Pedro Nakada, la storia del serial killer

Nome Completo: Pedro Pablo Nakada Lukeña

Soprannome: l’Apostolo della Morte

Nato il: 28 febbraio 1973

Morto il: in vita

Vittime Accertate: 17

Vittime Presunte: 25

Modus Operandi: tende agguati a singoli o coppie, sorprendendoli e uccidendoli con una pistola dotata di silenziatore.

Ultimo aggiornamento del dossier: 20 settembre 2015


Sulle pagine di LaTelaNera.com è oggi il Perù a essere protagonista, con uno dei suoi figli più malati, violenti e psicotici: Pedro Nakada.

Così come altri serial killer sudamericani trattati sulle nostre pagine (come Pedro Lopez e Luís Alfredo Garavito per citarne un paio), Nakada è stata prima di tutto la vittima di un'infanzia infelice fatta di umiliazioni continue e abusi sia fisici che psicologici: da adulto si è poi rifatto con gli interessi sulla società, uccidendo almeno 17 persone (ma lui ha confessato 25 omicidi).

Diagnosticato psicotico e psicopatico, non si saprà mai se le sue storie sull'essere "in missione per conto di Dio" siano qualcosa in cui ha creduto realmente o soltanto una trovata per "darsi importanza" e arrivare a una pena più leggera.

Questa è la sua sanguinaria storia...


Infanzia e adolescenza nelle borgate dei poveri e disperati

Pedro Pablo Mesías Lukeña nasce a Lima, la capitale del Perù. In questa città passerà tutta la sua giovinezza e qui vivrà tutti i traumi che ne faranno un serial killer in età già adulta.

Cresce nel quartiere marginale de El Agustino, uno dei tanti pueblos jóvenes, quei poveri agglomerati di case che si perdono a vista d’occhio sulle colline desertiche che circondano la capitale peruviana.

Il disagio e la violenza sono compagni quotidiani nella vita dei bambini che crescono in quella borgata dove vige la legge del più forte e per Pedro questa violenza comincia in casa. Abusi fisici e sessuali, vessazioni, castighi corporali compiuti dalla madre e dai fratelli, in una sequela di umiliazioni che Pedro non dimenticherà mai.

Quando sarà arrestato parlerà di una lunga serie di maltrattamenti cominciata a quattro anni, quando i fratelli, per castigarlo per la morte della cagnetta di casa di cui l’accusano, abusano sessualmente di lui, violentandolo.

Pedro cresce introverso e scontroso e rispecchia nel suo comportamento la violenza che apprende in casa. Non sapendo contro chi dirigere l’ira e la frustrazione che lo colmano, si sfoga torturando gli animali. Un giorno, dopo un rimprovero della madre che finisce in botte, prende il gattino di casa e lo cuoce in padella.

Intanto, studia qualche anno alle elementari e alle medie, poi cerca di arrangiarsi, con qualche lavoretto qua e là. Non eccelle a scuola, anzi e i pochi che lo ricordano lo descrivono come taciturno e riservato.

Quando ha diciassette anni decide di presentarsi volontario nell’esercito peruviano. Vuole acquisire potere per fargliela pagare a tutti quelli che hanno abusato e riso di lui. Come per tanti altri assassini seriali prima di lui (per esempio Michael Swango, Jeffrey Dahmer, Gary Heidnik o Danny Rolling solo per citare alcuni tra quelli già trattati sulle pagine di LaTelaNera.com) la divisa è una forma per guadagnarsi il rispetto e l'autorità.


Pedro Nakada: l'esercito, il congedo e il primo omicidio

Rimane due mesi in caserma, poi dopo la visita psichiatrica viene congedato. Gli psichiatri militari gli riconoscono una psicopatia, giudicandolo pericoloso non solo per un ambiente come quello dell’esercito dove si usano armi, ma anche per la società.

Sulla sua psiche pesano anche le tare famigliari: una zia schizofrenica, una sorella suicida, un’altra zia rinchiusa in manicomio.

Per Pedro si tratta di una nuova e cocente delusione. Tenterà anche il suicidio e, secondo alcune fonti, commetterà il primo omicidio - mai provato - uccidendo un agricoltore che l’aveva scoperto mentre gli rubava delle angurie.


La vita lontano da Lima e nuova identità

Nel 2001, a ventotto anni, decide che è ora di cambiare vita. Lascia Lima e si trasferisce a Huaral, una cittadina di novantamila abitanti, a 80 chilometri a nord della capitale.

L’intenzione è quella di dimenticare il passato e di ricostruirsi una nuova vita dove nessuno lo conosce e lo possa giudicare. Per fare tabula rasa con il passato riesce a farsi anche cambiare il cognome in Nakada, facendosi adottare da un cittadino giapponese.

In realtà Pedro paga per ottenere il nuovo cognome. In un Paese dove tutto ha un prezzo riesce ad ottenere un’identità rinnovata con trecento dollari.

In cuor suo, spera di poter ottenere un visto per il Giappone e andarsene così dal Perù. Non succede però nulla e con il passare del tempo Pedro, che si arrangia con un lavoro da meccanico, comincia a vivere di sotterfugi. Con un complice, ruba automobili che poi smonta per rivenderle per parti.

Coltiva la passione per le armi, soprattutto le pistole, e affina la tecnica che poi userà per eliminare le sue vittime, preparando artigianalmente i silenziatori nella stessa officina meccanica che diventa il suo quartier generale.


Il primo omicidio accertato, in missione per Dio

Intanto, la sua tendenza schizofrenica si aggrava. Sente che ha una missione da compiere, quella di liberare la città di Huaral dalla scoria. Confonde le sue allucinazioni con la voce di Dio, che gli impone di imporre la giustizia divina su una società corrotta e depravata.

Le successive perizie psichiatriche dimostreranno che Pedro Nakada non è solo schizofrenico, ma è anche un pericoloso psicopata con tendenze omofobiche a causa delle violenze sessuali subite da bambino.

Quando compie 32 anni il fatale cocktail di risentimento, delirio di grandezza e di latore di un’imprescindibile missione sociale è pronto a esplodere.

Non a caso, commette il primo omicidio la mattina di un primo gennaio. Comincia un nuovo anno, il 2005, e Pedro Nakada è convinto che il segnale che aspettava per cominciare la sua opera di pulizia sia giunto.

Sta passeggiando sulla spiaggia di Chancay, vicino a Huaral, quando si imbatte in un passante. Secondo quello che racconterà successivamente alla polizia durante la ricostruzione dei suoi delitti, quell’uomo voleva derubarlo.

Quello che è certo è che Pedro estrae la pistola e uccide Carlos Edilberto Merino, di 26 anni, con un preciso colpo all’addome.


La missione continua, il sangue scorre

Nakada la fa franca. Per gli inquirenti, l’omicidio avvenuto in spiaggia il primo gennaio rimane un mistero. Lo stesso assassino è colpito da quel suo gesto estremo e per diciotto mesi non commetterà nessun altro crimine.

L’ira, però, non è sedata, ma è solo placata. Basta un piccolo episodio perché Pedro Nakada lasci da parte ogni scrupolo e si trasformi in uno spietato serial killer.

Il 31 maggio 2006 sta camminando in una strada della periferia di Huaral quando la sua attenzione viene richiamata da una donna. Quando si avvicina si rende conto che quest'ultima, Teresa Cotrina Abad, una cinquantenne senza fissa dimora, una vagabonda, sta fumando crack.

Senza pensarlo, estrae la pistola e le spara alla testa.

Nakada ci ha provato gusto. Ha sentito l’onnipotenza, ha collaudato il potere di avere tra le mani il destino di un’altra persona.

La distanza tra un omicidio e l’altro comincia a farsi sempre più corta e in meno di tre mesi uccide cinque altre persone. Poi, si ferma. Lo fa perché la sua sesta vittima non è che una ragazzina che ammazza per errore.


Morte di una innocente e successiva mattanza

Il 19 agosto 2006 Pedro Pablo Nakada si è recato in un luogo appartato, dove si riuniscono periodicamente fumatori di crack con l’intenzione di ucciderne almeno uno.

È appostato quando qualcuno si avvicina in bicicletta. Pensa che sia un tossicodipendente e spara: quando va a vedere, si rende conto di aver ucciso una innocente. Si tratta della sfortunata Mary Tolentino Pajuelo, quindici anni.

Preso dal rimorso abbandona la scena del delitto lasciando sul luogo la pistola che ha usato. La polizia però, anche con questa prova, non riesce a risalire all’identità di Nakada.

Passano tre mesi e le voci ritornano a farsi insistenti.

Pedro deve tornare ad uccidere. Lo fa la notte del 18 novembre 2006 e si ripete quattro giorni dopo quando, sempre con un preciso colpo di pistola alla testa, uccide tre persone su un taxi. Secondo lui, il terzetto da mesi stava terrorizzando la zona con assalti e rapine ed era ora di porre un freno.

Poi, se la prende con gli omosessuali e ne uccide tre in pochi giorni. A morire è una coppia di professori ventenni che scopre in tenere effusioni - Tamariz Nazario Perez e Didier Dulanto Zapata - e un parrucchiere, con cui prima ha un rapporto sessuale.

La necessità di uccidere si fa impellente e a dicembre Pedro Nakada lo fa in continuazione: altre sei persone finiscono sotto i colpi della sua pistola in una ventina di giorni.

L'ultimo a cadere sotto i colpi silenziati della sua pistola è il trentaseienne Nicholas Purizaca Gamboa, da lui giudicato un tossicodipendente.


La Polizia finalmente non sta solo a guardare

A questo punto la polizia è finalmente convinta di essere alle prese con un serial killer. Il modo di agire, l’identikit delle vittime, diverse testimonianze portano infine gli inquirenti sulle tracce di un folle assassino seriale.

Da Lima giunge a Huaral una squadra speciale agli ordini del maggior Víctor Roveredo con il compito di arrestare il killer che sta terrorizzando la città.

Il 28 dicembre 2006, dopo l’ennesimo omicidio, la polizia fa irruzione nell’officina meccanica dove Nakada lavora. Si tratta di un controllo di routine. I poliziotti, infatti, sanno che devono cercare un meccanico, ma non sanno quale di preciso. Nakada è solo uno dei vari sospetti.

Pedro non lo sa e quando gli agenti iniziano a perquisire l’officina, estrae la pistola, fa fuoco, ferendo un agente e scappa. La fuga non dura molto. Terminate le munizioni, Nakada viene arrestato.


Confessioni, interrogatori, numero di vittime del serial killer Pedro Nakada

Sulle prime nega tutto, poi quando cominciano ad apparire le evidenze, ammette i crimini.

Sono venticinque in tutto, anche se successivamente gli inquirenti tenderanno a ridurre questo numero a diciassette.

Nakada, però, non cambia la sua versione, insiste e rilancia. I morti ammazzati sono venticinque e confessa che per Capodanno aveva preparato un attentato in grande stile: una granata all’interno della discoteca più popolare di Huaran, La Parranda, per liberare il mondo in un solo colpo di decine di peccatori.

Durante gli interrogatori rivela agli inquirenti i tratti della sua personalità disturbata.

Alle domande sul movente degli omicidi risponde: "cerco solo di purificare la Terra dalla presenza di prostitute, drogati, criminali e omosessuali".

Sono le voci a dirglielo, quelle stesse che in cella gli comanderanno di suicidarsi per aver fallito la missione. Nakada, però, non ci riesce e viene salvato dagli agenti.


Perizie, valutazioni cliniche e la condanna del 2007

Dopo l’arresto Pedro Nakada viene visitato da differenti psichiatri. Alla fine, il collegio medico determina che l’assassino non è schizofrenico, ma soffre di un disordine della personalità.

Insomma, è in grado di stabilire la differenza tra il bene e il male.

I suoi crimini, dicono i dottori, sono in gran parte premeditati e in ogni assassinio c’è di mezzo una buona parte di calcolo. Nakada, insomma, è un delinquente comune e come tale va giudicato.

Secondo alcuni si tratta di una soluzione politica, che risponde alle pressioni di pubblico ministero, parenti delle vittime e mezzi di comunicazione che chiedono una condanna esemplare a fronte della ventilata possibilità di una degenza in un ospedale psichiatrico.

Il tribunale fa il suo dovere e nei primi mesi del 2007 condanna Pedro Nakada a 35 anni di carcere.

Il condannato dà in escandescenze. Vuole che lo uccidano, chiede la fucilazione, perché nella sua mente contorta pensa che deve essere così. Come lui uccideva le sue vittime perché colpevoli di essere andate contro la morale della società, così, se ritenuto colpevole, anche lui deve essere ucciso.

Non sopporta l’idea di finire in una cella e già la prima notte di detenzione tenta di nuovo il suicidio, proprio come quando era stato arrestato. Viene salvato dalle guardie e quindi tenuto in costante osservazione per evitare che compia di nuovo un gesto estremo.


La revisione del processo nel 2009

Sembra tutto finito, ma la difesa nel 2009 ottiene la revisione del processo e questa volta il panorama cambia. Nakada, dicono periti ed esperti, è davvero schizofrenico e legalmente non può rimanere nel carcere di Carquín tra i detenuti comuni.

Una sentenza annulla la condanna anteriore, non nella sostanza - rimane fermo il verdetto a 35 anni di prigionia - ma nella forma.

Nakada viene trasferito al reparto psichiatrico della prigione di Lurigancho a Lima, dove ancora oggi sta scontando la condanna completa.

La nuova sentenza divide l’opinione pubblica e gli esperti. Sono in tanti a credere che Nakada finga la malattia mentale e che alcuni degli omicidi siano stati perpetrati solo per futili motivi, dal furto alla vendetta verso chi, a conoscenza del suo segreto, l’avrebbe potuto tradire.

Una delle vittime, infatti, era il suo socio ai tempi dei furti d’auto. Un’altra sarebbe stato testimone di uno degli omicidi.

Inoltre, non si spiegherebbe perché Nakada abbia sempre sottratto alle vittime gli averi di cui erano in possesso al momento della loro morte: soldi, gioielli, moto, auto, oggetti personali.

Di fatto, Nakada a Lurigancho si comporta da detenuto modello e diventa un discreto artigiano, che intaglia i motivi classici della cultura incaica che piacciono tanto ai turisti.

Secondo i colpevolisti, si tratta solo di un altro espediente per usufruire di maggiore libertà e poter scappare senza troppe difficoltà, in modo di mantenere la promessa che ha fatto ai giudici durante il processo: "una volta libero, ritornerò a uccidere".

Voci o no, ripulire il mondo dalla feccia rimane la sua missione.

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Dossier scritto da:
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