere Tracy Edward (32 anni), ma quest’ultimo, approfittando di un suo momento di disattenzione, riesce a fuggire e ad avvisare la polizia.
Il resto è storia.


Processo e condanna

Durante il processo, gli orrori scoperti al momento dell’arresto di Dahmer vennero ancor più amplificati dalle rivelazioni che ne seguirono. Dahmer non era solo solito ammazzare e fare a pezzi le sue vittime, ma anche, dopo averne violentati i cadaveri attraverso atti di necrofilia, mangiarsele: questo l'ha reso uno dei serial killer cannibali più famosi mai catturati.

Fatte a pezzi, teneva come souvenir parti dei corpi, come i genitali e le mani, mentre per le teste aveva un’altra procedura. Alcune venivano tenute in frigorifero o sotto spirito, mentre altre venivano fatte bollire per un giorno intero fino a che la carne non si staccava dal teschio. Quest’ultimo poi veniva cerato e dipinto per diventare un soprammobile.

Le parti del corpo che non mangiava, o teneva come ricordo, Dahmer le scioglieva in grossi bidoni pieni d’acido, tanto che i vicini più volte avevano lamentato alle autorità i forti odori provenienti dal suo appartamento. Nessuno mai però era intervenuto.

Come se tutto questo orrore non bastasse, il mostro provvedeva a effettuare un completo e dettagliato servizio fotografico dei cadaveri e delle loro parti.

Vennero alla luce anche le modalità con cui Dahmer uccideva le sue vittime. Le morti erano tutt’altro che indolori o rapide. A parte i primi due omicidi, avvenuti quasi per caso, il mostro cercava in tutti i modi di creare quello che chiamava il suo "schiavo sessuale". Per fare questo stordiva le vittime con l’alcol, per poi somministrare loro svariati tipi di droghe.

Arrivò a fare esperimenti sulle sue vittime ancora vive. Iniettava nei lobi temporali acido muriatico alternato ad alcool etilico, nel tentativo di annullare completamente la personalità degli individui e contemporaneamente lasciare vivi i corpi, affinché assolvessero al loro compito. Com’è facile immaginare, le persone morivano qualche ora dopo, o al massimo, i più sfortunati, duravano un paio di giorni.

I medici che lo ebbero in cura spiegarono anche, durante il processo, come Dahmer non fosse un serial killer come tutti gli altri. Soffriva di diversi disturbi, tutti di carattere sessuale, ma soprattutto non era metodico o riservato.

A differenza degli altri assassini seriali, Dahmer era plateale nella sua ubriachezza molesta e nella sua scontrosità con il prossimo. Cercava le sue vittime in luoghi pubblici ed equivoci. Era stato più volte arrestato per atti osceni e molestie sessuali e, altra cosa che lo rendeva unico, le vittime, a parte un asiatico e un ispanico, erano tutte di colore, cosa molto strana se si pensa che il profilo tipico di un serial killer prevede come vittima una persona della sua stessa etnia.

Per poter effettuare il processo a Dahmer si dovettero configurare un enormità di misure di sicurezza, non tanto per la pericolosità del serial killer, quanto più per quella dei parenti delle vittime.

Effettivamente, Damher, dal momento dell’arresto alla sua morte, non diede nessun segno di pericolosità, bensì assistette passivo a tutto quello che la macchina della giustizia aveva in serbo per lui. Seduto nelle aule di tribunale, mentre venivano elencati i sui crimini senza tralasciare nessun particolare sul suo operato, Jeffrey risultò quasi assente e non fece mai trasparire nessuna emozione, nemmeno di fronte allo strazio dei parenti: nemmeno quando cercarono di aggredirlo davanti al giudice.

Parlò un’unica volta in tribunale, poco prima che la giuria si riunisse per decidere la sentenza, dicendo: «Vostro Onore, è finita. Non ho mai cercato di essere liberato. Francamente volevo la morte per me stesso. Voglio dire al mondo che non l'ho fatto per odio. Non ho mai odiato nessuno. Sapevo di essere malato, cattivo o entrambe le cose. Adesso credo d'essere veramente malato. Il dottore mi ha parlato della mia malattia e di quanto male ho causato. Ho fatto del mio meglio per fare ammenda dopo il mio arresto, ma non importa, non posso eliminare così il terribile male che ho causato. Vi ringrazio Vostro Onore, sono pronto per la vostra sentenza, che sono sicuro sarà il massimo. Non chiedo attenuanti, ma per piacere dite al mondo che mi dispiace per quello che ho fatto.»

Venne condannato a 15 ergastoli perché nello stato del Wisconsin non vige la pena capitale, ma la sua condanna a morte venne comunque eseguita due anni più tardi.

Il 28 novembre del 1994 venne infatti ucciso in prigione da Christopher Scarver, uno psicotico in carcere per aver ucciso la moglie, che gli fracassò il cranio perché convinto che Dio gli avesse dato il compito di punirlo.

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