Artisti, arte e Serial killer

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Artisti, arte e Serial killer L’esperto criminologo Ruben De Luca nel libro Omicida e artista – le due facce del serial killer (Edizioni Magi, 2006) sviluppa l’interessante ipotesi del parallelismo tra il processo creativo dell’artista e quello omicidiario degli assassini seriali.

Soprattutto i pittori, sottolinea De Luca, hanno inoltre mostrato un particolare interesse verso gli omicidi, in particolare quelli violenti e a sfondo sessuale. Per lo più hanno celato la loro macabra dietro la raffigurazione di scene bibliche o mitologiche, piene di assassinii, stupri e violenze di ogni tipo. Oppure hanno mantenute le opere di questo tipo segrete, come nel caso di Paul Cézanne che, a paesaggi naturalistici e nature morte, alternava raffigurazioni di macabri delitti a sfondo sessuale.

Nel 1800 il pittore Walter Sickert realizzò quadri che rappresentavano prostitute orribilmente massacrate, a volte in modo sospettosamente simile a come faceva Jack lo Squartatore (di cui è presente il dossier su LaTelaNera.com) per il quale il pittore non nascondeva un’ammirazione che rasentava l’ossessione. La giallista Patricia Cornwell ha perfino speso tempo e denaro per provare che i due fossero la stessa persona e ha scritto un libro di successo su questa tesi (Ritratto di un assassino. Jack lo Squartatore. Caso chiuso, Mondadori, 2004).

Nella Germania della Repubblica di Weimar arte e violenza furono spesso associati, riducendo la donna a semplice oggetto da umiliare, stuprare e fare a pezzi.

Otto Dix rappresentò con i pennelli il suo desiderio di provocare dolore e il disprezzo che provava verso le donne, raffigurando perfino se stesso come uno stupratore dal ghigno folle. A proposito dei suoi quadri, dichiarò: “Se queste cose non avessi potute dipingerle, avrei dovuto farle”.

George Grosz, pittore e illustratore, fin da piccolo era stato attratto da tutto ciò che era macabro, repellente e grottesco. Da adulto realizzò quadri di stupri e omicidi particolarmente efferati, in cui le donne erano squartate e fatte a pezzi. Trasformò una foto in cui impersonava il famoso assassino Jack lo Squartatore in un quadro dove il pittore-Jack ha un coltello ed è pronto a usarlo contro la vittima-modella Eva Peter.

Hans Bellmer disprezzava talmente le donne che nelle sue opere le rappresentò come bambole di pezza con cui realizzare le sue fantasie di dominio e violenza.

Lo stesso Hitler si credeva un grande pittore. Vedendo i paesaggi e i ritratti di cani che realizzò, è difficile pensare che siano opera della stessa persona responsabile della morte di tanti innocenti. Il fatto che raramente raffigurò esseri umani, riducendoli a semplici “elementi” del paesaggio, dimostra però che considerazione avesse dei suoi simili.

Non bisogna dimenticare che ci sono stati artisti tormentati che, dopo averlo fatto nelle loro opere, hanno ucciso veramente.

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, girava sempre con una spada e sembrava quasi cercare le risse. Dopo aver ferito con la spada il pittore Tommaso Salini per la strada e spaccato un piatto in testa a un cameriere in un’osteria, ne 1605 uccise durante una rissa il notaio Marino Pasqualoni e l’anno successivo Ranuccio Tomassoni, protetto dalla potente e nobile famiglia Farnese. Morì esule da Roma, in attesa del perdono papale.

Caso più recente e particolare è quello di James Bradley, condannato a 30 anni per aver ucciso la moglie, Suzy. La signora Bradley, nota artista che durante il matrimonio scoraggiò il marito a fare il pittore, definendolo privo di talento e prendendolo in giro per questo. Bradley, che dopo un incidente era costretto a vivere su una sedia a rotelle, mal sopportava i commenti di Suzy, finché un giorno le sparò. Fece poi in 21 pezzi il suo cadavere e li dipinse uno a uno, infine li sparpagliò per la città. Le impalò invece la testa su un pezzo di legno nel giardinetto di casa.

Analizziamo adesso più dettagliatamente ciò che rende simili in modo inquietante artisti e assassini.


Arte e Serial Killer: Analogie tra il processo creativo e quello omicidiario

De Luca, sempre nel saggio Omicida e artista – le due facce del serial killer sottolinea come artista e serial killer, per portare a compimento la propria opera, passano attraverso le seguenti fasi:

Aurorale, in cui attuano un progressivo allontanamento dal mondo reale per concentrarsi sulle proprie fantasie;

di Puntamento − per l’artista di eccitamento − in cui hanno un’autentica fissazione compulsiva sull’oggetto che realizzerà le fantasie immaginate precedentemente. Nel caso del serial killer coincide con la scelta della vittima e, pertanto, dell’esclusione di tutte le altre possibili;

di Seduzione, che nel serial killer corrisponde nel ricercare il modo migliore per avvicinare la vittima e creare un contatto con essa. L’artista in questa fase pregusta invece il momento in cui sarà riconosciuta la grandezza della sua opera e dell’autore stesso. Sono entrambi dei seduttori: in questa fase il primo si concentra sulla vittima, il secondo sul pubblico;

di Cattura – preparatoria per l’artista − che nell’assassino seriale coincide con il procurarsi l’oggetto che gli permetterà di soddisfare le fantasie, mentre per l’artista è il momento in cui sceglie gli strumenti necessari per il completamento dell’opera (tela o altro supporto, luce, ecc.);

Omicidiaria – creativa per l’artista – ovvero la realizzazione delle fantasie che hanno dominato la fase aurorale. Nell’assassino seriale la fase finisce con le attività di staging (“messa in scena”), ovvero nella disposizione del cadavere nel luogo dove vuole sia ritrovato il cadavere − e del luogo stesso − allestendo un macabro spettacolo che sconvolgerà per primi i soccorritori e infine l’opinione pubblica;

Totemica, dove artista e assassino seriale rielaborano mentalmente ciò che hanno portato a compimento, rinnovando il piacere che hanno provato mentre agivano. L’assassino, spesso, ha bisogno di un feticcio (oggetti personali della vittima, parte del cadavere o il cadavere stesso) per rivivere le stesse sensazioni provate nell’omicidio, mentre per l’artista il feticcio è l’opera stessa, tanto che a volte è restio a venderla o esporla;

Depressiva, quando ri-vivere mentalmente ciò che hanno fatto non basta più e sia l’assassino seriale che l’artista sentono il bisogno di metterlo di nuovo in atto, facendo ripartire l’intero processo e rientrando inevitabilmente nel mondo fantastico della fase aurorale.


Artista e assassino seriale vivono dunque in una sorta di insoddisfazione perenne che si rinnova all’infinito e li spinge a ripetere sempre con le stesse modalità/atti ritualistici le fasi che l’hanno portato a compiere l’opera.

Per il primo si tratta di un processo creativo che porta alla realizzazione di capolavori che ottengono l’approvazione del pubblico, mentre nel secondo è distruttivo ed è biasimato, però entrambi suscitano attenzione.

Una conferma all’ipotesi espressa da De Luca sembra data dal fatto che, una volta catturati, molti assassini seriali chiedono la possibilità di disegnare, quasi fosse una sorta di compensazione o surrogato del processo omicidiario che in carcere non possono più commettere.

È di relativa importanza valutare la qualità delle loro opere, mentre sarebbe interessante – anche in vista di una loro possibile cura – continuare a studiare come e quanto la realizzazione su carta delle loro fantasie sembri, almeno all’interno delle mura carcerarie, soddisfare i bisogni che prima sfogavano sulla carne delle loro vittime.


Artisti, arte e Serial killer
Articolo scritto da: Biancamaria Massaro
Pubblicato il 22/11/2012

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