Luís Alfredo Garavito (pagina 2)

Carlos Hernán Herrera, la nemesi di Garavito

La polizia ci mette alcuni anni per rendersi conto che dietro quelle sparizioni c’è una matrice comune. Ci riesce grazie al lavoro di un medico forense, Carlos Hernán Herrera, che ha avuto la possibilità di studiare i resti delle vittime. Secondo il suo referto, dietro i massacri di Pereira c’è una sola mente assassina.

Herrera ritiene di aver individuato il modus operandi dell’omicida: usa solo armi da taglio, ferisce le sue vittime sempre nelle stesse parti, le violenta e ne causa la morte attraverso un colpo finale alla gola, separando la testa dal resto del corpo.

La polizia comincia a setacciare i profili di centinaia di persone implicate in violenze sessuali su bambini. Herrera, nel frattempo, ha un colpo di fortuna. Sul posto di un nuovo omicidio sono stati trovati alcuni indumenti dell’assassino.

Qualcosa ha disturbato Garavito, che ha dovuto abbandonare in tutta fretta un paio di occhiali, un pettine, le scarpe e dei pantaloncini. Da questi pochi indizi, il forense può determinare alcuni dati che servono per tracciare un primo, sommario, identikit: il ricercato è un uomo di circa 1,65 di altezza, di complessione magra e, soprattutto, è zoppo.

La segnalazione viene consegnata alla polizia, che trova almeno due persone, con precedenti penali per reati sessuali su minorenni, che corrispondono alla descrizione presentata da Herrera. Uno dei due è Luis Alfredo Garavito, che era stato arrestato già una volta a Tunja.

In questa cittadina era stato fermato perchè sospettato dello stupro e dell’uccisione di un ragazzino a cui era stata tagliata la testa e mozzato il pene. Il terribile omicidio aveva scosso la comunità, ciò nonostante Trivilín era riuscito a passare per un inoffensivo forestiero finito in un guaio più grosso di lui.

Luís Alfredo Garavito, la fortuna del serial killer

Per la sua scarcerazione si mobilita l’ombudsman locale, che riesce a scarcerarlo per mancanza di prove oggettive. Garavito esce dalla cella della prigione locale, ringrazia e se ne va per la sua strada, a compiere le sue crudeltà altrove. L’unico dato positivo è che, da questo momento, viene registrato ufficialmente negli archivi della polizia.

Una foto del serial killer Luís Alfredo GaravitoSulla segnalazione di Herrera, gli agenti si presentano a casa di Garavito. È l’aprile 1998. Ad accoglierli c’è la convivente, una donna che cade dalle nuvole quando gli inquirenti presentano le accuse. Nella stanza dell’uomo, la polizia trova una quantità impressionante di agende con appunti di viaggio, biglietti di bus, ritagli di giornale, ricevute bancarie.

La donna, che si chiama Luz Mary, lo difende: Luis Alfredo viaggia per lavoro, impossibile che violenti ed uccida bambini, è un uomo buono, che non ha mai fatto male a nessuno, spiega.

Dopo aver letto e studiato il materiale sequestrato, la polizia propende incredibilmente per l’altro sospettato. Gli sforzi per la cattura, quindi, si dirigono verso l’altra persona.

Nel giugno 1998 Luis Alfredo torna a casa, a Génova, la cittadina dove è nato. Situata nel cuore delle colline del Quindío, Génova è centro di raccolta del famoso caffè di montagna colombiano.

Qui, tutto ruota attorno a questa industria, le piantagioni danno lavoro a tutti, bambini compresi, che trascorrono lunghe giornate di lavoro piegati sotto il sole. I bambini vengono lasciati soli nei campi e diventano un bersaglio facile per chi ha cattive intenzioni. I terreni destinati al caffè sono sterminati e le cronache dei giornali sono piene delle storie di bimbi che vi si sono avventurati per non essere mai più visti con vita.
Génova non è un’eccezione.

Dopo pochi giorni dal ritorno di Luis Alfredo all’ombra delle piante del caffè vengono trovati i corpi, con segni di tortura e smembrati, di tre ragazzini di 9, 12 e 13 anni. La gente si interroga sull’orrendo crimine e qualcuno lo collega con il ritorno in paese di Trivilín, dello zoppo. La notizia della perquisizione della casa da parte della polizia ha fatto il giro della provincia. La polizia però tentenna.

Luis Alfredo la fa franca anche questa volta, ma la sua buona sorte è ormai esaurita.


Luís Alfredo Garavito: finalmente la cattura definitiva

Alcuni mesi dopo, il 22 aprile 1999 a Villavicencio è un pomeriggio di piena estate. Il caldo e la fatica, nonchè la voglia di fumarsi una canna in santa pace, hanno portato Brand, un ragazzo di sedici anni, a prendersi una pausa dal suo faticoso lavoro di sfasciacarrozze. Ha trovato un posto appartato per non farsi sorprendere dal padrone, quando sente delle urla...

Incuriosito si avvicina e vede un uomo chino su un ragazzino nudo, legato mani e piedi. Brand interviene e chiede all’uomo che cosa stia facendo. La risposta è sbrigativa: “Non è niente, stiamo giocando” e per dimostrarlo l’uomo taglia la fune che tiene stretti i piedi del ragazzino.

Una foto del serial killer Luís Alfredo GaravitoAppena libero, John Iván, il bambino prigioniero, si mette a correre con quanto fiato ha in corpo, seguito da Brand. Corrono per almeno un chilometro a rotta di collo, finché giungono alle prime case della cittadina. Chi li vede non riesce a credere alla scena di un ragazzino nudo che corre a mani legate in strada. È così che John Iván, 12 anni, sfugge alla morte, l’unica vittima che sia riuscita a beffare il mostro.

A quanti lo soccorrono racconta di essere stato avvicinato mentre stava vendendo biglietti della lotteria nella piazza principale, da un signore zoppo che, con la scusa di comprare un numero, lo aveva portato nei campi.

Garavito viene fermato mentre, approfittando della prima oscurità, cerca di abbandonare la città a piedi. John Iván è con i poliziotti: "È lui" grida. Luis Alfredo insiste sull’errore di persona, cerca anche di persuadere il ragazzino che si sta sbagliando.

Quando però la polizia gli chiede di aprire lo zaino che porta con sè, i dubbi si dissipano: c’è la fune, c’è il coltello, c’è anche il tubetto di vaselina che gli sarebbe servito per compiere la violenza sessuale. Uno dei poliziotti, disgustato, gli sferra un pugno nello stomaco e, tra una folla inferocita che lo vuole linciare, lo fa montare sull’autopattuglia.

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Dossier scritto da:

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